QUALCUNO STA COLPENDO I MIGLIORI PAPI DEL MONDO (0081)


(Il Fatto Quotidiano – Anno 1 – Numero 81)
Domenica, 27 Dicembre 2009
QUALCUNO STA COLPENDO I MIGLIORI PAPI DEL MONDO

Il clima di odio creato dal Fatto , da Annozero, dal gruppo Espresso e da Di Pietro continua a mietere vittime eccellenti. Anche la notte di Natale. Anche all’estero, vedi Città del Vaticano, dove una squilibrata svizzera, Susanna Maiolo, contagiata dai mandanti morali d’oltreconfine, è calata in gran fretta per saltare addosso a Benedetto XVI e oscurare così la fama di Massimo Tartaglia, l’altro psicolabile che s’era appena dedicato al collega brianzolo. Il secondo fattaccio è avvenuto subito dopo che il Cavaliere aveva annunciato: “Ora in Italia c’è più amore”, dopo aver consultato il suo personale “a m o r ò m e t ro ”, un rilevatore installato nella villa di Arcore in grado di misurare il tasso di inciucio e di impunità nell’atmosfera (le lancette volgono al bello ogni qual volta all’orizzonte si profila
D’Alema). Dopo Papi, dunque, il Papa. Il quale l’ha presa molto più sportivamente di Papi, seguitando a celebrare messa senza tante storie. Sua Impunità intanto, preoccupato che Sua Santità gli rubasse la scena, s’è subito imbucato nell’attentato al Papa con una telefonata al Tg1 dell’apposito Scodinzolini, che gli ha apparecchiato il solito tg ad personam. Lì ha profittato dell’occasione per
piazzare l’ultimo sondaggio taroccato (“due italiani su tre sono con me”), per annunciare di essere “più guarda bile” (testuale) e di aver iniziato a “mang iare
cibi solidi”, per lanciare oscure minacce al Paese (“ricomincerò presto a lavorare per il bene dell’Italia”) e per accomunare se stesso e Ratzinger nel mirino delle “fabbriche di menzogne, di estremismo e di odio”: le sole che non hanno
ancora chiuso i battenti e licenziato gli operai.
Notevole anche il racconto dell’“incessante pellegrinaggio di cui sono oggetto ad Arcore” (Lourdes e Medjugorje gli fanno una pippa, ed è solo l’inizio: vedrete all’Epifania, quando i re mogi e le pie escort porteranno alla mangiatoia di
Hardcore oro, incenso e Mills, soprattutto incenso). Intanto il portavoce vaticano padre Lombardi, stupefatto da cotanta canea, minimizzava elegantemente l’accaduto e, alla domanda su che farà la giustizia pontificia all’attentatrice, rispondeva serafico: “Non è un problema giudiziario, ma sanitario: la signora Maiolo verrà
curata in un centro specializzato”. Una frase che, se pronunciata da un Bersani qualunque a proposito di Tartaglia, avrebbe fatto di lui il mandante morale
dell’attentato in piazza Duomo. Infatti il Bersani qualunque s’è ben guardato dal pronunciarla, anzi ha subito aperto al dialogo sulla riforma costituzionale. Non risulta invece che il Vaticano intenda riformare la propria Costituzione in seguito
allo spintonamento del Papa. Questo spiega perché la Chiesa cattolica regna da duemila anni, mentre i leader del Pd scadono dopo due mesi. Fabrizio Cicchitto, appena avvertito del vile gesto nella notte santa, s’è sfilato il cappuccio di paille e ha aperto la caccia ai mandanti morali dell’odio anticattolico: ma gli venivano in mente solo le sparate degli amici leghisti contro il cardinal-imam
Tettamanzi e quelle dell’amico Feltri contro il direttore di Avvenire, così ha lasciato perdere. Peraltro l’odio che ha armato la mano della folle spintonatrice elvetica dev’essere piuttosto datato, visto che la picchiatella ripete ogni anno la stessa scena: stesso maglione rosso, stesso lato sinistro della navata centrale, stesso salto felino sul Papa senza rincorsa. Come a dire: io sono sempre qua,
venite a prendermi. Invano: ogni anno la Guardia Svizzera, la cui efficienza è seconda soltanto alla Guardia Berlusconiana, si fa cogliere di sorpresa. Il
che spiega per quale motivo le Brigate Matte annidate nei centri di igiene mentale di tutta Europa abbiano scelto l’Italia e il Vaticano per le loro scorribande. Anche se la Guardia Svizzera almeno un’attenuante ce l’ha: era distratta dall’inquietante
presenza in San Pietro di Renato Schifani.

BUON NATALE, POLENTINA (0080)


(Il Fatto Quotidiano – Anno 1 – Numero 80)
Giovedi, 24 Dicembre 2009
BUON NATALE, POLENTINA

A Natale siamo tutti più buoni. Soprattutto il Divino Amore che perdona Tartaglia e addirittura Napolitano, poi scrive al collega Ratzinger e, bontà sua, concede a Bersani e a Casini il privilegio di dialogare con lui per regalargli
l’invulnerabilità. Purtroppo, a causa dell’intensa attività epistolare, s’è scordato di richiamare i pitbull. Ieri, sul Tg Unico, Gasparri ululava col consueto occhio vispo: “Noi diffondiamo concordia, mentre Di Pietro è il mandante dell’odio”. L’altroieri a “Ballarò” guaiva Paolo Bonaiuti che, da quando ha fatto la caposala al San Raffaele per accudire l’illustre infermo e cambiargli il pappagallo, è stato finalmente promosso a comparsa da talk show. Appena Padellaro tentava di proferire verbo, veniva subissato dalla vocetta molesta della reincarnazione di Mastro Ciliegia, detto Polentina per l’inconfondibile calotta di polenta gialla che gli copre il capino. Luisa Todini ne aveva appena sparata una delle sue: “Le leggi ad personam nascono dai processi ad personam contro Berlusconi” (come se i processi non
fossero tutti ad personam e, negli altri casi, i giudici lasciassero nel vago il nome dell’imputato). A quel punto Polentina ha piazzato il colpo da maestro: “La
Corte costituzionale è dominata dalla sinistra: 11 a 4!”.
Inutile domandargli dove abbia ricavato queste cifre: lui le ripete così, a macchinetta, perché le ha sentite dire al Capo. Il quale è talmente competente da esser convinto che quelli costituzionali siano giudici e non, invece, giuristi estranei alla carriera togata. Cinque sono stati nominati dal Quirinale: 4 da Ciampi (Gallo, Saulle, Tesauro, Cassese) e 1 da Napolitano (Grossi). Uno dal Consiglio di Stato (Quaranta). Uno dalla Corte dei conti (Maddalena). Tre dalla Cassazione (Finocchiaro, Amirante, Criscuolo). Cinque dal Parlamento: 3 dal centrodestra (Frigo, Mazzella, Napolitano) e 2 dal centrosinistra (Silvestri e De Siervo). Come si faccia a tabilire quanti siano di destra o di sinistra, lo sa solo Dio. E dunque il suo principale a Palazzo Chigi. Il quale ricorda spesso che gli ultimi tre presidenti della Repubblica “sono di sinistra”: Scalfaro (esponente della destra degasperiana e scelbiana della Dc), Ciampi (ex governatore di Bankitalia) e ovviamente Napolitano; ergo anche la Consulta lo è. Ma di giudici costituzionali
nominati da Scalfaro non ne è rimasto neppure uno.
L’unico presidente certamente di sinistra è Napolitano, che però ne ha nominato uno solo: Paolo Grossi, un giurista e storico fiorentino noto per le sue posizioni di
cattolico conservatore. Ciampi nominò quattro grand commis dello Stato di provata indipendenza. Per il resto, non si vede perché la Corte dei conti, il Consiglio
di Stato e la Cassazione avrebbero dovuto nominare tutti comunisti. L’unica certezza in materia di simpatie politiche alla Consulta l’abbiamo proprio a proposito
dei giudici in quota centrodestra: anni fa toccò l’avvocato Vaccarella, il civilista di Berlusconi e Previti; dopo le sue dimissioni, si tentò di rimpiazzarlo con
l’avvocato del premier Gaetano Pecorella, purtroppo inquisito per una brutta storia di favoreggiamento legata alle stragi di Piazza Fontana e Piazza della Loggia;
così toccò a Giuseppe Frigo, noto avvocato bresciano di destra, già difensore di Previti, già presidente delle Camere penali quando queste riuscirono a far infilare
nella Costituzione una legge (quella sull’articolo 513 del codice di procedura) appena dichiarata incostituzionale dalla Consulta. Gli altri due sono i celebri Mazzella e Napoletano, sorpresi dall’E s p re s s o a cena con Berlusconi, Letta e Alfano pochi mesi prima della decisione sul lodo Alfano pro Berlusconi. Che, per la
cronaca, è stato bocciato con 9 No e 7 Sì. Dunque l’“11 a 4” non sta né in cielo né in terra. Ma basta ripetere una balla centinaia di volte a reti unificate
per trasformarla in dogma di fede. Almeno ora è chiaro perché quel programma si chiama Ballarò.

VIDEOMASTELLAMI (0079)


(Il Fatto Quotidiano – Anno 1 – Numero 79)
Mercoledi, 23 Dicembre 2009
VIDEOMASTELLAMI

Da quando Bin Laden ci fa mancare i suoi videomessaggi dalla caverna e anche Al Zarqawi ci ha lasciati, dobbiamo accontentarci. L’altroieri, rinverdendo la tradizione avviata nel ’94 col vhs della discesa in campo con calza incorporata, il cavalier Berlusconi è tornato a parlarci a distanza, ma soltanto in audio: per rivederlo anche in video in tutta la sua beltà occorre attendere le operazioni di restauro programmate per i prossimi giorni in una clinica svizzera, a causa del cedimento strutturale del lifting causato dallo scriteriato di piazza Duomo, che ha trasformato il volto del Divino Amore in un quadro cubista. Buona comunque l’idea di invitare i fans a donare agli amici per Natale una tessera del Pdl (per i primi dieci è prevista anche una tessera P2 in offerta speciale). La prima, la Numero Uno versione gold, spetta comunque di diritto a Massimo Tartaglia. E il videomessaggio natalizio sta diventando contagioso, tant’è che ieri ne ha inviato uno – disponibile sul sito del Consiglio regionale della Campania – anche Sandra Lonardo Mastella, confinata nell’esilio romano da quando i giudici di Napoli hanno disposto di non farla avvicinare alla sua regione, onde evitare che faccia altri danni. Dall’umile cubicolo sotto un ponte del Tevere, affiancata da un albero di Natale, la statista ceppalonica si è rivolta ai suoi numerosi sostenitori, orfani inconsolabili della sua presenza da ormai un paio di mesi. Ed è stata una gioia per tutti scoprirla in piena salute: un portavoce l’ave va addirittura descritta come prossima alla fine (“Sta malissimo, temiamo un nuovo caso Tortora”), ma fortunatamente era male informato. “Vivo una condizione davvero drammatica, esiliata dalla mia terra, ma quest’esperienza mi sta dando tanto in termini di crescita”, ha rivelato l’illustre esule col metro in mano. Poi ha annunciato che andrà alla messa di Natale e lì “pregherò per tutti, anche per la Campania alla quale ho sempre dato molto”. Per la verità, secondo la magistratura, avrebbe anche preso qualcosina, ma questo la signora ha omesso di rammentarlo. In ogni caso, per sottrarla all’assedio dei fans, la chiesa prescelta per il presepe sannitico verrà transennata e presidiata dalla forza pubblica. “Vorrei dire ai campani e ai beneventani – ha poi annunciato lady Mastella – che sono una persona perbene e ho sempre fatto tutto nel rispetto delle regole”. Per esempio quando tentò di cacciare il direttore generale dell’ospedale di Caserta, Luigi Annunziata, che osava rifiutarsi di nominare primari targati Udeur. Particolarmente ambìto un posto di ginecologo: com’è noto, tutte le puerpere campane pretendono di partorire dinanzi a un medico dell’Udeur, altrimenti non se ne fa nulla. “Da quanto non vedi Annunziata, quello di Caserta?”, domandava la statista al consuocero Carlo Camilleri in una celebre intercettazione. E lui: “Da ieri mattina. Mi ha detto: ‘Ma perché stanno tutti contro di me? Io sono stato sempre a disposizione’”. E lei, amorevole come sempre: “Ti dice delle cazzate perché non è vero... Per quanto mi riguarda lui è un uomo morto! E lo è anche per mio marito. Quindi per cortesia tenetevene alla larga”. L’assessore regionale alla Sanità, Angelo Montemarano, ha confermato tutto in Procura: “Ho ricevuto un’informale richiesta da Sandra Lonardo di revocare l’incarico al direttore generale”. E il gip di Napoli ha concluso: “Emerge in maniera evidente che la presenza di Annunziata al vertice dell’ospedale era stata predisposta al solo fine di assicurare il futuro inserimento in quella struttura pubblica di persone vicine al partito, a prescindere dalla professionalità”.
Lei però ribadisce di aver “fatto tutto nel rispetto delle regole ”. Le sue. Lo struggente videomessaggio si chiude con una minaccia al popolo campano, peraltro già molto provato: “Ci rivedremo presto”. E con un sibillino avvertimento: “Il tempo è galantuomo”.
Infatti, almeno lui, non è iscritto all’U d e u r.

I BUONI MAESTRI (0078)


(Il Fatto Quotidiano – Anno 1 – Numero 78)
Martedi, 22 Dicembre 2009
I BUONI MAESTRI

Dopo tanti cattivi maestri, finalmente è scoccata l’ora di quelli buoni. I moderati della Lega nord, quelli che sfilavano con una lapide per il procuratore di Verona Papalia, quelli dei fucili e dei kalashnikov, quelli che vietano agli islamici di pregare nelle loro moschee e poi si sposano con rito celtico davanti al druido, sciolgono inni all’Amore e intimano al Pd di liberarsi di quell’estremista di Di Pietro. Luciano Moggi, condannato dalla giustizia sportiva e imputato per associazione a delinquere finalizzata alla frode sportiva, l’uomo che ha trascinato la Juventus in Serie B condannandola all’irrilevanza per anni, il braccio destro del dottor Giraudo appena condannato in primo grado a 3 anni, ecco, un personaggino di tal fatta pontifica sulla crisi della Juve iniziata grazie ai suoi maneggi: “Non cacciate Ferrara, ma la dirigenza”. Gli attuali dirigenti, infatti, hanno il grave torto di essere incensurati, di non ricorrere al doping e di non scegliersi gli arbitri à la carte. Dunque se ne devono andare (Ferrara invece no, perché è un fedelissimo suo e di Lippi, padre di cotanto figlio, vedi alla voce Gea). Anche Clemente Mastella, imputato a Napoli per varie concussioni, abusi e altre quisquilie assieme alla sua signora e a mezza Udeur, dunque rappresentante dell’Italia al Parlamento europeo, monta in cattedra: invece di andare a nascondersi per quel che è emerso sul suo conto, chiede 10 milioni di danni all’ex pm De Magistris, reo di averlo inquisito per i suoi rapporti con i vari Saladino e Bisignani. Sventola, a riprova della sua innocenza, il decreto di archiviazione di una gip di Catanzaro, dimenticando forse quel che ha scoperto la Procura di Salerno: la gip non aveva ricevuto tutte le carte dell’inchiesta Why Not necessarie per decidere su di lui; pare infatti che i pm calabresi ora indagati per aver fatto cacciare De Magistris e per aver insabbiato parte delle sue indagini non le avessero trasmesso l’intero fascicolo. Poi ci sono le lezioncine di Formigoni, al quale stanno arrestando assessori e amici al ritmo di uno alla settimana: lo Sgovernatore lombardo spiega che quello squisito esponente del Partito dell’Amore che è l’assessore Prosperini (“I gay? Garrotiamoli. Ma non con la garrota di Francisco Franco. Alla maniera degli Apache: cinghia bagnata legata stretta intorno al cranio. Il sole asciuga il laccio umido, il cuoio si ritira, il cervello scoppia”) è stato arrestato per sbaglio, “come Alberto Stasi”. Si attende la querela di Stasi per l’accostamento. Frattanto gli avvocati del premier si affannano a escogitare non una, ma tre leggi ad personam (superlodo Alfano con turboelica costituzionale, legittimo impedimento ovviamente illegittimo e processo breve anzi morto) con l’amorevole collaborazione del duo Violante & D’Alema. I quali, mentre ribadiscono di essere contrari alle leggi ad personam per evitare che gli elettori capiscano, lasciano chiaramente intendere una voglia matta di immunità-impunità. E seguitano a richiamarsi alla “Costituzione del 1948”. Si guardano bene dal dire che il vecchio articolo 68 non prevedeva alcuna immunità automatica, ma solo la possibilità che il Parlamento bloccasse eventuali inchieste viziate da fumus persecutionis, nei casi rarissimi, eccezionali di magistrati animati da intenti persecutori contro esponenti dell’opposizione per reati politici. Mai ai Padri costituenti, quelli veri, era venuto in mente di proteggere i capi di governo da sacrosante inchieste per reati comuni. Ora c’è solo un piccolo ostacolo, sulla strada dell’inciucione: gli eventuali elettori del Pd, animati da quella che D’Alema chiama “la cultura azionista che non ha mai fatto bene al paese”. Non ce l’ha, si capisce, con gli azionisti Mediaset o Telecom: quelli gli son sempre piaciuti un sacco. Ce l’ha con il Partito d’azione dei Parri, Luss, Rosselli, Galante Garrone, Bobbio, Mila, Casalegno, Sylos Labini. Cattivi maestri che parlavano di questione morale. Tutti pericolosamente incensurati. Gentaglia.

DUOMO CONNECTION (0077)


(Il Fatto Quotidiano – Anno 1 – Numero 77)
Domenica, 20 Dicembre 2009
DUOMO CONNECTION

L’ultimo numero di Panorama è un bel ritrattino del mondo alla rovescia in cui viviamo, popolato di buoi che danno del cornuto all’asino. Per non parlare delle vespe. Il direttore è un certo Giorgio Mulè, molto noto in casa Previti e Dell’Utri, un po’ meno presso gli altri italiani.
Dirige un settimanale che, negli anni, sotto le direzioni di Ferrara (condirettore Pigi Battista), Rossella e Belpietro, ha linciato non solo gli avversari politici del padrone (che almeno hanno la possibilità di difendersi), ma anche cittadini comuni come Stefania Ariosto e magistrati a cui il padrone levò la scorta, come Ilda Boccassini. Quest’ultima fu accusata nel 2001 da Lino Jannuzzi di aver incontrato a Lugano i colleghi Castresana, Del Ponte ed Paciotti per organizzare l’arresto di Berlusconi. I quattro dimostrarono che quel giorno si trovavano rispettivamente a Milano, a Madrid, in Tanzania e a Bruxelles. Ma Iannuzzi promise di “portare le prove”. Naturalmente non le portò, Panorama fu condannato, Iannuzzi si rifugiò in Parlamento con relativa impunità. Si attendono ancora le scuse del settimanale alle vittime della diffamazione: ma Mulè è troppo impegnato in nuovi linciaggi. Stavolta riesce a infilare, tra i “brigatisti dell’odio” e i “cattivi maestri”, Ciampi e “i magistrati che permettono a un assassino (Spatuzza, ndr) di appiccicare a Berlusconi l’e t i ch e t t a di mafioso e di stragista”. Peccato che Falcone e Borsellino siano morti, altrimenti sarebbero iscritti a n ch ’essi nelle Brigate dell’Odio, visto che istruirono il maxiprocesso alla mafia sulla base di tre pentiti – Buscetta, Calderone e Contorno – due dei quali erano dei noti assassini. Nel Panorama rovesciato pontifica anche Giuliano Ferrara, che dopo aver dato del “go l p i s t a ” a un presidente della Repubblica in carica, Scalfaro, fa la verginella violata contro i “fa z i o s i ” (lui, equilibrato stilnovista) che si permettono di attaccare il padrone, “nemico di tutte le ideologie fallite del secolo scorso”. Compreso il comunismo, di cui naturalmente Ferrara faceva parte fino al 1983 nella versione più truculenta: lo stalinismo togliattiano. E c’è pure Littorio Feltri, nota dama della carità, che alza il ditino contro “chi per 16 anni hanno linciato Berlusconi”. Forse ce l’ha con quel direttore dell’Europeo che l’11 agosto ’90 tuonava: "Per 14 anni, diconsi 14 anni, la Fininvest ha scippato vari privilegi, complici i partiti: la Dc, il Pri, il Psdi, il Pli e il Pci con la loro stolida inerzia; e il Psi con il suo attivismo furfantesco, cui si deve tra l'altro la perla denominata 'decreto Berlusconi', cioè la scappatoia che consente all'intestatario di fare provvisoriamente i propri comodi in attesa che possa farseli definitivamente. Decreto elaborato in fretta e furia nel 1984 ad opera di Bettino Craxi in persona, decreto in sospetta posizione di fuorigioco costituzionale, decreto che perfino in una repubblica delle banane avrebbe suscitato scandalo e sarebbe stato cancellato dalla magistratura, in un soprassalto di dignità, e cheinvece in Italia è ancora spudoratamente in vigore senza che i suoi genitori siano morti suicidi per la vergogna". Poi aggiungeva, profetico: “Il dottor Silvio di Milano 2, l'amico antennuto del Garofano, pretende tre emittenti, pubblicità pressoché illimitata, la Mondadori, un quotidiano e alcuni periodici. Poca roba. Perché non dargli anche un paio di stazioni radiofoniche, il bollettino dei naviganti e la Gazzetta ufficiale, così almeno le leggi se le fa sul bancone della tipografia?". Chi era costui? Ma Feltri, naturalmente, in una delle sue numerose reincarnazioni. Voltando qualche pagina di Panorama, compare la firma di Giuseppe Cruciani, specializzato nel linciaggio di persone assenti nella rubrichetta “La z a n z a ra ” su Radio24,nonchè autore di un libro encomiastico in lode del Ponte sullo Stretto. Finalmente, dopo tanti sforzi di lingua, ha conquistato anche lui un posto al sole alla corte di Reo Silvio.
Leccate, leccate, qualcosa resterà.

LA VESPA COCCHIERA (0076)


(Il Fatto Quotidiano – Anno 1 – Numero 76)
Sabato, 19 Dicembre 2009
LA VESPA COCCHIERA

Molti di quanti mi danno la solidarietà per quel che sapete (a proposito: grazie a tutti) mi domandano: “Ma perché l’altra sera, quando Vespa ti ha chiamato per replicare a Bondi e Matteoli che ti additavano come mandante dell’attentato a Berlusconi, hai rifiutato?”. Immaginano, gl’ingenui, che io fossi in poltrona a delibarmi “Porta a Por ta” e che, appena s’è cominciato a parlare di me, lo squisito conduttore mi abbia raggiunto al telefono per darmi il diritto di replica. Non è così. E’ bene che si sappia come il signorino intende il “contraddittor io”.
Intorno alle 18 mi chiama una redattrice del programma: “Vespa le chiede se vuole intervenire in trasmissione. Sa, si parla di lei, abbiamo trasmesso alcuni stralci del suo Passaparola dal blog di Grillo, ci sono Bondi e Matteoli”. Cado dalle nuvole: avranno retrocesso “Porta a Porta” al pomeriggio? No, è tutto registrato. Ciò che si dice nel dibattito lo sanno solo le persone presenti in studio (dove, comprensibilmente, non ho mai avuto la fortuna di metter piede: Vespa dice che preferisce incontrarmi in tribunale, dove – per la cronaca – mi fece una causa e la perse). Domando alla gentile collega: “A che cosa dovrei replicare, visto che non so che cosa si sta dicendo e quali mie frasi avete estrapolato da mezz’ora di Passaparola?”. La giovine è imbarazzata: “Posso riassumere io”. Ribatto: “Mi auguro che abbiate montato una delle tante condanne dell’attentato disseminate in tutto il Passaparola onde evitare montaggi tendenziosi. Per il resto, se volete sentirmi, invitatemi in studio, nelle stesse condizioni degli altri ospiti. Per ora, cantatevela e suonatevela da soli”. Scoprirò poi che Vespa mi aveva allestito un processo in contumacia, dal titolo “Di chi la colpa?”. Mia, si capisce: per le cose che avrei detto dopo, e non prima dell’attentato. Chi volesse saperne di più sulla correttezza professionale di questo individuo non ha che da leggere Panora ma , house organ della famiglia Berlusconi dove il conduttore più indipendente e imparziale della Rai ha una rubrica fissa, edita dalla Mondadori che gli pubblica i libri e gli mantiene pure il fratello Stefano, mentre nel governo Berlusconi lavora la moglie Augusta Iannini, capufficio legislativo del ministero della Giustizia: tutte le leggi vergogna partorite da Angelino Jolie passano per le auguste manine. Nell’ultimo numero l’insetto stigmatizza la Cassazione per aver osato assolvere Piero Ricca, reo di aver dato del “buf fone” a Berlusconi (come la gran parte della stampa internazionale) e di avergli ricordato l’articolo 3 della
Costituzione. Poi aggiunge che “una parte dei magistrati ha ingaggiato dal ‘94 col Cavaliere una partita mortale che non si concluderà mai perché i processi contro di lui si rigenerano come l’idra a sette teste”. Capita a diversi imputati che, commettendo molti reati, subiscono molti processi. Ma, quando capita a Berlusconi, il suo (e nostro) salariato Vespa chiama i processi “partita mortale”. Poi aggiunge che Berlusconi fu “p ro s c i o l t o ” dalle accuse di mafia a Palermo e di strage a Caltanissetta. E’ falso: la sua posizione fu archiviata per decorrenza dei termini, ergo le inchieste possono riaprirsi in qualunque momento all’emergere di nuovi fatti. Poi racconta, il Vespa, una lettera in cui “i corleonesi minacciavano nel ’94 di rapirgli il figlio se non avesse messo a disposizione una tv”: dimentica che, nella stessa lettera attribuita a Provenzano, questi prometteva appoggio politico. Poi conclude con la solita balla: “Giuseppe Spatuzza smentito da Filippo Graviano”. In realtà Spatuzza (che si chiama Gaspare) non è stato smentito da Filippo Graviano: fu l’altro Graviano (Giuseppe) a parlargli di Berlusconi e Dell’Utri. E poi: se al processo facevano parlare prima Graviano e poi Spatuzza, che avrebbe scritto Vespa? Che Spatuzza aveva smentito Graviano? Ma no che non l’av re bb e scritto. Il padrone, come il Duce, ha sempre ragione.

SE NON E’ AD PERSONAM NON LA VOGLIAMO (0075)


(Il Fatto Quotidiano – Anno 1 – Numero 75)
Venerdi, 18 Dicembre 2009
SE NON E’ AD PERSONAM NON LA VOGLIAMO

Quella di ieri era una giornata da segnare sul calendario: il professor Angelo Panebianco, sul Pompiere della Sera, definiva addirittura “del tutto sbagliato e inopportuno” il killeraggio parlamentare di Cappuccetto Ciquito. Mancava che aggiungesse “p e rd i n c i b a c c o ” e “perdindirindina”, poi si spettinava tutto. Comunque l’ha detto. Ha impiegato il periodo minimo di latenza, 48 ore, ma l’ha detto. Ha spiegato che Grembiulino Azzurro sbaglia perché così “non aiuta Bersani a sciogliere i nodi che egli sa di dover sciogliere”, cioè a scaricare Di Pietro e fondersi con Berlusconi. Ma l’ha detto. tanto basta: l’ultima volta che Whitebread aveva pronunciato gli aggettivi “sba gliato” e “inopportuno” a proposito di un berlusconiano, fu quando un pelo della barba gli s’impigliò nel rasoio elettrico, allora si redarguì allo specchio: “Santi numi, Angelo, ti radi in modo del tutto sbagliato e inopportuno!”. Quando ci vuole, ci vuole. Ancora nessun segno di vita, invece, dal vertice del Pd che non ha ancora detto alcunché di proporzionato ai rastrellamenti e alle spedizioni punitive delle Brigate Cicchitto. Bersani, del resto, è impegnatissimo a Palermo a stringere l’accordo con l’Mpa di Lombardo, che vanta una densità di inquisiti e condannati da far impallidire il quartiere Zen. Meglio dell’Udc e di Forza Italia, per dare l’idea. La minoranza interna domanda al segretario come lo spiegherà agli elettori, ma pare che Bersani abbia già risposto con il consueto humour: “Quali elettori?”. D’Alema intanto, reduce dagli ultimi trionfi europei, rivela che “Bersani si muove bene”. Ma la notizia è che si muove. Sono movimenti impercettibili che sfuggono all’occhio umano, paragonabili a quelli del bradipo. Ma, munendosi di un rilevatore ad altissima precisione, tipo contatore geiger o elettroencefalografo, qualche attività motoria la si può notare. E’ coma, però vigile. In attesa di movimenti visibili a occhio nudo, l’Attila di Gallipoli si muove in proprio. Spiega al Pompiere che “i populismi di Berlusconi e Di Pietro sono speculari e si alimentano a vicenda: Di Pietro è l’oppositore ideale per Berlusconi”. Per questo tv e giornali berlusconiani attaccano sempre Di Pietro e mai D’Alema: temono che il Cavaliere stravinca. Invece D’Alema, dai tempi della Bicamerale, è una vera spina nel fianco. E, per dare il colpo di grazia all’i l l u s t re convalescente, propone “una leggina ad personam per evitare il suo processo e limitare il danno all’ordinamento e alla sicurezza dei cittadini”. Come avevamo ampiamente previsto un mese fa, quando ci domandammo quale dei diversamente concordi si sarebbe fatto avanti per primo a offrire un salvacondotto a Berlusconi in cambio del ritiro del “processo breve”. Beata ingenuità: D’Alema, chi altri? Era già accaduto due estati fa con il lodo Alfano: Berlusconi minacciò di bloccare 100 mila processi, Veltroni e Napolitano gli proposero di bloccare solo i suoi, il lodo passò e quelli finsero pure di aver vinto. Ora Max torna sul luogo del delitto, anzi del relitto.
Gli fa eco Piercasinando su Repubblica: “L’Udc è pronta a discutere del legittimo impedimento. A patto che sia soltanto una misura per il premier”. Ecco, a patto. E bravo l’oppositore Casini: che fegato. C’e ra un tempo in cui si parlava di conflitto d’interessi (ne parlava persino Berlusconi) e le leggi ad personam erano considerate una vergogna incostituzionale proprio perché ad personam, visto che in uno Stato di diritto le norme sono “provvedimenti generali e a s t ra t t i ”. Ora apprendiamo da Max e Pier, i nuovi padri ricostituenti, che una legge è buona solo se è ad personam, solo se serve soltanto a Berlusconi. Altrimenti non gliela votano. E chi sarebbe l’oppositore ideale per Berlusconi? Di Pietro, of course.

IL DECODER DELLA SERA (0074)


(Il Fatto Quotidiano – Anno 1 – Numero 74)
Giovedi, 17 Dicembre 2009
IL DECODER DELLA SERA

Massima solidarietà ai lettori del Pompiere della Sera: ormai, per rintracciare le notizie sul loro giornale, sono costretti a scalate acrobatiche da campioni mondiali di free climbing. Ieri chi cercasse tracce della lista di proscrizione letta alla Camera da Cappuccetto Ciquito, doveva pazientare ore arrampicandosi su decine di titoli diversivi e sfogliando e risfogliando il quotidiano muniti di lente d’ingrandimento. Pagina 1, niente: “L’amarezza di Berlusconi: colpito nella mia Milano”. Pagina 2, nisba: “Il Cavaliere, io su quel predellino”. Pagina 3, macché: “A rischio la conferenza sul bilancio. Al timone c’è Letta”. Pagina 4, nada de nada: pubblicità delle scarpe Tod’s. Pagina 5, nix: “Stretta su Internet e manifestazioni”. Pagina 6, buonanotte: “Facebook interviene: bloccato un gruppo violento”. Pagina 7, manco per sogno: pubblicità delle scarpe Hogan (vedi Tod’s). Pagina 8, acqua: “Napolitano: politica troppo conflittuale”. Pagina 9, fuochino: “Alta tensione alla Camera. Parla il leader idv, il Pdl esce”. Ecco, ci siamo: in un esile occhiellino finalmente si legge che “Cicchitto attacca pm, stampa e opposizione”. Nel pezzo, ben 11 righe e mezza sono dedicate alla Cicchitto’s List. Nessun commento, nessun editoriale per invitare l’incappucciato a moderare i toni o additarlo come fomentatore di odio. E morta lì. Del resto quella di nascondere le notizie sotto una spessa coltre di fresche frasche e frescacce è diventata una bella abitudine della stampa indipendente. Quando Veronica Berlusconi scrisse all’Ansa che il marito aveva la suina, il direttore dell’Ansa le chiese di omettere la frase che
avrebbe potuto urtare il diletto consorte. Quest’estate, quando Fiorenza Sarzanini portò al Corriere lo scoop dell’anno sul caso D’Addario, glielo nascosero sotto un titoletto-estintore su due colonne. La settimana scorsa, un pezzo informatissimo di Luigi Ferrarella sull’i n ch i e s t a della Procura di Milano a proposito del Cavaliere che riceve, come gentile omaggio per il Natale 2005, la telefonata segretata di Fassino e Consorte, subito “Fassino intercettato, Di Pietro denuncia”. Mancavano solo due paroline, le solite: Silvio Berlusconi. L’indomani esplosiva intervista di Marzio Breda a Carlo Azeglio Ciampi sugli ultimi deliri del premier che gli aveva appena dato del comunista: “Faccio fatica a commentare sortite così inqualificabili che riflettono tempi molto tr isti… Ci sarebbe quasi da valutare se chi lancia queste accuse sia davvero ‘compos sui’, vale a dire pienamente padrone di sé”. Cioè: l’ex presidente della Repubblica dà dello squilibrato al presidente del Consiglio, ergo il Corriere titola: “Il premier venne a implorarmi di
accettare un secondo mandato”. A questo punto, per aiutare i lettori a scovare i fatti in quel mare di fuffa, il Pompiere potrebbe lanciare un gioco di società: “Tr ova la notizia. Ricchi premi a chi la scopre”. E allegare al giornale un pratico decoder tascabile o un comodo Tom Tom portatile che li guidi nella caccia al tesoro. “Proseguite diritti per 10 pagine. Alla numero 11 dirigetevi verso il basso e svoltate in fondo a sinistra. Fermatevi tra la pubblicità del callifugo Ciccarelli e quella degli occhiali a raggi X per vedere le donnine nude. Posizionate il microscopio elettronico al 18° capoverso in corrispondenza con riga 89, programmate il massimo ingrandimento possibile. Lì, se non è evaporata, dovrebbe apparirvi la notizia. Buona fortuna”. PS. Viva costernazione ha suscitato fra i 4 vicedirettori, i 3 lettori e i 2 abbonati del Riformista l’editoriale di Polito El Drito con l’annuncio che non sarà presente stasera ad Annozero. Vani i tentativi della redazione di farlo recedere dall’insano proposito, nella speranza di levarselo dai piedi per un paio d’ore. Sulla drammatica defezione s’è aperto un vivace dibattito su Facebook nel fan club di El Drito, denominato “E chi cazz’è Polito?”.

CICK TO CICK (0073)


(Il Fatto Quotidiano – Anno 1 – Numero 73)
Mercoledi, 16 Dicembre 2009
CICK TO CICK

Sono del tutto ingiustificati gli allarmi per l’annunciato decreto Maroni contro il dissenso nelle piazze e sulla Rete. Anzitutto perché il ministro dell’Interno è un noto libertario che detesta le repressioni, anzi ha proprio il dente avvelenato con la Polizia, come si legge nella sentenza della Cassazione che lo condanna a 4 mesi e 20 giorni per resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale, per aver ingaggiato un parapiglia con gli agenti che nel 1996 perquisivano la sede della Lega Nord. Il piccolo Bobo finì in ospedale col naso rotto (anche lui), non prima di aver azzannato la caviglia di un poliziotto. Di qui la nomina a ministro dell’Interno, per competenza gastronomica in fatto di polizia. Ma chi teme una svolta repressiva può stare sereno anche perché abbiamo alla Camera un formidabile difensore della democrazia, furibondo col ministro dell’Interno che vuole limitare “le manifestazioni pubbliche”. Esprime “profonda insoddisfazione per la risposta del m i n i s t ro ” che “potrebbe determinare la chiusura del confronto democratico”, “accumula tensione a tensione” e ”provoca un braccio di ferro, un susseguirsi di sfide e controsfide… Non è certo con questi provvedimenti che si affronta la gravità dell’ordine pubblico. Anzi, in questo modo si accentuano gli elementi negativi”. “Non posso – prosegue il descamisado – non contestare le direttive impartite alle forze dell’ordine: un preventivo attacco contro chiunque si avvicinasse alla piazza, da cui sono derivate aggressioni a cittadini per nulla organizzati né violenti, che a loro volta hanno innescato un meccanismo pericoloso, grave e drammatico... E’ la direttiva alle forze dell’ordine che va nettamente contestata e condannata”. Il disegno, secondo il nostro tupamaro, è chiaro: “Da parte di ben determinati settori del potere si investono le forze dell’ordine cercando di determinare uno spostamento a destra, un riflusso verso una tendenza al rancore e allo scontro con i manifestanti… Un disegno di provocazione e rottura presente in settori politici della maggioranza” che “ci auguriamo sia solo un errore e non un disegno premeditato del governo. Da un lato è necessario un confronto parlamentare sulla questione e chiediamo il ritiro del decreto; dall’altro le forze democratiche giovanili debbono comprendere a quale pericolo di scontri e a quali trappole sono di fronte” per “sconfiggere il tentativo re p re s s i vo …in cui a repressione si aggiunge re p re s s i o n e …per spostare a destra l’opinione p u bbl i c a ”. Il nostro paladino chiama a raccolta tutte “le forze non violente e democratiche” contro le “procedure del governo che ci lasciano sgomenti”, un autentico “tentativo di repressione indiscriminata” che può portare a “situazioni ancor più gravi” e richiede “uno sforzo da parte di un ampio arco di forze democratiche”. E’ in atto – denuncia – “uno sgretolamento dello Stato o un tentativo diretto a cambiare il volto dello stesso Stato uscito dalla resistenza, per edificarne uno che intrecci incapacità, disfacimento e repressione”. A parlare così alla Camera è l’on. Fabrizio Cicchitto. Purtroppo non ieri, ma il 13 maggio 1977 all’indomani della morte di Giorgiana Masi in una manifestazione radicale non autorizzata dal Viminale. Il governo era l’Andreotti III. Il ministro dell’Interno era Cossiga. E Cicchitto era deputato dell’estrema sinistra socialista, tre anni prima di incappucciarsi chez Licio, tessera P2 numero 2232. Quando il suo nome fu trovato nelle liste, Fortebraccio immaginò un dialogo fra Lenin e Marx nei Campi Elisi. “Compagno Marx, ti vedo triste e pensoso, che ti è successo?”. “Compagno Lenin, ho avuto cattive notizie dalla terra: il compagno Cicchitto non ci vuole più bene”. Ma noi sappiamo che, sotto quel cappuccio, batte sempre il cuore di un sincero democratico. Grazie, compagno Cick, difendici tu.

LO CONFESSO (0072)


(Il Fatto Quotidiano – Anno 1 – Numero 72)
Martedi, 15 Dicembre 2009
LO CONFESSO

Ebbene sì, han ragione Cicchitto, Capezzone e Sallusti, con rispetto parlando. Inutile negare l’evidenza, non ci resta che confessare: i mandanti morali del nuovo caso Moro siamo noi di Annozero e del Fatto, in combutta con la Repubblica e le procure rosse. Come dice Pigi Battista sul Corriere, abbiamo creato “un clima av ve l e n a t o ”, di “odio politico”, roba da “guer ra civile”. Le turbe psichiche che da dieci anni affliggono l’attentatore non devono ingannare: erano dieci anni che il nostro uomo, da noi selezionato con la massima cura (da notare le iniziali M.T.), si fingeva pazzo per preparare il colpo. E la poderosa scorta del premier che si è prodigiosamente spalancata per favorire il lancio del souvenir (come già con il cavalletto in piazza Navona) non è che un plotone di attivisti delle Brigate Il Fatto, colonna milanese Annozero. Siamo stati noi. Abbiamo spacciato per cronaca giudiziaria il racconto dei processi Mills, Mondadori e Dell’Utri, nonché la lettura delle relative sentenze, mentre non era altro che “antiberlusconismo” per aprire la strada ai terroristi annidati nei centri di igiene mentale. Ecco perché non ci siamo dedicati anche noi ai processi di Cogne, Garlasco, Erba e Perugia: per “ridur re l’avversario a bersaglio da annichilire” ( s e m p re Battista, chiedendo scusa alle signore). Ci siamo pure travestiti da leader del centrodestra e abbiamo preso a delirare all’impazzata. Ricordate Berlusconi che dà dei “coglioni” alla metà degli italiani che non votano per lui, dei “matti antropologicamente diversi dal resto della razza umana” ai magistrati, dei “go l p i s t i ” agli ultimi tre presidenti della Repubblica, dei fomentatori di “guerra civile” ai giudici costituzionali e ai pm di Milano e Palermo, dei “cr iminosi” a Biagi, Santoro e Luttazzi, che
minaccia Casini e Follini di “farvi attaccare dalle mie tv” perché “mi avete rotto il cazzo” e invoca “il reg icidio” per rovesciare Prodi? Ero io che camminavo in ginocchio sotto mentite spoglie e tre chili di cerone. Poi, già che ero allenato, mi sono ridotto a Brunetta per dire che questa “sinistra di m e rd a ” deve “morire ammazzata”. Ricordate Bossi che annuncia “300 uomini armati dalle valli della Ber gamasca”, minaccia di “oliare i kalashnikov” e “drizzare la schiena” a un pm poliomielitico, sventola “fucili e mitra”, organizza bande paramilitari di camicie verdi e ronde padane perché “siamo veloci di mano e di pallottole che da noi costano 300 lire”? Era Santoro che riusciva a stento a coprire il suo accento salernitano con quello varesotto imparato alla scuola di dizione. Ricordate Ignazio La Russa che diceva “d ove t e mor ire” ai giudici europei anti-crocifisso? Era Scalfari opportunamente truccato in costume da Mefistofele. E Sgarbi che su Canale5 chiamava “assassini” i pm di Milano e Palermo e Caselli “m a fi o s o ” e “mandante morale dell’omicidio di don Pino Puglisi”? Era Furio Colombo con la parrucca della Carrà. E chi pedinava il giudice Mesiano dopo la sentenza Mondadori per immortalargli i calzini turchesi? Sandro Ruotolo, naturalmente, camuffato sotto le insegne di Canale5. Chi si è introdotto nel sistema informatico di Libero e poi del Giornale di Feltri e Sallusti per accusare falsamente Dino Boffo di essere gay, Veronica Lario di farsela con la guardia del corpo, Fini di essere un traditore al soldo dei comunisti? Quel diavolo di Peter Gomez. Chi ha seviziato Gianfranco Mascia, animatore dei comitati Boicotta il Biscione? Chi ha polverizzato la villa della vicedirettrice dell’Espresso Chiara Beria dopo una copertina sulla Boccassini? Chi ha spedito a Stefania Ariosto una testa di coniglio mozzata per Natale? Noi, sempre noi. Ora però ci hanno beccati e non ci resta che confessare. Se ci lasciano a piede libero, ci impegniamo a non dire mai più che Berlusconi è un corruttore amico di mafiosi. Lui è come Jessica Rabbit: non è cattivo, è
che lo disegnano così.

SIAMO INNOCENTI LO DICE LA MAFIA (0071)


(Il Fatto Quotidiano – Anno 1 – Numero 71)
Domenica, 13 Dicembre 2009
SIAMO INNOCENTI LO DICE LA MAFIA

Mentre i Graviano, Berlusconi e Dell’Utri trattano ormai alla luce del sole, sotto i riflettori delle telecamere, senza più nascondersi dietro le quinte, mentre cioè il fuoriscena irrompe sulla scena politico-mediatica con una chiarezza solare, giornali e tv fanno a gara a chi nasconde meglio ciò che è impossibile occultare. I titoli dei quotidiani e dei tg sono esemplari. Corriere della Sera: “Il boss smentisce il pentito”. Il Giornale: “Paperissima in tribunale. Smascherato il bluff del pm”. L i b e ro : “Ora tocca ai pm pentirsi. Sberla alle procure. Il boss Graviano in aula ridicolizza le rivelazioni di Spatuzza. Il castello di accuse contro Berlusconi crolla”. Oh bella: quando mai la parola di un boss mafioso non pentito diventa oracolo per sbugiardare quella di un mafioso che collabora con la giustizia accusando se stesso e i complici? Se così fosse, Falcone e Borsellino non avrebbero mai istruito un solo processo a Cosa Nostra, visto che tutti i boss han sempre “smentito”, “sbug iardato”, “s m a s ch e ra t o ” i pentiti Buscetta, Contorno e Calderone sui quali si imperniò il famoso maxiprocesso. Durante il quale, com’è normale in uno Stato di diritto, furono ascoltati i capimafia dell’epoca. Tutti, da Michele Greco a Pippo Calò, da Luciano Liggio a Vito Ciancimino ai cugini Salvo, vennero interrogati in aula. E tutti dissero che i pentiti che li accusavano si erano inventati tutto. Ma a nessuno venne in mente di prendere per oro colato le
loro smentite autoassolutorie. Anzi, il fatto che i capimafia smentissero i pentiti rafforzò l’attendibilità dei pentiti medesimi. Infatti i boss furono tutti condannati. Lo stesso è accaduto nei processi di Caltanissetta e Firenze per le stragi del 1992-’93: decine di pentiti accusavano Riina, Bagarella, Aglieri, Biondino & C., questi smentirono e furono tutti condannati. A nessun giornale o tg venne mai in mente di titolare: “Riina smentisce Brusca, dunque è innocente”. E’ piuttosto arduo, del resto, trovare un delinquente irriducibile che confessa i propri delitti e chiede al giudice di condannarlo all’ergastolo. Eppure capita spesso che i delinquenti irriducibili vengano condannati all’ergastolo anche se si proclamano innocenti. Ora, essendoci di mezzo Berlusconi e Dell’Utri, la logica viene rovesciata, con grave sprezzo del diritto, e anche del ridicolo. “Ma davvero – si domanda sulla Stampa Francesco La Licata, uno dei pochi che non hanno ancora smarrito il ben dell’intelletto – qualcuno pensava che i Graviano, mafiosi ancora saldamente ancorati alla loro ‘ideolog ia’, si sarebbero consegnati alla magistratura, così, nel corso di un processo pubblico, senza nessun accordo preventivo e senza un ‘c o n t ra t t o ’?”. Gli fa perfidamente eco Riccardo Barenghi nella rubrica “Je n a ”: “I boss mafiosi hanno salvato Dell’Utri e Berlusconi: detta così, come suona?”. Basta un paio di occhi aperti per vedere
ciò che accade a cielo aperto in questi giorni mefitici. Eppure c’è chi fa di tutto per non vedere, confondere le acque, mescolare le carte. Non solo i turiferari prezzolati di Mr. B, ma anche gli osservatori “indipendenti”. Tipo il solito Sergio Romano, che sul Corr iere sfida il principio di non contraddizione parlando di “discordanti testimonianze di Spatuzza e Filippo Graviano”, per concludere: “Ciò che conta, dal punto di vista processuale, è che il primo è stato smentito dal secondo”. E bravo l’ambasciatore. La Corte d’appello che sta giudicando Dell’Utr i (condannato in primo grado sui racconti di una ventina di pentiti, riscontrati da intercettazioni e documenti neutri, con una sentenza infinitamente più dura delle parole di Spatuzza) prenda buona nota e tragga le debite conclusioni: siccome Spatuzza è smentito da Filippo Graviano, ma anche da Riina, Provenzano, Aglieri, Bagarella e altri attendibilissimi gentiluomini, allora Dell’Utri è innocente. Lo dice pure Minzolini, e persino Dell’Utri. Quindi dev’essere vero.

EL DRITO, LIBERISTA A CARICO NOSTRO (0070)


(Il Fatto Quotidiano – Anno 1 – Numero 70)
Sabato, 12 Dicembre 2009
EL DRITO, LIBERISTA A CARICO NOSTRO

Ora che persino Antonio Polito s’è accorto che “questo è regime” e l’ha scritto sul R i fo r m i s t a , informando così i parenti stretti, potremmo dichiararci appagati e riposare sugli allori. Purtroppo il direttore del samizdat arancione, già organo del finto partito Le Ragioni del Socialismo (ovviamente a carico nostro), ora trasformatosi in una strana cooperativa che fa capo agli Angelucci (noti cooperatori di mutuo soccorso), è giunto alla drammatica conclusione in seguito all’unica cosa buona del governo Berlusconi: il taglio dei fondi pubblici ai giornali (la seconda saranno le dimissioni). Intendiamoci: la norma, come chiede anche Fini, deve salvare le vere cooperative di giornalisti, come il M a n i fe s t o , e forse anche i giornali veri di partiti veri: Secolo d’Italia, Padania , Unità, L i b e ra z i o n e . Almeno finché resta il finanziamento pubblico, i partiti han diritto a dirottarne una quota per comunicare le proprie eventuali idee. Per tutto il resto, o un giornale si mantiene con i lettori e la pubblicità, o chiude. Come ogni impresa in ogni mercato libero. Purtroppo il Riformatorio non conosce la parola “lettor i”, essendone sprovvisto. E così, mentre predica liberismo e blairismo à go-go, difende quel residuo di socialismo reale che sono i soldi dello Stato ai giornali. Ben sapendo che i compagni Angelucci sono tanto bravi e tanto buoni, ma senza i 2,5 milioni di euro dallo Stato, lo chiudono. Anche perché ha più vicedirettori (quattro) che abbonati. Di qui la disinteressata denuncia di Polito El Drito. Non c’era regime quando furono cacciati Biagi, Luttazzi e Santoro, infatti El Drito attaccò chi gridava al regime. Non c’era regime quando chiusero “Raiot”, anzi, intervistato da Sabina Guzzanti per “Viva Zapatero!”, El Drito spiegò con quell’aria da figaro napoletano intento a spruzzare il proraso che “la Rai ha tutto il diritto di chiudere il programma”. Non c’era regime nemmeno quando una sua firma di punta, tal Piroso, censurò su La7 un servizio su mafia e politica: anzi El Drito diede ragione al censore. Ora che Tremonti, finalmente, ci risparmia il fastidio di pagare giornali che ci guardiamo bene dall’acquistare, El Drito scopre il regime. Forse dimentica che è proprio nei regimi che lo Stato finanzia la stampa. E si scorda che quegli angioletti degli Angelucci ricevono altri 7,8 milioni l’anno (dato del 2008) per l’altro giornale che mandano in edicola, quello di destra: L i b e ro . Che di vicedirettori ne ha addirittura sei, ma almeno ha pure dei lettori. Eppure incassa montagne di soldi pubblici in quanto, a un certo punto, divenne organo ufficiale del noto Movimento Monarchico Italiano. Di buon mattino infatti, dopo l’alzabandiera, la riunione di redazione di L i b e ro si apre con la Marcia Reale. Poi prende la parola il direttore, Maurizio Belpietro principe di Val Cismon e Val Brembana. Almeno quando non è impegnato in battute di caccia alla volpe nella tenuta di San Rossore. Nel qual caso gli subentra l’aiutante di campo Franco Bechis conte della Margarita. Molto ascoltati anche il palafreniere di corte, Filippo Facciridere cavaliere di Ripafratta; il damo di compagnia Davide Giacalone di Val Mammì; la voce bianca della cappella reale, Mario Giordano marchesino di Canelli e Passerano Marmorito; e la baronessa Daniela Santanchè Serbelloni Mazzanti Viendalmare. Milioni ben spesi, quindi, quelli a L i b e ro , se si pensa che servono pure a mantenere nobiluomini come Luciano Moggi duca di Monticiano e Civitavecchia, attualmente ristretto nelle segrete del palazzo da cui è appena fuggito monsignor Renato Farina de’ Betullis al seguito del marchese Littorio Feltri di Forlipopoli, noto per la raffinatezza dei modi, dunque promosso a primo addetto alle scuderie della reggia di Arcore, da tempo vacanti. Si spera che il regime repubblicano non voglia spegnere queste ultime nobili voci della Real Casa. Viva il Re!

RAG. UGO FANTOZZI, SEGRETARIO DEL PD (0069)


(Il Fatto Quotidiano – Anno 1 – Numero 69)
Venerdi, 11 Dicembre 2009
RAG. UGO FANTOZZI, SEGRETARIO DEL PD

Chissà che aspettano i diversamente concordi del Pd per urlare alto e forte chi è Silvio Berlusconi. Forse aspettano che li faccia arrestare a uno a uno, modello Putin o Lukashenko. Fino a quel momento, dialogo e prudenza. Si pensava, anni fa, che bastasse la Telekom Serbia, quando il Pdl costruì una commissione parlamentare per fabbricare a tavolino tangenti immaginarie da Milosevic a Prodi, Fassino e Dini sui leggendari conti Mortadella, Cigogna e Ranocchio.
Niente da fare: dialogo e prudenza. Ora si scopre che Berlusconi ricevette in dono per Natale 2005 l’intercettazione segretata Fassino-Consorte (“A bb i a m o una banca?”) e una settimana dopo il suo Giornale la sbattè in prima pagina avviando la campagna elettorale. Non male per l’ometto di Stato che tuona da 15 anni contro le fughe di notizie, brandisce la privacy e il “segreto istruttorio”, vuole abolire le intercettazioni (tranne quelle degli altri). Basterà a far insorgere i diversamente concordi? Ma no che non basta. Al loro posto i berluscones avrebbero già tirato giù il governo, l’Ue, e forse anche l’Onu. Invece, dal fronte pidino, è tutto un pigolare distinguo fra se, ma, però, magari, forse, avrebbe, eventualmente, se fosse confermato... Dialogo e prudenza. La scena ricorda quella del rag. Ugo Fantozzi pestato a sangue da una gang di teppisti che sventrano pure la Bianchina e, fra un ceffone e una testata, prima di perdere i sensi esala: “Badi, signore, che se osa alzare la voce con me...”. Ogni giorno la cronaca sforna tre-quattro assist, a beneficio di un’eventuale opposizione: tutte palle alzate in attesa di qualcuno addetto alla schiacciata.
Impresa titanica per il Pd, notoriamente acronimo di Per Disperazione. Ieri il Corr iere pubblicava un commento di Salvatore Bragantini sulla mega-fideiussione prossimamente emessa da Intesa Sanpaolo per garantire il debito di Berlusconi & Fininvest verso De Benedetti per avergli fregato la Mondadori con una sentenza comprata da Previti (una cosina da 750 milioni): “Immaginiamo se Obama convocasse a Washington il gotha bancario Usa per garantire un suo debito personale: non sarebbe concepibile”. Anche perché in America l’opposizione c’è. E anche perché in America porcherie come l’o p e ra z i o n e Alitalia, pilotata da Intesa Sanpaolo, finiscono in tribunale.
Sempre ieri La Stampa raccontava come Previti abbia appena staccato un assegno da 17 milioni per evitare un processo per riciclaggio e chiudere il contenzioso con la stessa Intesa Sanpaolo, proprietaria dell’Imi a suo tempo derubata di 1000 miliardi di lire dalla famiglia Rovelli grazie a un’altra sentenza comprata dalla premiata ditta Previti & C. Naturalmente i 17 milioni, secondo La Stampa, han fatto il giro del mondo fra le Bahamas e il Liechtenstein, nella migliore tradizione del nostro centrodestra off shore. Stiamo parlando di un soggettino che Berlusconi portò al governo nel ‘94 e in Parlamento nel ‘94, nel ‘96, nel 2001 e nel 2006: lo voleva addirittura ministro della Giustizia e solo grazie alla vista aguzza di Scalfaro, molto fisionomista, fu dirottato alla Difesa. A questo punto anche l’opposizione del Madagascar o dell’isola di Pasqua, con tutto il rispetto, chiederebbe conto al premier di questa vergogna a cielo aperto e, appena ciarla di complotti giudiziari e toghe rosse, lo incalzerebbe con qualche domandina semplice semplice.
Scusi, ometto, ma se era tutto un complotto, perché Previti ha restituito 17 milioni sull’unghia? E ora che aspetta a chiedere scusa a Stefania Ariosto, ai pm di Mani Pulite e ai giudici di primo, secondo e terzo grado che condannarono il suo amico corruttore di giudici ed evasore fiscale e che lei e i suoi house organ avete diffamato e calunniato per 13 anni? Ancora una cosa, ometto: se i complotti ai suoi danni sono tutti come quelli che han colpito Previti, non sarà per caso colpevole anche lei? Infatti i diversamente concordi queste domande non le fanno. Mica siamo in Madagascar o nell’isola di Pasqua.

GUARDIE SVIZZERE A MEZZOBUSTO (0068)


(Il Fatto Quotidiano – Anno 1 – Numero 68)
Giovedi, 10 Dicembre 2009
GUARDIE SVIZZERE A MEZZOBUSTO

Il Papa ha detto una cosa saggia, sul meccanismo di assuefazione indotto dall’overdose di notizie negative che tv, giornali, radio, Internet riversano sull’umanità: “Ogni giorno il male viene amplificato abituandoci all’orrore e intossicando le coscienze”. Giusta constatazione, nemmeno troppo originale: a furia di vedere orrori, ci si fa il callo, si diventa cinici, ci si sente “spettator i” e mai responsabili, mentre il disvalore di certi comportamenti evapora nelle coscienze.
Naturalmente Benedetto XVI parla alla cattolicità universale. Pensa alle guerre, alle violenze, alla fame, a tutte le forme di sfruttamento. Potrebbe aggiungere che l’ossessione delle gerarchie per la morale, i divieti, gli anatemi e le scomuniche oscura spesso l’essenza del cristianesimo, che è resurrezione, redenzione, misericordia, perdono, gratuità, ma lasciamo stare. Poi un giornale, La Stampa, interpella i mejo direttori del bigoncio per un “commento a caldo” alle parole del
Papa. E questi personaggini piccoli piccoli, il cui orizzonte non va al di là della buvette di Montecitorio, rispondono sui casi D’Addario e Marrazzo, come se il Papa non pensasse ad altro. Il più in forma è Bruno Vespa, dicesi Bruno Vespa, quello che racconta l’Italia come un film di Dario Argento e gl’italiani come un popolo di serial killer, avendo trasformato lo studio di “Porta a Porta” in un istituto di medicina legale dove si sezionano cadaveri, si effettuano autopsie, si periziano brandelli di organi a favore di telecamera, e nei momenti più lieti si sguazza fra i trans di via Gradoli e dintorni. Bene, quel Vespa lì congiunge le mani in preghiera e salmodia: “Il Papa ha perfettamente ragione. Qualche volta, in buona fede, rischiamo di amplificare le situazioni più scabrose”. Ecco, porello: lui non vorrebbe mai, ma poi, in buona fede, gli scappa ora un plastico, ora un cranio spappolato di bambino, ora un mestolo insanguinato, è più forte di lui. Feltri, colto sull’inginocchiatoio nel raccoglimento del vespro di mezza sera, turibola: “Parole sagge, speriamo che le ascoltino tutti. La vita pubblica si è inasprita e i giornali sono schierati”. Lui del resto,
quando pubblicò la falsa informativa di polizia che dava del gay a Dino Boffo, già presagiva l’alto monito pontificio. Anche l’altro giorno, quando ha dato dei “picciotti” mafiosi ai ragazzi del NoB.Day, l’ha fatto per anticipare l’appello del Papa raccontando le cose buone che accadono in Italia. Poteva mancare, nella fiera del tartufo, un salmo di Augusto Minzolini? No che non poteva. “Il mio Tg1 – si macera il pio Scodinzolini, stretto nel tradizionale saio di frate penitente – fa già ciò che auspica il Papa: si veda come ha trattato le vicende delle escort e il caso Marrazzo con un profilo basso, da servizio pubblico. Se tutti si fossero adeguati, non saremmo qui”. Ecco, si veda. Per la verità, quelle che lui chiama “le vicende delle escort” lui le ha censurate, mentre il caso Marrazzo l’ha amplificato come non mai. Ma, si badi bene, non s’è trattato di censura, bensì di devozione preventiva all’ammonimento del Santo Padre. Se i telespettatori del Tg1 non sanno nemmeno chi è la D’Addario, non è perché entrava e usciva da casa Berlusconi, ma per evitare che le coscienze vengano assuefatte da un eccesso d’informazione che potrebbe abituarle all’orrore. Se gl’italiani sapessero che il premier che vuole sbattere in galera le prostitute e i loro clienti (escluso, si presume, se stesso) riceve prostitute a domicilio e poi le fa mettere in lista per le comunali di Bari, resterebbero intossicati dal meccanismo perverso dei mass media. Dev’essere per questo che quell’altra guardia svizzera di Antonello Piroso ha censurato su La7 il servizio di Silvia Resta sulle trattative fra Stato e mafia nel 1992-’93: per non addolorare vieppiù il Santo Padre.

BALLA A BALLA (0067)


(Il Fatto Quotidiano – Anno 1 – Numero 67)
Mercoledi, 9 Dicembre 2009
BALLA A BALLA

Si potrebbe organizzare un concorso a premi: vince chi riesce a scovare qualcosa di vero in una puntata di “Porta a Porta”. L’altra sera avrebbero perso tutti: infatti era tutto falso, dalla prima all’ultima parola, sequenza, inquadratura (a parte purtroppo il contratto bimilionario di Vespa).
E pure il titolo: “Appesi a un killer pentito”. In realtà nessuno sarebbe “appeso” a Spatuzza se conoscesse la sentenza Dell’Utri (la pubblichiamo nell’inser to centrale). Ma l’insetto affida a Dell’Utri, l’imputato, il compito di raccontarla: “Di che cosa la accusano? Che ha fatto in concreto?”. E quello, sorpreso persino lui: “Ma niente, a parte Mangano non c’è altro”.
Completano il presepe il compagno Sansonetti, che scavalca financo Dell’Utri sparando contro il 41-bis, la legge sui pentiti e il concorso esterno; un certo Andrea Orlando, “responsabile giustizia del Pd”, che non dice mai nulla e chiede pure scusa; il confratello Cicchitto, molto ferrato sulla materia (infatti parla dei “G rava n o ” e di tal “Scarlantino”, memore della scarlattina presidenziale, volendo forse intendere Scarantino); e l’ottimo Belpietro, che confonde il pentito Cancemi con Scandura e rivela che la mafia “già nel ‘91 voleva far abolire il 41-bis” ( i n t ro d o t t o nell’agosto ‘92). L’insetto, con l’aria di chi la sa lunga, spiega perché le stragi del maggio-luglio ’93 non c’entrano con Forza Italia: a suo dire Berlusconi cominciò a pensare al partito solo nel “g iugno-luglio ‘93”, mentre per Dell’Utri la datazione va spostata a “settembre-ottobre ‘93” e per Cicchitto “nel gennaio ’94 era ancora tutto per aria”. Sta’ a vedere che Forza Italia è nata dopo la discesa in campo di Berlusconi. In realtà il Cavaliere informò Montanelli fin dal giugno’93. E il consulente di Publitalia Ezio Cartotto racconta che Dell’Utri, subito dopo Capaci (23maggio ‘92), l’incaricò di “studiare un’i n i z i a t i va politica della Fininvest”. Il pretino pidino Orlando,
appena atterrato sulla Terra dopo una lunga permanenza su Marte, si beve tutto e non smentisce nulla. Nemmeno le balle spaziali di Polito El Drito che, non bastando i ballisti in studio, racconta in un servizio “la storia dei pentiti” e sostiene che “quanti accusano Andreotti vengono smentiti dalle sentenze che assolvono il senatore”. Peccato che nessuno dei 30 pentiti che accusano il senatore sia mai stato smentito, infatti il Divo fu giudicato colpevole dimafia fino al 1980. Segue servizietto di Caldarola, secondo cui “non c’è importante delitto di mafia che non porti la firma di Spatuzza” (testuale), compresa la strage di via D’Amelio, dunque non è credibile. Dimentica di aggiungere che, a svelare il coinvolgimento di Spatuzza in via D’Amelio, è stato Spatuzza. A questo punto il pretino pidino piazza il colpo da maestro che gli elettori attendevano ansiosi da due ore: “Da italiano, spero che i giudici smentiscano subito Spatuzza”. Entusiasmo nei circoli del Pd. Ma l’Oscar della Balla, nonostante la concorrenza, se l’aggiudica Vespa: “In America i
pentiti devono parlare subito dopo l’arresto, non dopo anni”. Se conoscesse il processo Andreotti, saprebbe quel che disse Richard Martin, il prosecutor di Manhattan che collaborò con Falcone nell’inchiesta “Pizza Connection”: “Da noi non esiste alcun obbligo di dire tutto e subito, ma solo l’o bbl i go di dire la verità. Come mi insegnò Falcone, sviluppare la testimonianza di chi è stato in Cosa Nostra per 30 anni, come Buscetta, non è cosa che si fa in una settimana o in un mese. Falcone non insisteva mai che qualcuno dicesse tutto subito, perché capita spesso che ci siano questioni, domande o informazioni che non sembrano rilevanti al momento. Questo è il metodo Falcone. Se dopo anni il collaboratore dice cose nuove, magari aprendo il discorso politico, per noi americani non fa differenza”. Queste cose i giornalisti le sanno. Dunque, non Vespa.

GALLI DELLA ROSICA (0066)


(Il Fatto Quotidiano – Anno 1 – Numero 66)
Martedi, 8 Dicembre 2009
GALLI DELLA ROSICA

Come se il Pd non riuscisse a farsi abbastanza male da solo, Galli della Loggia gli dà una mano.
Ieri toccava a lui smentire la campagna pubblicitaria che reclamizza l’indipendenza del Pompiere della Sera e ha centrato l’obiettivo. Parlava del NoB.Day che, essendo perfettamente riuscito, gli ha rovinato il weekend lungo. Sperava in una parola di troppo, in una lattina di cocacola fuori posto, in una cartaccia per terra a cui appigliarsi per chiamare la pula e schedare i manifestanti come terroristi, brigatisti, jihadisti, talebani. Invece niente, manco una sbavatura. Così, dopo una giornata trascorsa a rosicare nella sua biblioteca di incunaboli, ha riversato la sua bile in quattro colonne di piombo intitolate “Il rinnegato Bersani. Le giuste ragioni del No alla piazza”. Poteva dire subito la verità e sbrigarsela in poche righe: “Caro Bersani, noi berlusconiani travestiti da terzisti indipendenti siamo molto preoccupati: Silviuzzo sta andando a sbattere. I mafiosi han pure ricominciato a parlare, naturalmente di lui e di Dell’Utri (e di chi, se no?). Noi, che abbiamo
sempre finto di non sapere definendo lui ‘statista’ e Dell’Utri ‘b i bl i o fi l o ’, siamo in ambasce. Se non gli date un’altra mano voi del Pd, ci tocca inventarci un altro t rave s t i m e n t o ”. Ma un discorso così franco sarebbe poco terzista, poco indipendente: tutti capirebbero tutto. Ecco allora Galli nonché Della Loggia inerpicarsi sull’alta politologia a base di “opposizionismo”, “massimalismo”, “radicalismo giustizialista”, “vo l o n t à di essere comunque contro” e spiegare quelle centinaia di migliaia di giovani cittadini in piazza non con la crescente vergogna di essere rappresentati da un gaglioffo rifatto, delirante e plurimputato, ma con “l’infinita transizione apertasi a sinistra con il crollo del comunismo”, con la “sinistra trotzkista”, col “ve n i r meno della tradizione comunista” e “leninista”: roba che i ragazzi di facebook e dei blog non sanno nemmeno cosa sia. Sono gente semplice, contemporanea e – non avendo mai avuto la fortuna di leggere Galli della Loggia – lucida. Pensano che, per opporsi a Berlusconi, si debba opporsi a Berlusconi. Non riescono a cogliere, diversamente dal politologo da pantofola, i valori del “d i a l o go ”, del “c o m p ro m e s s o ”, dell'“a c c o rd o ”, né tantomenodell’“opposizione ragionata”. E quando qualcuno domanda loro col ditino alzato “ma allora voi siete c o n t ro ? ”, rispondono banalmente: “Sì, perché?”. Non riescono a essere contro ma anche pro. Contro ma solo un po’. Del resto, non hanno mai sentito di paesi dove l’opposizione sia pro. E quando leggono che un Galli della Loggia o un Polli del Balcone suggerisce al Pd di non opporsi a Berlusconi, ma a Di Pietro (“marcare la propria distanza da Di Pietro”, “sottolineare la propria decisa avversione
all’antiberlusconismo”), chiamano l’ambulanza. Se poi il politologo chiede al Pd di “dare una spiegazione vera e plausibile alla fine ambigua della Prima Repubblica”, rispondono serafici: “Ma non sono caduti perché r ubavano?”. E se lui s’interroga pensoso sulle ragioni profonde della “comparsa di Berlusconi”, replicano candidi: “Ma non stava finendo in galera pure lui?”.
Galli della Loggia comunque non parla ai cittadini: mai conosciuti. Parla al Pd, nella speranza che – dopo aver perso per strada milioni di elettori e mezza dozzina di leader e quadruplicato i voti a Di Pietro seguendo i consigli del Pompiere della Sera – perseveri. In fondoè semplice: basta che i vertici Pd seguitino a schifare tutte le manifestazioni popolate e autoconvocate dai loro potenziali elettori, dal G8 al Palavobis, dai girotondi alla Cgil, da piazza Navona a piazza San Giovanni, e il gioco è fatto. Fra qualche anno Bersani, o chi per lui, si ritroverà finalmente libero da quella zavorra vociante chiamata “elettor i”. E farà il quarto a briscola con Galli della Loggia, Panebianco e Ostellino quando Romano starà poco bene.

L’OSSERVATORE ROMANO (0065)


(Il Fatto Quotidiano – Anno 1 – Numero 65)
Domenica, 6 Dicembre 2009
L’OSSERVATORE ROMANO

Il Pompiere della Sera spende un capitale per reclamizzare la propria indipendenza. Poi arrivano gli editorialisti e rovinano tutto. Ieri era il turno di Sergio Romano, che teme Spatuzza più di quanto lo tema Dell’Utri: i mafiosi parlano, e l’ambasciatore non sa cosa mettersi. Ma, soprattutto, non sa quel che dice. “Spatuzza non parla di fatti recenti, ma di eventi accaduti più di 15 anni fa”. Sarebbero le stragi di via d’Amelio, Firenze, Milano e Roma (reato imprescrittibile). Per le ultime tre pare siano stati condannati all’er gastolo alcuni innocenti al posto di Spatuzza e ora, grazie a lui, verranno scagionati. Interessa l’articolo, gentile ambasciatore? O, siccome son passati più di 15 anni, lasciamo perdere e teniamo in carcere qualche innocente? “Perché Spatuzza parla ora con tanto ritardo e fornisce informazioni su Berlusconi mentre il premier è messo alle strette da altre indagini?”. Se avesse una pallida idea di quel che scrive, Romano saprebbe che non esistono “altre indagini” che “mettono alle strette” il premier: esistono processi aperti da anni che non si riescono a chiudere perché lui scappa, nella beata indifferenza di Romano. Il quale vuol sapere perché Spatuzza parla ora: non gl’interessa sapere se mente o dice la verità? Possibile che un ambasciatore che ha girato il mondo e assistito alle dimissioni di decine di politici sospettati di fatti molto meno gravi di quelli attribuiti a Berlusconi non voglia sapere se il premier c’e n t ra con la mafia o no? Mai sentito nominare Mangano? Mai saputo che, prima di Spatuzza, decine di altri mafiosi han raccontato i rapporti fra il gruppo B. E Cosa Nostra? Mai sentito parlare di Dell’Utri, condannato in tribunale a 9 anni per mafia nel 2004? Dove ha vissuto in tutti questi anni? “Può un intero sistema politico essere indefinitamente ostaggio di una vicenda giudiziaria che getta sul premier l’ombra di una colpa non ancora provata ma tale da intaccare la sua autorità?”. Bella domanda. Se si scoprisse che un premier a caso in giro per il mondo s’è tenuto in casa per due anni il giovane Al Capone
travestito da stalliere, che cosa pensa che si direbbe nel suo paese? Che bisogna archiviare subito la storia o che l’autorità del premier è intaccata dall’ave r ospitato un boss in casa sua?
“In Francia, quando un magistrato indagò sul presidente della Repubblica, fu possibile decidere che le indagini sarebbero riprese a fine mandato”. Giusto: anche in Italia è così. Solo che Berlusconi non è presidente della Repubblica, ma del Consiglio. E non è accusato, come Chirac, di assunzioni facili al Comune di Parigi, ma imputato di corruzione e sospettato di mafia e concorso nelle stragi. Robetta, eh?. “Molti giudici e procuratori si rendono conto della gravità della situazione, ma non vogliono prendere decisioni che parrebbero … una diminuzione del ruolo pubblico conquistato negli ultimi anni”. E quali sarebbero le auspicate “decisioni”? Sciogliere Spatuzza nell’acido perché la smetta di parlare, o mangiarsi i suoi verbali in nome della ragion di Stato? Forse l’a m b a s c i a t o re non conosce quel libriccino chiamato Costituzione. Anche lui, come il Corriere, è indipendente. Dai fatti.

QUIRINAL COMMUNICATION (0064)


(Il Fatto Quotidiano – Anno 1 – Numero 64)
Sabato, 5 Dicembre 2009
QUIRINAL COMMUNICATION

Dopo la quotidiana direttiva del presidente della Repubblica ai “mezzi di comunicazione” affinché non si lascino “assorbire dai comportamenti litigiosi o poco cooperativi che caratterizzano la nostra società politica”, ecco un breve decalogo per una stampa finalmente cooperativa, ottimista e non disfattista. 1. In caso di critiche, fuorionda o in onda, del presidente della Camera al presidente del Consiglio o viceversa, sostituire l’audio originale con un concerto di musica da Camera per viole e flauti traver si. 2. In caso di insulti degli on. Capezzone, Cicchitto, Bondi e Gasparri contro i giudici comunisti, o i giornalisti bolscevichi, o Fini, o Di Pietro, o contro tutti costoro insieme, far doppiare i suddetti onorevoli da un attore che declama “Tanto gentile e tanto onesta pare la donna mia quand’ella altrui saluta”, o altre rime baciate in Dolce Stil Novo. 3. In caso di dichiarazioni dei ministri Calderoli, o Bossi, o Maroni, o del sindaco Tosi o del prosindaco-prosecco Gentilini contro gli immigrati e/o contro l’islam in generale, sostituire le loro voci con l’audio di un documentario del National Geographic sul cinguettio degli usignoli a primavera. 4. Nel caso in cui il premier definisse “e ro e ” un boss sanguinario che, diversamente dallo sbirro Spatuzza, ha scrupolosamente seguito i dettami dell’omer tà mafiosa, usare la formula di rito: “Duro attacco del premier alla mafia. Soddisfazione dal Quirinale e dalle maggiori autorità civili, militari e religiose”. 5. Se l’on. Dell’Utri chiede di abolire i pentiti e premiare l’omertà, nonché di abrogare il reato di concorso esterno in associazione mafiosa per cui è casualmente imputato, titolare: “Confermata la linea dura del governo contro tutte le mafie”. 6. Nell’eventualità in cui il capo del governo annunciasse di volere “s t ra n go l a re ” con le sue mani gli autori di film e di libri contro la mafia, sostituire il verbo “s t ra n go l a re ” con uno a scelta fra i seguenti: accarezzare, vezzeggiare, ringraziare, premiare. 7. In caso di insulti e minacce del presidente del Consiglio ai giudici della Corte europea, della Corte costituzionale, della Corte dei Conti, del Tar, del Consiglio di Stato, dei Tribunali penali e civili o delle Procure della Repubblica, dire che quelle frasi le ha pronunciate Totò Riina, per evitare disorientamento fra i lettori e i telespettatori. 8. In caso di insulti e minacce di membri del governo a trasmissioni libere quali Report e Annozero, affidare il commento a Minzolini e a Feltri: ci pensano loro. 9. In caso di abbracci fra il presidente del Consiglio e dittatori quali Gheddafi, Putin o Lukashenko, accompagnare le immagini con la seguente didascalia: “Berlusconi ritratto mentre, fingendo di abbracciare il tiranno, lo perquisisce di nascosto”.
10. In caso di manifestazioni di piazza contro il governo, ritoccarne gli slogan in senso più ironico e cooperativo. Esempio: “No B. Day” d i ve n t e r à “Manifestazione per favorire il tanto auspicato dialogo sulle riforme fra governo e opposizione”. PS. Sono aboliti dal dizionario della lingua italiana i vocaboli che suonino eccessivamente conflittuali o poco cooperativi: scrivere “pace” al posto di “guer ra”, “per secuzione” al posto di “p ro c e s s o ”, “dialettica” al posto di “s c o n t ro ”, “dibattito ar ticolato” al posto di “botte da orbi”, “amore voli consigli” al posto di “minacce” o “r icatti”, “d e m o c ra z i a ” al posto di “reg ime”, “bir ichino” al posto di “t ra d i t o re ”, “puccipucci” al posto di “s t ro n z o ”, “i n fa m e ” al posto di “pentito”, “politico diversamente onesto” al posto di “politico ladro” o “m a fi o s o ”, “c o o p e ra z i o n e ” al posto di “opposizione”, “seconda carica dello Stato” al posto di “S ch i fa n i ”.

SOTTOTITOLIAMO IL MINI-STRO (0063)


(Il Fatto Quotidiano – Anno 1 – Numero 63)
Venerdi, 4 Dicembre 2009
SOTTOTITOLIAMO IL MINI-STRO

Il mini-stro Brunetta ha ragione: i conduttori televisivi vanno sottotitolati con i rispettivi stipendi.
A pensarci prima, poteva invitare i consiglieri di maggioranza nel Cda Rai a bocciare l’i n c re d i b i l e contratto del pensionato Bruno Vespa, che guadagna quasi dieci volte la Gabanelli. Ma lui la lotta agli sprechi la fa così: prima li lascia passare, poi li mette nei titoli di coda. Ora però, sempre in nome della agognata trasparenza, Brunetta deve completare l’opera e sottotitolare anche gli ospiti dei talk show, a cominciare dai politici, con una sintesi di tutto ciò che i cittadini devono sapere di loro. Si potrebbe cominciare da uno a caso: Brunetta. Possibili sottotitoli: “Combatte l’assenteismo, ma al Parlamento europeo era assente una volta su due (51,79%)”; “Combatte gli sprechi, ma era consulente economico del governo Craxi che in quattro anni portò il debito pubblico dal 70 al 92% del Pil”; “E’ per la trasparenza, ma era consulente di Gianni De Michelis e, dopo che questo fu condannato per finanziamento illecito e corruzione, lo nominò
consulente al ministero”; “Definisce il Csm ‘un mostro’, dice ‘sinistra di merda’, ‘basta con il culturame dei cineasti parassiti’, ‘poliziotti panzoni’, ‘g iudici fa n nu l l o n i ’, ‘me ne frego della Cgil’, insulta persino Tremonti, poi vuole imporre per legge la gentilezza e la cortesia nella Pubblica amministrazione”; “Dice che, se non si fosse buttato in politica, avrebbe vinto il premio Nobel per l’Economia, infatti ha vinto il premio Rodolfo Va l e n t i n o ”; “Il suo motto è: esclusi i presenti”. Si potrebbe poi proseguire con alcuni suoi colleghi dal curriculum particolarmente avvincente. Roberto Maroni: “Condannato per resistenza a pubblico ufficiale per aver picchiato alcuni poliziotti durante una perquisizione e azzannato il polpaccio a uno di essi durante la caduta, è ministro dell’Interno per competenza anche gastronomica in materia di polizia”.
Mara Carfagna: “Omissis, tanto ci siamo capiti”. Michela Vittoria Brambilla: “Imprenditrice del ramo mangimi per pesci, nota per aver mandato a picco Il Giornale della Libertà e la Tv della Libertà con un buco di 20 milioni in un solo anno, ora si dedica al Turismo, l’unica attività ancora vagamente funzionante nel paese, ovviamente prima del suo arrivo”. Maurizio Sacconi: “Fa il ministro del Welfare e della Salute, sebbene sua moglie sia direttore generale di Farmindustria, o forse proprio per questo”. Mariastella Gelmini: “Nemica acerrima delle promozioni facili, si recò a Reggio Calabria per sostenere l’esame di Stato da avvocato, essendo lei di B re s c i a ”. Altero Matteoli: “Imputato per favoreggiamento di un prefetto, non lo è più perché il Parlamento l’ha assolto”. Stefania Prestigiacomo: “Indagata per peculato dopo aver usato la carta di credito ministeriale per lo shopping”. Claudio Scajola: “Definì Marco Biagi, appena ammazzato dalle Br, ‘ro m p i c o g l i o n i ’ e ancora parla”. Umberto Bossi: “Pregiudicato per finanziamento illecito e istigazione a delinquere, dunque ministro delle Riforme”. Roberto Calderoli: “Amico intimo di Gianpiero Fiorani, sposato con rito celtico, dunque strenuo difensore di Santa Romana Chiesa e del crocifisso nelle scuole”. Raffaele Fitto: “Imputato in due processi a Bari per corruzione, turbativa d’asta e interesse privato, ha candidato nella sua lista Patrizia D’Addario e Barbara Montereale reduci da Palazzo Grazioli”. Angelino Alfano: “Indagato per abuso d’ufficio assieme a Fitto per aver tentato di stroncare la carriera al pm barese che ha fatto rinviare a giudizio Fitto, fa il ministro della Giustizia”. Gianni Letta: “Dalle ultime notizie risultava indagato a Lagonegro per truffa, abuso e turbativa d’asta”. Nicola Cosentino: “Solo un mandato di cattura per camorra, nient’a l t ro ”. Il premier è purtroppo esentato per motivi di spazio: i suoi precedenti penali sono però sottotitolati sui maxischermi dei migliori stadi d’Italia.

PREMIO MANGANO (0062)


(Il Fatto Quotidiano – Anno 1 – Numero 62)
Giovedi, 3 Dicembre 2009
PREMIO MANGANO

In effetti, come fanno notare Il Giornale, L i b e ro , Il P re d e l l i n o e la loro succursale denominata Corr iere della Sera, Fini l’ha fatta grossa. Il fuorionda col procuratore di Pescara – ci illumina Massimo Franco, pompiere-capo di via Solferino – è “un incidente che rischia di isolarlo ancor di più” p e rch é “trasmette una sensazione sconcertante: la terza carica dello Stato incontra per la prima volta un alto magistrato, Nicola Trifuoggi, a un dibattito”. E questo, diciamolo, è già preoccupante: i magistrati bisogna fare in modo di non incontrarli mai, salvo che da imputati (nel qual caso, ok). Se poi uno ci va a sbattere contro per caso, allora li dovrebbe perlomeno insultare (che so, dicendo loro che sono ”go l p i s t i ”, anzi “matti, mentalmente disturbati, antropologicamente diversi dal resto della razza umana”), per dissipare ogni sospetto di collusione con la Giustizia e non trasmettere “sensazioni sconcer tanti”. Non contento, Fini al magistrato rivolge addirittura la parola e – denuncia Franco tutto spettinato – “gli confida di considerare il suo principale alleato irrispettoso di qualunque istituzione”. Davvero bizzarra l’affermazione di Fini, tale da sorprendere anche un osservatore attento come Franco. Fa il notista politico da trent’anni e non l’aveva mai sfiorato il minimo dubbio sul sacrale rispetto per le istituzioni da parte di un tizio che ogni giorno attacca l’opposizione, la stampa libera, i rari programmi tv non suoi, il pur servizievole Quirinale, il Parlamento, tutti i magistrati penali e civili di ogni ordine e grado dai pm ai gip ai tribunali alle Corti d’appello alla Cassazione alla Consulta alla Corte dei conti al Tar al Consiglio di Stato alle Corti europee di Strasburgo e di Lussemburgo alle Nazioni Unite, con l’eccezione del giudice Sante Licheri di “For um” e dei tre o quattro che Previti teneva a libro paga. Stupefatto per quel giudizio così originale, Franco parla di “frasi imprudenti”, anzi molto peggio perché, invece di smentirle alla maniera berlusconiana, Fini le ha poi ”autenticate”. Giusto: è estremamente imprudente dire che un premier deve rispettare le altre istituzioni, non deve confondere il consenso con l’immunità e la magistratura deve indagare su mafia e politica riscontrando scrupolosamente le parole dei pentiti per evitare errori giudiziari. La prossima volta Fini faccia come tutti gli altri: dica in pubblico il contrario di quel che dice in privato, poi all’occorrenza smentisca tutto e dia la colpa alla stampa comunista che l’ha frainteso. O dica subito che “con la mafia bisogna convivere” (Lunardi), anzi “la mafia non esiste” (Dell’Utri) e le stragi del 1992-’93 sono “roba vecchia” (B.) e chi indaga ancora “cospira contro di noi” (B.) e “Vittor io Mangano è un eroe” perché non ha parlato (Dell’Utri e B.), mentre Spatuzza e gli altri pentiti sono infami perché parlano (Riina, Dell’Utri e B.) e naturalmente “se trovo chi ha fatto la Piovra e chi scrive libri sulla mafia, lo strozzo” (B.). Ecco, queste sì sono frasi da statista: infatti il Pompiere della Sera non le ha mai giudicate “impr udenti”. Imprudente è Fini che, non contento di non avere processi per corruzione né inchieste per mafia, di non elogiare sinceri democratici come Gheddafi, Putin e Lukashenko, di non minacciare col gesto del mitra giornaliste russe, partecipa spudoratamente al Premio Borsellino anziché attendere il Premio Mangano, che sarà presto istituito dal senatore Dell’Utri sotto l’alto patrocinio di James Bondi e il basso patrocinio di Berlusconi. Ergo – come chiede il premier – de ve “dare spiegazioni o dimettersi”. Perché – come osserva Bossi, lo stesso che dava del mafioso al Cavaliere – “è un fascista amico dei comunisti”. E poi – come osserva Gasparri – “certe cose non basta non dirle: non bisogna neppure pensarle”. Lui infatti, per non sbagliare, sono anni che non pensa.

FUORIONDA IN CASA PD (0061)


(Il Fatto Quotidiano – Anno 1 – Numero 61)
Mercoledi, 2 Dicembre 2009
FUORIONDA IN CASA PD

Dopo il fuorionda di Gianfranco Fini che, al Premio Borsellino, elogia i ragazzi di Ammazzatecitutti” e commenta le rivelazioni dei pentiti, il Fatto è entrato in possesso di una conversazione rubata ad alcuni dirigenti del Pd al Premio Maria Angiolillo. Massimo: “…e poi, diciamo, ci sono questi preti antimafia che ci accusano di trascurare la questione morale. Pensassero a dare le estreme unzioni come una volta, invece di impicciarsi di politica. Lo Stato è laico, diciamo”. Pierluigi: “Soccmel, sono poco riformisti, non dialogano. E poi sempre contro, sempre anti: mi sa che al nostro tavolo per il dialogo fra mafia e antimafia non ci vengono…”.
Giorgio: “State buoni, se potete. E i giudici devono starsi zitti”. Massimo: “Sì, grazie nonno, adesso però lasciaci l avo ra re …”. Enr ico: “Ora ci si mettono pure i ragazzi antimafia di ‘Ammazzatecitutti’…”. Massimo: “Li chiamerei Limortacciloro, diciamo. Sono i nipotini di Micromega, quelli che mi fecero saltare la Bicamerale. Ah i Latorre, i Velardi, i Rondolino: quelli erano ragazzi giudiziosi”. Pierluigi: “Non sono cattivi, ma soccmel, non dialogano, sono poco riformisti. Sempre lì a difendere la Forleo e De Magistris”. Massimo: “Possibile che i genitori non gl’insegnino a farsi i fatti loro e che la piazza è un brutto posto?”. Enrico: “Già fatichiamo a educare i nostri elettori al garantismo e al diritto a difendersi dai processi. E quelli ce li scatenano contro, così poi votano Di P i e t ro …”. Pierluigi: “Però pure tu, Enrico, soccmel. Chi te l’ha fatto fare di dire quelle cose al Corriere? Non l’hai ancora capito che i panni sporchi si lavano al
Quirinale, non sul giornale?”. Enrico: “Lascia perdere, me l’ha già detto lo zio Gianni: stava andando tutto così bene, ci eravamo accordati per salvare Silvio dai processi, poi tu e Violante andate a vantarvene in piazza”. Luciano: “Già, e mica son fesso: se non andavo a dire a Ballarò che per salvare la democrazia bisogna salvare Berlusconi, il merito se lo prendeva qualcun altro.
Invece l’idea è mia, il pacco a Natale spetta a me…”. Giorgio: “State buoni, se potete. E i giudici devono starsi zitti”. Massimo: “Ok, nonnetto, ora lasciaci lavorare. Ma li hai sentiti, quei facinorosi? Dicono che nessun politico è eterno. Ma parlassero per sé: io sono qui da quando avevo i calzoni corti e qua resto per i prossimi cent’anni”. Pierluigi: “Solo se Silvio resiste, soccmel! Metti che salti e arrivi Fini: e chi ci vota più senza la paura dell’uomo nero? Manco col fucile puntato alla nuca ci rivotano”. Luciano: “Mica son fesso: apposta ho proposto di immunizzare le alte cariche. Manca pure che si dimetta Silvio e ci lasci qua con le pezze al culo”.
Pierluigi: “Figurati che i nostri rimpiangono persino Prodi, solo perché ha battuto Berlusconi due volte su due, soccmel”. Massimo: “Bella forza: intanto lui sta a casa e noi che abbiamo sempre perso siamo sempre qui, freschi come rose”. Enr ico: “Ma come si fa con Spatuzza e Ciancimino?
Parlano e i giudici li lasciano parlare…”. Massimo: “Dai retta a chi sta qua dai tempi dell’asilo.
Basta fare come me quando mi han beccato al telefono con Consorte: ho lasciato il Pd a Walter per due anni in prestito d’uso, e quando la gente s’è dimenticata tutto me lo sono ripreso. Andreotti faceva così e s’è sempre trovato bene”. Enr ico: “Ma si parla di trattative Stato-mafia durante le stra gi”. Massimo: “Trattative, che paroloni. Si dice ‘d i a l o go ’: vedi che suona subito meglio? A proposito: devo lasciarvi, mi vedo con Cuffaro per dialogare con l’Udc”.
Giorgio: “Ecco, ragazzi, dialogo. E i giudici devono starsi zitti”. Enr ico: “Veramente non osano più nemmeno re s p i ra re ”. Massimo: “Fa niente. Zitti e muti a prescin dere. E zitti pure voi: se no gli elettori capiscono che non siamo come Fini, che dice in privato quel che dice in pubblico. Poi vengono a cercarci a casa e ci tocca iscriverci al Popolo della Libertà”.

SCENDILETTA (0060)


(Il Fatto Quotidiano – Anno 1 – Numero 60)
Martedi, 1 Dicembre 2009
SCENDILETTA

L’elettore del Pd, si sa, è nato per soffrire. Ma non è dato sapere quale peccato mortale, o addirittura originale, debba espiare per meritarsi questo martirio quotidiano. Martedì scorso è costretto a sorbirsi a Ballarò le elucubrazioni di Luciano Violante, responsabile Istituzioni del Pd: i processi a Berlusconi creano un conflitto insanabile fra “democrazia e legalità”, ergo bisogna regalargli uno scudo costituzionale in cambio del ritiro del “processo breve” (così il Cavaliere eviterà di andare a sbattere con l’ennesima legge incostituzionale e godrà di un’impunità a prova di bomba, prevista addirittura in Costituzione). I cinque giorni di silenzio di Bersani fanno ben sperare il povero elettore. Invece domenica, intervistato da Repubblica, Bersani sposa la linea Violante: “Il governo ritiri il provvedimento che cancella i processi e si apra un confronto parlamentare a partire dalla bozza Violante… In quel contesto si possono affrontare anche le questioni del rapporto sistemico tra esecutivo, Parlamento e magistratura. Il problema della magistratura c’è e non ha trovato un punto di equilibrio in tutti questi anni”. La legge è uguale per tutti, un bel guaio, occorre rimediare. Quanto al NoBDay di sabato, bontà sua, Bersani autorizza “militanti e dirigenti” a partecipare. Magari mascherati da Arlecchino, Brighella e Colombina.
Intanto il premier accusa i magistrati di volere la “guerra civile” e Napolitano zittisce i magistrati.
Violante, demolito da Barbara Spinelli sulla Stampa, risponde che, “mentre tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge”, qualcuno è più uguale degli altri: “Gli eletti alle massime cariche dello Stato possono essere esentati dalla responsabilità penale o, in modo assoluto, per determinati reati, o, a tempo, sino a quando rivestono una carica politica. E’ la prevalenza del principio democratico sul principio di legalità”. Siccome nessuno chiama l’ambulanza per portarlo via, l’elettore comincia a domandarsi che differenza passi fra Pdl e Pd, a parte la elle. La risposta la dà ieri il vicesegretario Pd Enrico Letta al Corriere della Sera. L’organo dell’inciucio, che spende un capitale per reclamizzare la propria indipendenza mentre pubblica editoriali degni del Giornale e del Predellino, chiede per la penna di Sergio Romano una nuova “forma di i m mu n i t à ” per Berlusconi. Le accuse di mafia sembrano (a Sergio e a Silvio) “poco plausibili” e tanto basta: chissenefrega se sono vere o false. Mettiamoci una pietra sopra e lasciamoci governare da un possibile amico della mafia visto che “ha una consistente ma ggioranza”. Anziché domandare a Romano se gli capiti mai di arrossire mentre scrive certe scempiaggini, il piccolo Letta dice che “il grido d’allarme di Romano è condivisibile” e che “mai le forze politiche sono state tanto vicine a un’intesa sul merito delle riforme” con il noto statista che accusa i giudici di “guerra civile”. Dopodiché il Lettino giura che il Pd si guarda bene dal “cercare scorciatoie per far cadere il governo e liberarsi di un Berlusconi che non è un ‘i n go m b ro ’”. Quella è roba da oppositori e lui, modestamente, non lo nacque. Poi spiega che, dopo un colloquio al Quirinale con Bersani e Napolitano, “il Pd non opporrà obiezioni al ricorso al legittimo impedimento”. Anzi, dice Enrico scavalcando lo zio Gianni, “consideriamo legittimo che, come ogni imputato, Berlusconi si difenda nel processo e dal p ro c e s s o ”. Insomma “l’opposizione si attiene a quanto detto dal capo dello Stato”. Notiziona: il Pd delega a Napolitano la guida dell’opposizione e, dopo averlo incontrato, autorizza il premier a fuggire illegalmente dai processi “come ogni imputato” (è noto infatti che ogni imputato, tipo i marocchini imputati di spaccio di hashish, possono sottrarsi alle udienze, impegnati come sono a Dubai o al Consiglio dei ministri). A questo punto ben si comprende la riluttanza dei vertici Pd a partecipare al NoBDay. Gli elettori potrebbero riconoscerli.