LA SERVA SERVE


Venerdì 8 gennaio 2010 – Anno 2 – n° 6
LA SERVA SERVE

Non sapendo più cosa fare e dire per riabilitare il noto corrotto latitante, “L i b e ro ” s’è messo a pubblicare a puntate le lettere che giornalisti, politici e intellettuali scrivevano a Craxi quand’era potente. Come se l’esistenza di molti servi riabilitasse il padrone che se li teneva a corte. E’ ve ro che, come diceva Mussolini, “è difficile non diventare padroni in un paese di servi”. Ma è anche vero, come diceva il maggiordomo Jeeves nei romanzi di Wodehouse, che “un padrone lo si giudica dai servitori che si sceglie”. Eppoi, leggendo le suppliche degli infiniti postulanti a Bottino, uno si domanda: ma a che titolo tutta quella gente piativa favori a Craxi nella certezza che quello li avrebbe elargiti, usando lo Stato e il Parastato come il cortile di casa? Ma non era un grande statista del riformismo europeo? Fra le varie lettere garofanate spicca quella di Giovanni Minoli, 3 maggio 1989: “Caro Bettino… In questi ultimi dieci anni ho prodotto molti dei programmi che hanno avuto più successo come Aboccaperta, Piccoli Fans, Blitz, o di immagine come Sì però, Soldi soldi soldi, Quelli della notte, e Mixer… Come capostruttura ho anche determinato molte delle scelte di fondo del palinsesto… Non sono come forse ti hanno fatto credere solo ‘quello che fa Mixer’ ma un dirigente Rai che ha fatto molte, delle non moltissime scelte qualificanti di RaiDue… Per questo ritengo che avrei potuto essere considerato un interlocutore nel momento dell’ennesima difficilissima scelta circa il destino della Rete 2. Dico difficilissima perché il tempo degli errori è finito, i soldi della Rete anche, e l’egemonia del Pci e della Dc realizzata con un alto tasso di contenuto professionale qui in Rai è cosa fatta, e non contrastabile in modo approssimativo… Non sono mai stato capace di spendere tempo nelle manovre di corridoio e nelle chiacchiere… Io credo di essere fatto così. Se servo, ci sono… Con affetto”. A parte la punteggiatura, colpiscono un paio di soavi espressioni. Minoli che si dipinge come “incapace di spendere tempo nelle manovre di corridoio e nelle ch i a c ch i e re ” denota un’immodestia davvero eccessiva. Ma è la chiusa che è impareggiabile: “Se servo, ci sono”. Ma certo che serve. Serve da una vita. Pare che già Totò, quando diceva “la serva serve, urca se serve!”, alludesse segretamente a Minoli, all’epoca poco più che in fasce. Raggiunta la maggiore età, ai tempi di Mixer (programma bellissimo, ma da allora rifà sempre quello), Gianni si produsse in alcuni spot elettorali per il Psi da pelle d’oca, nei quali intervistava Craxi col garofano all’occhiello e assiso su uno sgabello notevolmente più basso del trono del Capo, come il Mussolini accanto a Hitler nel “D i t t a t o re ” di Chaplin, per segnalare anche nella postura il proprio ruolo gregario. Da allora, come Picasso, ha conosciuto vari periodi multicolori: da craxiano a martelliano a berlusconiano a veltroniano a prodiano a ri-berlusconiano ma non abbastanza per riacciuffare RaiTre. Ecco: sono almeno vent’anni che, a ogni cambio di governo, anzi a ogni stormir di fronda, Minoli riesuma il vecchio file intitolato “Se servo ci sono”: copia, incolla, cambia la data, l’intestazione e il destinatario, stampa, imbusta, lecca pure il francobollo e imbuca.
Purtroppo, però, gli anni passano e non c’è più la servitù di una volta. Oggi il Minoli serve sempre, ma un po’ meno di un tempo: troppo professionale per essere affidabile. Oggi va fortissimo il modello Johnny Raiotta, dal nome del direttore del Sole 24 Ore (già al Manifesto, alla Stampa, al Corriere, al Tg1) che l’altro giorno ha annunciato l’elezione di Tremonti a “Uomo dell’anno” per volontà imperscrutabile “delle grandi firme del giornale”. Poi s’è scoperto che le “prestigiose firme” del giornale erano all’oscuro di tutto. Tremonti l’aveva eletto lui, Raiotta, in beata solitudine. All’unanimità. Dinanzi a cotanta maggiordomitudine, anche i Minoli devono arrendersi e levarsi il cappello: largo al Sòla 24 Ore .

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