Domenica 21 marzo 2010 – Anno 2 – n° 93
Un guitto senza guizzo
Gli unici milioni veri, in piazza San Giovanni, sono Alfredo Milioni e i suoi cari, giunti peraltro sul posto con venti minuti di ritardo a causa dei giudici comunisti col ritratto di Che Guevara. Per il resto, la ripresa aerea ha fatto giustizia delle cifre sparate dal ballista di Arcore e dai suoi turiferari: poche decine di migliaia di persone, oltretutto recintate da ogni lato per sembrare di più. Una pena. Lui, poi, una noia mortale. Il Grande Comunicatore pare il vecchio guitto di Alberto Sordi nel finale di “Polvere di stelle”, costretto a mendicare particine in teatri di periferia e a riesumare vecchie gag di repertorio per strappare pallidi sorrisi di circostanza e commiserazione. Nemmeno le menzogne gli riescono più come una volta: ai bei tempi le improvvisava su due piedi, nuove di pacca. Sempre balle erano, ma almeno fresche. Quelle di ieri, lette dal discorso preparato con Gianni Letta (sai che allegria), puzzavano di muffa. Già sentite mille volte. Il modernariato della balla. Il comunismo, le toghe rosse, lo spionaggio, lo Stato di polizia, il regime delle sinistre, ’oppressione fiscale di Prodi, l’Amore che vince sull’odio. Mancava solo l’eroe Mangano. Mai un guizzo, una trovata, uno slogan che funzionasse. Sul palco, quello sì affollatissimo all’inverosimile, età media settant’anni, un grande sferragliare di dentiere, cateteri e cinti erniari, oltre a smodati quantitativi di silicone e botox ben oltre i limiti fissati dall’Unione europea. Tant’è che i pochi candidati sotto i 50 vengono presentati dall’attempato gagà brianzolo come “ra gazzi”. A un certo punto riesuma addirittura il discorso della discesa in campo del ‘94 (“Amer ica’, facce Tarzan!”), omettendo ovviamente le frasi contro la prima Repubblica e in difesa di Mani Pulite: “La vecchia classe politica è stata travolta dai fatti e superata dai tempi. L’autoaffondamento dei vecchi governanti, schiacciati dal peso del debito pubblico e dal sistema del finanziamento illegale dei partiti, lascia il Paese impreparato e incerto nel momento difficile del rinnovamento e del passaggio a una nuova Repubblica”. Parole che stonerebbero accanto ai cori contro Di Pietro, Santoro, toghe rosse e altri bersagli dell’odio del Partito dell’Amore. Poi la gag del Contratto con gli italiani, stavolta recitato dai tredici aspiranti governatori presenti (Zaia, l’unico normale, non c’era ) , per via della mancanza della scrivania di ciliegio e del suo custode Bruno Vespa, rimasto negli studi deserti di Porta a Porta a rodersi il fegato per il black out preelettorale proprio mentre ci lascia Pietrino Vanacore. Le domande della folla “Volete voi…?” sono copiate dal Duce, che almeno le piazze riusciva a riempirle e non pensò mai all’inno “Meno male che Benito c’è”. Poi “i miracoli di Bertolaso”: tre applausi. Il piano casa: due. Il crollo di furti e rapine: sguardi interrogativi. “L’amico Cota che in Piemonte collegherà l’Atlantico al Pacifico”: occhi smarriti. I “400 mafiosi arrestati”, tranne quelli rifugiati in Parlamento e al governo, che si toccano sul palco. L’unico sussulto è quando arriva Bossi. Al Tappone, sempre spiritoso, dice “noi moderati”. Poi l’Umberto pronuncia una frase da leader dell’opposizione, che infatti non è mai venuta in mente a uno del Pd: “Sono uno dei pochi che non ha mai chiesto una lira a Berlusconi”. Gelo sul palco, freddo polare in piazza. Bossi tenta ancora di spiegare il misterioso concetto di “famiglia trasversale”. Che alluda al triangolo Silvio-Veronica-Patrizia? Meglio non approfondire. Lo portano via. La gente comincia a sfollare. L’anziano guitto tenta di trattenerla con la zampata del teleimbonitore (“Ai primi cinque che chiamano per la batteria di pentole, ci mettiamo su tre padelle antiaderenti!”), improvvisata sul momento: “Nei prossimi tre anni vogliamo anche vincere il cancro”. Verrà abolito con un decreto interpretativo: basterà chiamarlo varicella. Perché l’Amore vince sempre, ma ogni tanto pareggia.
Il Pompierino dei Piccoli
Sabato 20 marzo 2010 – Anno 2 – n° 92
Il Pompierino dei Piccoli
Alla lunga, si sa, i regimi peggiorano anche le persone migliori. Aldo Cazzullo è un ottimo giornalista del Corr iere. Due anni fa, quando Uòlter si vantava di non attaccare mai Berlusconi, anzi manco lo nominava, scrisse che era vergognoso sdoganare il conflitto d’interessi. Ma ora che quel conflitto diventa, grazie alle intercettazioni di Trani, il più devastante attentato alla libertà d’informazione nell’Europa del dopoguerra, lui minimizza e fa lo spiritoso. Arriva a sostenere che “la vera notizia da Trani” è che “Berlusconi non se lo fila nessuno” e “la sua struttura di comando è inefficiente”. Forse il Pompierino dei Piccoli non ha mai visto il Tg1 scodinzolino, il Tg5, il Tg2, i tristi cabaret di Studio Aperto, Tg4, Mattino 5 e via strisciando. Forse non ha letto le intercettazioni di Trani. O forse non le ha capite. Infatti scrive che “Innocenzi non combina nulla” e così Masi, Calabrò, la Vigilanza, l’Authority, la Rai, tant’è che A n n o ze ro “è ancora lì”. Strano: a noi risulta chiuso assieme agli altri per l’ultimo mese di campagna elettorale in barba alla legge sulla par condicio. Il Pompierino se n’è accorto, ma crede che la serrata non l’abbia voluta Berlusconi, bensì “un parlamentare dell’opposizione, Beltrami (si chiama Beltrandi, ma fa niente, ndr), appoggiato dalla maggioranza”: tesi curiosa, visto che Beltrandi conta uno, tutte le opposizioni han votato contro e tutta la maggioranza pro. Lo stesso 10 febbraio 2009, presentando il libro di Vespa, Berlusconi rivendicò l’attentato: “Giusto chiudere quei pollai, mi spiace solo per Porta a Porta”. La prima gallina che canta è quella che ha fatto l’uovo. Del resto aveva già cantato tre mesi prima, il 4 novembre 2008, quando commissionò la strategia all’apposito Innocenzi: “Io farei così, io ho parlato col direttore Masi e con tutti i nostri uomini, perché ho fatto uno studio, non c’è nessuna tv europea in cui ci sono questi pollai. Perché dobbiamo avere queste fabbriche di fango e di odio? Ecco, quel che adesso bisogna concertare è che l’azione vostra sia da stimolo alla Rai per dire ‘chiudiamo tutto’. Non solo Santoro: tutte le trasmissioni di questo tipo”. Già allora Innocenzi sapeva che a febbraio sarebbe scattato il black out dei programmi giornalistici con la scusa del voto: “Vado in Procura e denuncio Calabrò per scarsa volontà di procedere (contro A n n o ze ro , ndr), se no la tira in lungo per due mesi e poi non si fa un cazzo… Questo tra due mesi sospende le trasmissioni, ché ci sono le elezioni”. Temeva di “restare col cerino in mano”, ricordava i suoi ”30 anni di rapporto on una persona (il Banana, ndr)” e il suo “piccolo futuro da preservare” alla corte di Arcore. Così si proponeva di ricattare il presidente dell’Agcom, minacciando di raccontare alla stampa o ai giudici come si era “fatto i cazzi suoi” su alcuni affari trattati dall’Agcom pur di strappargli la firma che autorizzasse Masi a chiudere A n n o ze ro . Se poi é Calabrò né Masi hanno firmato, non è perché il Banana non riesca a farsi obbedire, ma perché le istruttorie aperte dall’Agcom si sono protratte fino alla serrata di febbraio; e soprattutto perché A n n o ze ro va in onda per decisione dei giudici, non della Rai, e nessuno dei due voleva firmare una censura illegale che l’avrebbe trascinato in tribunale. Ciò vuol dire che Berlusconi non se lo fila nessuno? Che non è successo niente? Cazzullo faccia uno sforzo e provi a immaginare di essere la firma più letta del Corriere. Chissà come si sentirebbe a lavorare sapendo che l’editore gli tifa contro, non vede l’ora che “faccia la pipì fuori dal vaso” per cacciarlo, sollecita esposti contro di lui, tresca alle sue spalle con politici, amministratori, vigilantes e presunti arbitri. Chissà come reagirebbe se, ogni volta che scrive un pezzo, l’editore gl’inviasse una minaccia di multa fino al 3% del fatturato. Chissà che direbbe se un collega che confonde la penna con l’estintore gli ridesse pure in faccia: “Ma di che ti lamenti? Mica ti hanno cacciato. Su con la vita!”. E chissà quale uso alternativo gli consiglierebbe, per l’estintore.
Il Pompierino dei Piccoli
Alla lunga, si sa, i regimi peggiorano anche le persone migliori. Aldo Cazzullo è un ottimo giornalista del Corr iere. Due anni fa, quando Uòlter si vantava di non attaccare mai Berlusconi, anzi manco lo nominava, scrisse che era vergognoso sdoganare il conflitto d’interessi. Ma ora che quel conflitto diventa, grazie alle intercettazioni di Trani, il più devastante attentato alla libertà d’informazione nell’Europa del dopoguerra, lui minimizza e fa lo spiritoso. Arriva a sostenere che “la vera notizia da Trani” è che “Berlusconi non se lo fila nessuno” e “la sua struttura di comando è inefficiente”. Forse il Pompierino dei Piccoli non ha mai visto il Tg1 scodinzolino, il Tg5, il Tg2, i tristi cabaret di Studio Aperto, Tg4, Mattino 5 e via strisciando. Forse non ha letto le intercettazioni di Trani. O forse non le ha capite. Infatti scrive che “Innocenzi non combina nulla” e così Masi, Calabrò, la Vigilanza, l’Authority, la Rai, tant’è che A n n o ze ro “è ancora lì”. Strano: a noi risulta chiuso assieme agli altri per l’ultimo mese di campagna elettorale in barba alla legge sulla par condicio. Il Pompierino se n’è accorto, ma crede che la serrata non l’abbia voluta Berlusconi, bensì “un parlamentare dell’opposizione, Beltrami (si chiama Beltrandi, ma fa niente, ndr), appoggiato dalla maggioranza”: tesi curiosa, visto che Beltrandi conta uno, tutte le opposizioni han votato contro e tutta la maggioranza pro. Lo stesso 10 febbraio 2009, presentando il libro di Vespa, Berlusconi rivendicò l’attentato: “Giusto chiudere quei pollai, mi spiace solo per Porta a Porta”. La prima gallina che canta è quella che ha fatto l’uovo. Del resto aveva già cantato tre mesi prima, il 4 novembre 2008, quando commissionò la strategia all’apposito Innocenzi: “Io farei così, io ho parlato col direttore Masi e con tutti i nostri uomini, perché ho fatto uno studio, non c’è nessuna tv europea in cui ci sono questi pollai. Perché dobbiamo avere queste fabbriche di fango e di odio? Ecco, quel che adesso bisogna concertare è che l’azione vostra sia da stimolo alla Rai per dire ‘chiudiamo tutto’. Non solo Santoro: tutte le trasmissioni di questo tipo”. Già allora Innocenzi sapeva che a febbraio sarebbe scattato il black out dei programmi giornalistici con la scusa del voto: “Vado in Procura e denuncio Calabrò per scarsa volontà di procedere (contro A n n o ze ro , ndr), se no la tira in lungo per due mesi e poi non si fa un cazzo… Questo tra due mesi sospende le trasmissioni, ché ci sono le elezioni”. Temeva di “restare col cerino in mano”, ricordava i suoi ”30 anni di rapporto on una persona (il Banana, ndr)” e il suo “piccolo futuro da preservare” alla corte di Arcore. Così si proponeva di ricattare il presidente dell’Agcom, minacciando di raccontare alla stampa o ai giudici come si era “fatto i cazzi suoi” su alcuni affari trattati dall’Agcom pur di strappargli la firma che autorizzasse Masi a chiudere A n n o ze ro . Se poi é Calabrò né Masi hanno firmato, non è perché il Banana non riesca a farsi obbedire, ma perché le istruttorie aperte dall’Agcom si sono protratte fino alla serrata di febbraio; e soprattutto perché A n n o ze ro va in onda per decisione dei giudici, non della Rai, e nessuno dei due voleva firmare una censura illegale che l’avrebbe trascinato in tribunale. Ciò vuol dire che Berlusconi non se lo fila nessuno? Che non è successo niente? Cazzullo faccia uno sforzo e provi a immaginare di essere la firma più letta del Corriere. Chissà come si sentirebbe a lavorare sapendo che l’editore gli tifa contro, non vede l’ora che “faccia la pipì fuori dal vaso” per cacciarlo, sollecita esposti contro di lui, tresca alle sue spalle con politici, amministratori, vigilantes e presunti arbitri. Chissà come reagirebbe se, ogni volta che scrive un pezzo, l’editore gl’inviasse una minaccia di multa fino al 3% del fatturato. Chissà che direbbe se un collega che confonde la penna con l’estintore gli ridesse pure in faccia: “Ma di che ti lamenti? Mica ti hanno cacciato. Su con la vita!”. E chissà quale uso alternativo gli consiglierebbe, per l’estintore.
Pd di Letta e di governo
Venerdì 19 marzo 2010 – Anno 2 – n° 91
Pd di Letta e di governo
Prosegue senza sosta l’autodistruzione di Pdl e Pd. Il Banana si suicida parlando ogni giorno dell’inchiesta di Trani, mentre gli converrebbe parlar d’altro. Il Pd si suicida parlando d’altro mentre gli converrebbe parlare ogni giorno dell’inchiesta di Trani. Non, naturalmente, degli eventuali reati. Ma dei fatti. Delle parole incise nelle intercettazioni del Banana e dei suoi ascari di TeleZimbabwe, che sono la summa del berlusconismo, la ragione sociale di sedici anni di regime. Molti italiani, anche di destra, sono furibondi per il mese di black-out imposto all’informazione tv, ormai appaltata agli Scodinzolini. I nastri di Trani contengono le impronte digitali del mandante. E il Pd che fa? Ritira i suoi rappresentanti dal Cda Rai? Abbandona la cosiddetta Vigilanza? Chiede udienza a Napolitano per rammentargli che le cosiddette Authority operano sotto l’egida del Quirinale e per chiedergli una parola, possibilmente chiara (non il solito oracolo da Sibilla cumana, “ibis… re d i b i s …non… mor ier is… in bello…” che ciascuno può rigirarsi come gli pare), sul tema? Fa saltare questo sistema marcio dove gli arbitri che espellono i giornalisti sembrano lo spogliatoio del Milan o l’harem di Gianpi Tarantini? Spiega agli italiani che, se in tv non si parla mai di disoccupati, di crisi finanziaria, di drammi sociali, di piccoli imprenditori suicidi, di conti pubblici allo sfascio, è perché l’agenda unica della politica è la fotocopia della scaletta unica della tv dettata dal padrone unico d’Italia? Macché. Bersani fa battute sul telefono e il telecomando, poi invita a parlare dei “problemi reali del Paese”, come se non fosse proprio TeleZimbabwe a impedire che se ne parli. D’Alema teme che l’inchiesta aiuti il Banana a “fomentare il voto contro la sinistra” ancor più di quanto non lo fomentino lui e i suoi boys (tipo Frisullo, l’ala sinistra del team Tarantini). Beppe Fioroni, altro genio della cosiddetta opposizione, ritiene che “questi magistrati vogliono proprio far vincere Berlusconi e noi ci mettiamo del nostro difendendo Santoro dodici volte al giorno”. Dunque, se il fico Fioroni ha ragione, i giudici di Bari che ieri hanno arrestato Frisullo l’han fatto per far vincere le elezioni al Pd (quanto alla difesa di Santoro: mai pervenuta). Per questi analfabeti della democrazia liberale, il rispetto delle regole e la difesa dell’indipendenza della magistratura e dell’infor mazione non sono valori in sé, da difendere sempre e comunque, ma delle carte da giocare al tavolo del croupier per far vincere le elezioni a questo o quello. Paola Concia è sdegnata: “Non se ne può più di questa roba perché l’unico che se ne avvantaggia è il presidente del Consiglio”: la “roba” non sono ovviamente le illegalità del premier, ma le indagini che le hanno scoperte. Persino Rosy Bindi annuncia: “Non mi appassiono a questa vicenda giudiziaria”. E Nick Latorre predica “tanta cautela” (lui, così cauto quando telefonava a Ricucci e Consorte). Poi ci sono i vedovi inconsolabili di Gianni Letta (non di Enrico, di Gianni), molto più popolare nel Pd che nel Pdl. Il Riformatorio lacrima copiosamente al capezzale dell’Uomo Inciucio, che Il Fatto e Repubblica osano citare fra i protagonisti delle intercettazioni di Trani raccontando nientemeno che la verità. L’ex socialista Francesco Tempestini, appena imbarcato dai bersaniani, tuona sul Fog l i o non contro le parole del banana, ma contro “l’inchiesta pugliese che appartiene alla patologia della magistratura”; e guai ad “attaccare una figura della mediazione come quella di Gianni Letta”. La Concia concorda: “Attaccare Letta vuol dire cercare un clima da guerra civile”. Ecco: mentre nel Pdl si aprono crepe spaventose fra il Banana e il resto del suo mondo, con Fini sempre più defilato, Tremonti sempre più aciturno, la Lega sempre più arroccata nelle sue valli in vista del sorpasso nel nord-est, i migliori cervelli del Pd si stringono come un sol uomo attorno al Banana. Lo sanno bene che, se sparisce lui, scompaiono anche loro.
Pd di Letta e di governo
Prosegue senza sosta l’autodistruzione di Pdl e Pd. Il Banana si suicida parlando ogni giorno dell’inchiesta di Trani, mentre gli converrebbe parlar d’altro. Il Pd si suicida parlando d’altro mentre gli converrebbe parlare ogni giorno dell’inchiesta di Trani. Non, naturalmente, degli eventuali reati. Ma dei fatti. Delle parole incise nelle intercettazioni del Banana e dei suoi ascari di TeleZimbabwe, che sono la summa del berlusconismo, la ragione sociale di sedici anni di regime. Molti italiani, anche di destra, sono furibondi per il mese di black-out imposto all’informazione tv, ormai appaltata agli Scodinzolini. I nastri di Trani contengono le impronte digitali del mandante. E il Pd che fa? Ritira i suoi rappresentanti dal Cda Rai? Abbandona la cosiddetta Vigilanza? Chiede udienza a Napolitano per rammentargli che le cosiddette Authority operano sotto l’egida del Quirinale e per chiedergli una parola, possibilmente chiara (non il solito oracolo da Sibilla cumana, “ibis… re d i b i s …non… mor ier is… in bello…” che ciascuno può rigirarsi come gli pare), sul tema? Fa saltare questo sistema marcio dove gli arbitri che espellono i giornalisti sembrano lo spogliatoio del Milan o l’harem di Gianpi Tarantini? Spiega agli italiani che, se in tv non si parla mai di disoccupati, di crisi finanziaria, di drammi sociali, di piccoli imprenditori suicidi, di conti pubblici allo sfascio, è perché l’agenda unica della politica è la fotocopia della scaletta unica della tv dettata dal padrone unico d’Italia? Macché. Bersani fa battute sul telefono e il telecomando, poi invita a parlare dei “problemi reali del Paese”, come se non fosse proprio TeleZimbabwe a impedire che se ne parli. D’Alema teme che l’inchiesta aiuti il Banana a “fomentare il voto contro la sinistra” ancor più di quanto non lo fomentino lui e i suoi boys (tipo Frisullo, l’ala sinistra del team Tarantini). Beppe Fioroni, altro genio della cosiddetta opposizione, ritiene che “questi magistrati vogliono proprio far vincere Berlusconi e noi ci mettiamo del nostro difendendo Santoro dodici volte al giorno”. Dunque, se il fico Fioroni ha ragione, i giudici di Bari che ieri hanno arrestato Frisullo l’han fatto per far vincere le elezioni al Pd (quanto alla difesa di Santoro: mai pervenuta). Per questi analfabeti della democrazia liberale, il rispetto delle regole e la difesa dell’indipendenza della magistratura e dell’infor mazione non sono valori in sé, da difendere sempre e comunque, ma delle carte da giocare al tavolo del croupier per far vincere le elezioni a questo o quello. Paola Concia è sdegnata: “Non se ne può più di questa roba perché l’unico che se ne avvantaggia è il presidente del Consiglio”: la “roba” non sono ovviamente le illegalità del premier, ma le indagini che le hanno scoperte. Persino Rosy Bindi annuncia: “Non mi appassiono a questa vicenda giudiziaria”. E Nick Latorre predica “tanta cautela” (lui, così cauto quando telefonava a Ricucci e Consorte). Poi ci sono i vedovi inconsolabili di Gianni Letta (non di Enrico, di Gianni), molto più popolare nel Pd che nel Pdl. Il Riformatorio lacrima copiosamente al capezzale dell’Uomo Inciucio, che Il Fatto e Repubblica osano citare fra i protagonisti delle intercettazioni di Trani raccontando nientemeno che la verità. L’ex socialista Francesco Tempestini, appena imbarcato dai bersaniani, tuona sul Fog l i o non contro le parole del banana, ma contro “l’inchiesta pugliese che appartiene alla patologia della magistratura”; e guai ad “attaccare una figura della mediazione come quella di Gianni Letta”. La Concia concorda: “Attaccare Letta vuol dire cercare un clima da guerra civile”. Ecco: mentre nel Pdl si aprono crepe spaventose fra il Banana e il resto del suo mondo, con Fini sempre più defilato, Tremonti sempre più aciturno, la Lega sempre più arroccata nelle sue valli in vista del sorpasso nel nord-est, i migliori cervelli del Pd si stringono come un sol uomo attorno al Banana. Lo sanno bene che, se sparisce lui, scompaiono anche loro.
Ratti della Loggia
Giovedì 18 marzo 2010 – Anno 2 – n° 90
Ratti della Loggia
Il primo a sganciarsi è sempre Ernesto Galli della Loggia: fu quando lesse una sua critica moraleggiante che Bottino Craxi capì, rassegnato, che era tutto finito e prenotò il primo volo per Hammamet. Ora il noto intellettuale da tartufo, dotato di antenne sensibilissime e fiuto proverbiale, ha sparato a zero sul Pompiere contro il “partito di plastica” che “si sta squagliando”. Vivissima preoccupazione e toccamenti vari a Palazzo Grazioli e dintorni: se si smarca Galli, sono cavoli. E’ una regola implacabile dell’ecosistema, detta anche “effetto farfalla ”, oggetto di una celebre conferenza di Edward Lorenz: “Può il battito d’ali di una farfalla in Brasile provocare un tornado in Texas?”. Analogamente è accertato che un lieve innalzamento del sopracciglio del professor Galli nonché Della Loggia possa provocare effetti devastanti, a catena, nei Palazzi della politica. Un po’ come la fuga del primo ratto dalla nave che comincia a imbarcare acqua. Gli altri seguiranno a stretto giro. Un altro rilevatore degli smottamenti più impercettibili dell’ecosistema politico è la Rai, in particolare il Tg1. Nel 2005, all’ennesima avvisaglia della frana berlusconiana, che aveva portato il Cainano a perdere tutte le elezioni comunali, provinciali, regionali ed europee, persino Francesco Giorgino rilasciò una dura intervista a Libero contro il suo direttorissimo, Clemente J. Mimun. L’efebico mezzobusto fu subito sbalzato fuori dalla conduzione del Tg1, dopodiché se la vide brutta nella notte delle lezioni del 2006, quando la scontata vittoria di Prodi parve all’improvviso molto meno scontata e si sfiorò il pareggio. Durò poco, comunque: due anni dopo, il Banana era di nuovo a Palazzo Chigi e tutti i topi tornarono per tempo nella tana. Ora ci risiamo, a parti rovesciate. Vespa che ronza sul palco con Santoro e Floris contro la chiusura dei programmi. E il sisalvichipuò al Tg1: “La più preoccupata di tutti del clima poco chiaro – scrive La Stampa - è la vicedirettora Susanna Petruni, che ai suoi fedelissimi continua a dire: “Se cambia aria qui mi asfaltano”. E per evitarlo ha iniziato già a prepararsi il posto per il dopo. Cosa di meglio se non la moda, argomento che di solito poco interessa al potere? E poco importa se a farne le spese sarebbe la storica inviata del settore, Paola Cacianti, pregata di non andare a Milano. Chi ha intervistato in prima serata Roberto Cavalli? La Petruni of course”. Ecco, per restare alla moda, ma soprattutto a vento, ti butti sulla moda. Che fa fine e non impegna. Sennò ti asfaltano. Ma non è mica finita: il sismografo di Arcore registra scosse preoccupanti pure dalla redazione del Foglio . S’è mosso Giuliano Ferrara e, quando si muove lui, altro che tornado. Il Platinette Barbuto ha vergato l’altroieri un sapido commentino sull’inchiesta di Trani per dire che sì, certo, il padrone è perseguitato dai giudici, certo le intercettazioni sono una vergogna, certo l’indagine pugliese è piena di anomalie, però bisognerebbe “fare un po’ di attenzione quando si parla al telefono”. Il Molto Intelligente non si spinge fino a suggerire al padrone di smetterla di delinquere, questo no, sarebbe troppo, oltre la più fertile immaginazione. Ma poco ci manca: “Bisognerebbe abituarsi – scrive testualmente – a delinquere un po’ meno attraverso i fili del telefono”. Ecco: o si scelgono altri mezzi meno rischiosi per delinquere indisturbati (tipo i pizzini, o la tradizione orale, o Skype), oppure se proprio si vuole telefonare è il caso di “delinquere un po’ meno”. Come già per il falso in bilancio e la frode fiscale, è consigliabile una “modica quantità” di concussione e di minacce. Umorismo involontario a parte, bisogna prendere atto seriamente che è la prima volta a memoria d’uomo che Ferrara usa il verbo “delinquere ”. Pare che, grazie all’ausilio di alcuni hacker, abbia dovuto craccare il sistema editoriale e il correttore automatico per far accettare quella parola roibita e inedita. E, se Ferrara dice “delinquere ”, per giunta a proposito del padrone, l’ora è davvero grave. Manca soltanto un’apertura a sinistra di Mastella, altro indicatore umano di catastrofi in arrivo. Ma al momento il sismografo di Ceppaloni registra ancora calma piatta. Segno che il Banana è cotto, ma per la degna sepoltura c’è ancora tempo.
Ratti della Loggia
Il primo a sganciarsi è sempre Ernesto Galli della Loggia: fu quando lesse una sua critica moraleggiante che Bottino Craxi capì, rassegnato, che era tutto finito e prenotò il primo volo per Hammamet. Ora il noto intellettuale da tartufo, dotato di antenne sensibilissime e fiuto proverbiale, ha sparato a zero sul Pompiere contro il “partito di plastica” che “si sta squagliando”. Vivissima preoccupazione e toccamenti vari a Palazzo Grazioli e dintorni: se si smarca Galli, sono cavoli. E’ una regola implacabile dell’ecosistema, detta anche “effetto farfalla ”, oggetto di una celebre conferenza di Edward Lorenz: “Può il battito d’ali di una farfalla in Brasile provocare un tornado in Texas?”. Analogamente è accertato che un lieve innalzamento del sopracciglio del professor Galli nonché Della Loggia possa provocare effetti devastanti, a catena, nei Palazzi della politica. Un po’ come la fuga del primo ratto dalla nave che comincia a imbarcare acqua. Gli altri seguiranno a stretto giro. Un altro rilevatore degli smottamenti più impercettibili dell’ecosistema politico è la Rai, in particolare il Tg1. Nel 2005, all’ennesima avvisaglia della frana berlusconiana, che aveva portato il Cainano a perdere tutte le elezioni comunali, provinciali, regionali ed europee, persino Francesco Giorgino rilasciò una dura intervista a Libero contro il suo direttorissimo, Clemente J. Mimun. L’efebico mezzobusto fu subito sbalzato fuori dalla conduzione del Tg1, dopodiché se la vide brutta nella notte delle lezioni del 2006, quando la scontata vittoria di Prodi parve all’improvviso molto meno scontata e si sfiorò il pareggio. Durò poco, comunque: due anni dopo, il Banana era di nuovo a Palazzo Chigi e tutti i topi tornarono per tempo nella tana. Ora ci risiamo, a parti rovesciate. Vespa che ronza sul palco con Santoro e Floris contro la chiusura dei programmi. E il sisalvichipuò al Tg1: “La più preoccupata di tutti del clima poco chiaro – scrive La Stampa - è la vicedirettora Susanna Petruni, che ai suoi fedelissimi continua a dire: “Se cambia aria qui mi asfaltano”. E per evitarlo ha iniziato già a prepararsi il posto per il dopo. Cosa di meglio se non la moda, argomento che di solito poco interessa al potere? E poco importa se a farne le spese sarebbe la storica inviata del settore, Paola Cacianti, pregata di non andare a Milano. Chi ha intervistato in prima serata Roberto Cavalli? La Petruni of course”. Ecco, per restare alla moda, ma soprattutto a vento, ti butti sulla moda. Che fa fine e non impegna. Sennò ti asfaltano. Ma non è mica finita: il sismografo di Arcore registra scosse preoccupanti pure dalla redazione del Foglio . S’è mosso Giuliano Ferrara e, quando si muove lui, altro che tornado. Il Platinette Barbuto ha vergato l’altroieri un sapido commentino sull’inchiesta di Trani per dire che sì, certo, il padrone è perseguitato dai giudici, certo le intercettazioni sono una vergogna, certo l’indagine pugliese è piena di anomalie, però bisognerebbe “fare un po’ di attenzione quando si parla al telefono”. Il Molto Intelligente non si spinge fino a suggerire al padrone di smetterla di delinquere, questo no, sarebbe troppo, oltre la più fertile immaginazione. Ma poco ci manca: “Bisognerebbe abituarsi – scrive testualmente – a delinquere un po’ meno attraverso i fili del telefono”. Ecco: o si scelgono altri mezzi meno rischiosi per delinquere indisturbati (tipo i pizzini, o la tradizione orale, o Skype), oppure se proprio si vuole telefonare è il caso di “delinquere un po’ meno”. Come già per il falso in bilancio e la frode fiscale, è consigliabile una “modica quantità” di concussione e di minacce. Umorismo involontario a parte, bisogna prendere atto seriamente che è la prima volta a memoria d’uomo che Ferrara usa il verbo “delinquere ”. Pare che, grazie all’ausilio di alcuni hacker, abbia dovuto craccare il sistema editoriale e il correttore automatico per far accettare quella parola roibita e inedita. E, se Ferrara dice “delinquere ”, per giunta a proposito del padrone, l’ora è davvero grave. Manca soltanto un’apertura a sinistra di Mastella, altro indicatore umano di catastrofi in arrivo. Ma al momento il sismografo di Ceppaloni registra ancora calma piatta. Segno che il Banana è cotto, ma per la degna sepoltura c’è ancora tempo.
Meno male che Silvio c’è
Mercoledì 17 marzo 2010 – Anno 2 – n° 89
Meno male che Silvio c’è
Questo, a riprova dell’assoluta imparzialità del Fatto, è un articolo interamente favorevole a Silvio Berlusconi. Che resta sempre e comunque, soprattutto in questa fase crepuscolare, il miglior oppositore di se stesso. Due giorni fa, a causa della penuria di notizie provenienti da Trani, lo scandalo Tg1-Agcom stava scivolando in basso nelle prime pagine dei giornali. Poi, a riportarlo in testa a caratteri cubitali, ha provveduto lui con gli appositi Al Fano e Ghedini. Angelino Jolie ha spedito gl’ispettori a curiosare nell’inchiesta, dimostrando che preoccupa parecchio il Banana e tutta la banda. Ghedini poi si è superato, sfidando i pm: vediamo se hanno il coraggio di confermare che il Banana è indagato. Quelli, per nulla impensieriti, l’han subito accontentato: sì, è indagato, e non solo per concussione (come rivelato dal Fatto ), ma pure per “minacce a corpo politico, amministrativo o giudiziario”. Ed è indagato anche Minzolingua che l’altro giorno, prendendo per buona la smentita di una donna delle pulizie, definiva “inventata ” la notizia dell’indagine su di lui (lui parlava di “avviso di garanzia ”, di cui nessuno aveva mai parlato, confondendolo con l’iscrizione sul registro degli indagati). E anche lui ha fatto tutto da solo: appena uscito dalla Procura di Trani, dov’era stato sentito come testimone, ha pensato bene di fare una telefonata per spiattellare il contenuto dell’interrogatorio segretato. Uno dirà: avrà chiamato la moglie, la fidanzata, un parente, un amico del cuore, un collega. No, il suo primo pensiero è stato chiamare Bonaiuti perché informasse il Banana. Come dire: i suoi cari. E così il nemico acerrimo delle fughe di notizie ha fatto una bella fuga di notizie, avendo fra l’altro l’accortezza di farla a Trani. Il che ha consentito ai pm di radicare la competenza territoriale, almeno sul suo conto, proprio lì. Un genio. Al resto ha provveduto, con la consueta generosità, il Banana. Per un mese o forse più, ha tempestato di telefonate il direttore della Rai, il presidente dell’Agcom e un membro della medesima, il sottostante Innocenzi, per minacciare un Corpo amministrativo dello Stato e turbarne la normale attività così da fulminare un paio di programmi sgraditi, gli ultimi rimasti. In alcune telefonate ha pure sottolineato, giustamente, che gli agcomici rubano un lauto stipendio senza nemmeno riuscire a portare a termine la loro unica missione: chiudere Annozero . In effetti, pagare 4-5 commissari di notoria dipendenza 400-500 mila euro l’anno ciascuno per chiudere una trasmissione e vedersela in onda ogni giovedì, è un inutile sperpero di denaro pubblico. Il fatto è che quelle telefonate sono espressamente proibite dall’articolo 338 del Codice penale: “Chiunque usa violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario o ad una rappresentanza di esso, o ad una qualsiasi pubblica Autorità costituita in collegio, per impedirne in tutto o in parte, anche temporaneamente o per turbarne comunque l’attività, è punito con la reclusione da 1 a 7 anni”. Parole più appropriate per sintetizzare le telefonate del Banana sarebbe difficile trovarne. Ora, delle due l’una. O il Banana, che è pure laureato in Legge, conosce a memoria ogni più recondita piega del Codice penale e si diverte a violarne tutti gli articoli, anche due o tre alla volta, con la cura maniacale del collezionista (“gli manca solo l’a bigeato”, titolava ieri il Geniale con involontaria ironia). Oppure è l’articolo 338 del Codice penale, scritto dal fascista Alfredo Rocco nel 1930, che è stato modellato su misura del Banana con un’ottantina d’anni di anticipo e una buona dose di chiaroveggenza. Prima o poi, quando depenalizzeranno anche questo reato, qualche Bondi o Capezzone salterà su a denunciare il Codice Rocco, anzi Rosso, con particolare riferimento al 338 scritto apposta per Lui. Un Codice ad orologeria e ad personam. “Continuo a usare il telefonino con la più ampia libertà – dichiarò il Banana il 2 aprile 2008 – ma se escono nuove intercettazioni lascio questo Paese”. Che sia la volta buona?
Meno male che Silvio c’è
Questo, a riprova dell’assoluta imparzialità del Fatto, è un articolo interamente favorevole a Silvio Berlusconi. Che resta sempre e comunque, soprattutto in questa fase crepuscolare, il miglior oppositore di se stesso. Due giorni fa, a causa della penuria di notizie provenienti da Trani, lo scandalo Tg1-Agcom stava scivolando in basso nelle prime pagine dei giornali. Poi, a riportarlo in testa a caratteri cubitali, ha provveduto lui con gli appositi Al Fano e Ghedini. Angelino Jolie ha spedito gl’ispettori a curiosare nell’inchiesta, dimostrando che preoccupa parecchio il Banana e tutta la banda. Ghedini poi si è superato, sfidando i pm: vediamo se hanno il coraggio di confermare che il Banana è indagato. Quelli, per nulla impensieriti, l’han subito accontentato: sì, è indagato, e non solo per concussione (come rivelato dal Fatto ), ma pure per “minacce a corpo politico, amministrativo o giudiziario”. Ed è indagato anche Minzolingua che l’altro giorno, prendendo per buona la smentita di una donna delle pulizie, definiva “inventata ” la notizia dell’indagine su di lui (lui parlava di “avviso di garanzia ”, di cui nessuno aveva mai parlato, confondendolo con l’iscrizione sul registro degli indagati). E anche lui ha fatto tutto da solo: appena uscito dalla Procura di Trani, dov’era stato sentito come testimone, ha pensato bene di fare una telefonata per spiattellare il contenuto dell’interrogatorio segretato. Uno dirà: avrà chiamato la moglie, la fidanzata, un parente, un amico del cuore, un collega. No, il suo primo pensiero è stato chiamare Bonaiuti perché informasse il Banana. Come dire: i suoi cari. E così il nemico acerrimo delle fughe di notizie ha fatto una bella fuga di notizie, avendo fra l’altro l’accortezza di farla a Trani. Il che ha consentito ai pm di radicare la competenza territoriale, almeno sul suo conto, proprio lì. Un genio. Al resto ha provveduto, con la consueta generosità, il Banana. Per un mese o forse più, ha tempestato di telefonate il direttore della Rai, il presidente dell’Agcom e un membro della medesima, il sottostante Innocenzi, per minacciare un Corpo amministrativo dello Stato e turbarne la normale attività così da fulminare un paio di programmi sgraditi, gli ultimi rimasti. In alcune telefonate ha pure sottolineato, giustamente, che gli agcomici rubano un lauto stipendio senza nemmeno riuscire a portare a termine la loro unica missione: chiudere Annozero . In effetti, pagare 4-5 commissari di notoria dipendenza 400-500 mila euro l’anno ciascuno per chiudere una trasmissione e vedersela in onda ogni giovedì, è un inutile sperpero di denaro pubblico. Il fatto è che quelle telefonate sono espressamente proibite dall’articolo 338 del Codice penale: “Chiunque usa violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario o ad una rappresentanza di esso, o ad una qualsiasi pubblica Autorità costituita in collegio, per impedirne in tutto o in parte, anche temporaneamente o per turbarne comunque l’attività, è punito con la reclusione da 1 a 7 anni”. Parole più appropriate per sintetizzare le telefonate del Banana sarebbe difficile trovarne. Ora, delle due l’una. O il Banana, che è pure laureato in Legge, conosce a memoria ogni più recondita piega del Codice penale e si diverte a violarne tutti gli articoli, anche due o tre alla volta, con la cura maniacale del collezionista (“gli manca solo l’a bigeato”, titolava ieri il Geniale con involontaria ironia). Oppure è l’articolo 338 del Codice penale, scritto dal fascista Alfredo Rocco nel 1930, che è stato modellato su misura del Banana con un’ottantina d’anni di anticipo e una buona dose di chiaroveggenza. Prima o poi, quando depenalizzeranno anche questo reato, qualche Bondi o Capezzone salterà su a denunciare il Codice Rocco, anzi Rosso, con particolare riferimento al 338 scritto apposta per Lui. Un Codice ad orologeria e ad personam. “Continuo a usare il telefonino con la più ampia libertà – dichiarò il Banana il 2 aprile 2008 – ma se escono nuove intercettazioni lascio questo Paese”. Che sia la volta buona?
Ride il telefono
Martedì 16 marzo 2010 – Anno 2 – n° 88
Ride il telefono
C'è un solo genere letterario più avvincente delle intercettazioni: i commenti alle intercettazioni sui giornali berlusconiani e “rifor misti” (cioè berlusconiani non appartenenti a Berlusconi). La linea di quelli berlusconiani doc è nota: dipende da chi è l’intercettato. Se è Berlusconi, le intercettazioni non si devono pubblicare, anzi non si devono proprio fare. Se è qualcuno del centrosinistra, si devono fare e pubblicare anche se coperte da segreto. Infatti, ora che c’è di mezzo il padrone, il Geniale chiede addirittura di “intercettare i magistrati” per “scoprire e punire chi passa notizie ai giornali”. E’ lo stesso Geniale che pubblicò testualmente quelle segrete (neppure trascritte) tra Fassino e Consorte prima delle elezioni del 2006, conservate in cassaforte dalla Procura in attesa di inviarle al gip e di lì alla Camera. E’ lo stesso Geniale che pubblicò le foto di un non indagato a proposito di una vicenda privata (Sircana in auto nei pressi di un trans), estranee al fascicolo processuale. Poi Panora ma pubblicò le telefonate segrete tra il premier Prodi e alcuni personaggi che ne raccomandavano altri. E noi, convinti che il giornalista debba pubblicare tutte le notizie d’interesse pubblico, segrete o non segrete, di provenienza giudiziaria o diversa, scrivemmo che il Geniale e Panora ma ave vano fatto benissimo, anche violando il segreto (per Fassino e Prodi) e la privacy (di Sircana), visto che si trattava di personaggi pubblici e, nel terzo caso, di un tentato ricatto. Ma noi scriviamo per i lettori, non per il padrone . Poi ci sono i giornali berlusconiani del secondo tipo: quelli terzisti e “rifor misti”. Sono tutti lì a spaccare il capello in quattro pur di non parlare dei fatti che disturbano le loro opinioni, anzi le smentiscono. Si domandano dov’è il reato, come se minacciare il presidente dell’Agcom e il dg della Rai perché trovino un pretesto per chiudere Annozero fosse cosa lecita (l’ha spiegato ieri il procuratore Capristo, rispondendo alla richiesta-boomerang del geniale Ghedini, quali sono i reati: vedi agli articoli 317 e 338 del Codice penale). S’interrogano pensosi sulla competenza di Trani, come se la questione si ponesse durante le indagini e non alla fine. Chiedono – per le penne di Macaluso jr. e di Cerchiobattista – di “attendere una sentenza definitiva” per giudicare ciò che è già sotto gli occhi di tutti. Ecco: se vedono un tipo uscire da una banca in mascherina e calzamaglia col sacco pieno, questi aspettano la Cassazione per gridare al ladro. Intendiamoci: la costernazione dei “l i b e ra l i ” del Pompiere della Sera dinanzi alle intercettazioni raccontate dal Fatto è comprensibile. Da anni si affannano a spiegare che: il miglior alleato del Banana è Di Pietro; chi racconta i processi al Banana fa il suo gioco; ogni puntata di Annozero gli regala migliaia di voti; e, naturalmente, la tv non sposta voti. A furia di ripeterlo, sono riusciti a convincerne i leader del Pd e di mezza sinistra, che infatti detestano Di Pietro e Santoro, non parlano dei processi al Banana e il conflitto d’interessi non solo non l’hanno mai risolto, ma manco lo nominano più. Poi purtroppo, a sbugiardarli, provvedono le intercettazioni: dal crac Hdc al caso Saccà allo scandalo Scodinzolini-Agcom, immortalano regolarmente il Banana tutto preso a cancellare Di Pietro dalle tv (Mentana fu cacciato per averlo invitato a Matr ix e Costanzo ha rivelato che il Banana lo chiamava solo quando aveva l’ex pm nel suo Show), a fucilare A n n o ze ro (come già Sciuscià), a bloccare i programmi che parlano dei suoi processi e cioè a dimostrare che la tv i voti li sposta eccome. In fatti la tv è e rimane sua. Mai una volta che lo si senta dire: “Di Pietro e Santoro mi fanno guadagnare voti, dunque li voglio in onda 24 ore su 24 a parlare dei miei processi”. Ecco: Di Pietro e Santoro sono i suoi migliori alleati (diversamente da Casini e D’Alema, vere spine nel fianco), ma il Banana non lo sa: non se n’è mai accorto. Qualcuno, per favore, lo informi. Oppure avverta i pompieri della sera che è ora di cambiare musica.
Ride il telefono
C'è un solo genere letterario più avvincente delle intercettazioni: i commenti alle intercettazioni sui giornali berlusconiani e “rifor misti” (cioè berlusconiani non appartenenti a Berlusconi). La linea di quelli berlusconiani doc è nota: dipende da chi è l’intercettato. Se è Berlusconi, le intercettazioni non si devono pubblicare, anzi non si devono proprio fare. Se è qualcuno del centrosinistra, si devono fare e pubblicare anche se coperte da segreto. Infatti, ora che c’è di mezzo il padrone, il Geniale chiede addirittura di “intercettare i magistrati” per “scoprire e punire chi passa notizie ai giornali”. E’ lo stesso Geniale che pubblicò testualmente quelle segrete (neppure trascritte) tra Fassino e Consorte prima delle elezioni del 2006, conservate in cassaforte dalla Procura in attesa di inviarle al gip e di lì alla Camera. E’ lo stesso Geniale che pubblicò le foto di un non indagato a proposito di una vicenda privata (Sircana in auto nei pressi di un trans), estranee al fascicolo processuale. Poi Panora ma pubblicò le telefonate segrete tra il premier Prodi e alcuni personaggi che ne raccomandavano altri. E noi, convinti che il giornalista debba pubblicare tutte le notizie d’interesse pubblico, segrete o non segrete, di provenienza giudiziaria o diversa, scrivemmo che il Geniale e Panora ma ave vano fatto benissimo, anche violando il segreto (per Fassino e Prodi) e la privacy (di Sircana), visto che si trattava di personaggi pubblici e, nel terzo caso, di un tentato ricatto. Ma noi scriviamo per i lettori, non per il padrone . Poi ci sono i giornali berlusconiani del secondo tipo: quelli terzisti e “rifor misti”. Sono tutti lì a spaccare il capello in quattro pur di non parlare dei fatti che disturbano le loro opinioni, anzi le smentiscono. Si domandano dov’è il reato, come se minacciare il presidente dell’Agcom e il dg della Rai perché trovino un pretesto per chiudere Annozero fosse cosa lecita (l’ha spiegato ieri il procuratore Capristo, rispondendo alla richiesta-boomerang del geniale Ghedini, quali sono i reati: vedi agli articoli 317 e 338 del Codice penale). S’interrogano pensosi sulla competenza di Trani, come se la questione si ponesse durante le indagini e non alla fine. Chiedono – per le penne di Macaluso jr. e di Cerchiobattista – di “attendere una sentenza definitiva” per giudicare ciò che è già sotto gli occhi di tutti. Ecco: se vedono un tipo uscire da una banca in mascherina e calzamaglia col sacco pieno, questi aspettano la Cassazione per gridare al ladro. Intendiamoci: la costernazione dei “l i b e ra l i ” del Pompiere della Sera dinanzi alle intercettazioni raccontate dal Fatto è comprensibile. Da anni si affannano a spiegare che: il miglior alleato del Banana è Di Pietro; chi racconta i processi al Banana fa il suo gioco; ogni puntata di Annozero gli regala migliaia di voti; e, naturalmente, la tv non sposta voti. A furia di ripeterlo, sono riusciti a convincerne i leader del Pd e di mezza sinistra, che infatti detestano Di Pietro e Santoro, non parlano dei processi al Banana e il conflitto d’interessi non solo non l’hanno mai risolto, ma manco lo nominano più. Poi purtroppo, a sbugiardarli, provvedono le intercettazioni: dal crac Hdc al caso Saccà allo scandalo Scodinzolini-Agcom, immortalano regolarmente il Banana tutto preso a cancellare Di Pietro dalle tv (Mentana fu cacciato per averlo invitato a Matr ix e Costanzo ha rivelato che il Banana lo chiamava solo quando aveva l’ex pm nel suo Show), a fucilare A n n o ze ro (come già Sciuscià), a bloccare i programmi che parlano dei suoi processi e cioè a dimostrare che la tv i voti li sposta eccome. In fatti la tv è e rimane sua. Mai una volta che lo si senta dire: “Di Pietro e Santoro mi fanno guadagnare voti, dunque li voglio in onda 24 ore su 24 a parlare dei miei processi”. Ecco: Di Pietro e Santoro sono i suoi migliori alleati (diversamente da Casini e D’Alema, vere spine nel fianco), ma il Banana non lo sa: non se n’è mai accorto. Qualcuno, per favore, lo informi. Oppure avverta i pompieri della sera che è ora di cambiare musica.
Notizia, che fare?
Domenica 14 marzo 2010 – Anno 2 – n° 87
Notizia, che fare?
Per certi giornali non c’è nulla di peggio di una notizia vera che irrompe in redazione a tradimento. E’ come un virus senza vaccino. Una droga che alla lunga può creare dipendenza, poi non resta che la comunità di recupero. Prendiamo la notizia rivelata dal Fatto : il premier padrone di Mediaset e i suoi picciotti concordano col commissario Agcom, profumatamente pagato da noi per garantire la libera informazione, come chiudere il programma d’informazione più visto della Rai, mentre il direttore del Tg1 traffica col premier per neutralizzare le notizie scomode, il tutto con la compiacenza dei vertici Rai. Il Tg1 la liquida col titolo: “Polemiche su Premier e informazione”, segue servizio sul boom dei balli sudamericani. Il Banana tenta di coprirla con un allarme bomba, ovviamente falso. Più arduo il lavoro della stampa al seguito. Quella che inventa false indagini su Di Pietro, sul complotto planetario della D’Addario e sulla casa di Santoro, ma di fronte a un’indagine vera va in paranoia. Chiama il Sert, convoca l’assistente sociale e ricorre alle più varie terapie disintossicanti per uscire dal tunnel della notizia. Terapia Sallusti. Lo Zio Tibia del Geniale è proibizionista: “Se il governo avesse avuto il coraggio di varare la legge contro lo scandaloso abuso delle intercettazioni, oggi non racconteremmo questa storia. Invece no, a furia di fermarsi davanti ai magistrati, ai Di Pietro, e ai Santoro, eccoci qua”. Fa tenerezza, il Feltriskin: si ritrova per le mani questo oggetto misterioso, gli spiegano che è una notizia, e lui, colto in contropiede, non sa proprio che fare. Come si comporta un giornalista alle prese con una notizia? Attimi di panico e ipossia, poi l’idea geniale: chiedere al governo di vietare le intercettazioni onde evitare che l’increscioso incidente abbia a ripetersi in futuro. Segue appello al Banana perché la smetta di prendere ordini dai magistrati, da Di Pietro e da Santoro (le 37 leggi ad personam le hanno dettate tutte loro) e faccia finalmente una legge contro i giudici e i giornalisti. Terapia Belpietro. Il simpatico Via col Mento ritiene che il problema non sia il concerto del premier e dei sottostanti direttorissimi e arbitri venduti contro la libertà d’informazione, ma il fatto che un pm l’abbia scoperto: “Qualsiasi ufficio periferico della giustizia è in grado, se vuole, di ascoltare tutto ciò che dice il capo del governo. In nessun Paese normale il capo del governo può essere registrato a sua insaputa da un maresciallo su ordine di un pm”. Secondo lui, all’estero i marescialli, prima d’intercettare il capo del governo, lo avvertono per sapere se abbia nulla in contrario (sono furbi, i marescialli, all’estero). Strano che Belpietro non l’abbia scritto due anni fa, quando pubblicò a puntate su Panora ma le telefonate del premier Prodi intercettate da un ufficio periferico della giustizia, quello di Trento. Forse perché allora Prodi disse “pubblicate tutto, non ho nulla da nascondere, e guai se usate questa vicenda per una legge anti-intercettazioni”. E fu chiaro a tutti ciò che lorsignori fingono di ignorare: se un parlamentare viene intercettato, non è perché sia sotto controllo il suo telefono, ma quello di un poco di buono che parla con lui. Male non fare, paura non avere. Terapia Battista. Il popolare Cerchiobattista potrebbe scusarsi per aver ripetuto che la tv non sposta voti e prendere atto che, se il Banana si dedica da 15 anni a epurare i giornalisti liberi, un motivo ci sarà. Invece distribuisce equamente le colpe. Colpevole il premier epuratore che “scavalca una frontiera di opportunità e di stile” e desta “p re o c c u p a z i o n e ” (gliele ha cantate chiare). Ma olpevole pure il pm che l’ha scoperto: “Non è chiara la competenza di Trani su fatti accaduti fuori dal suo ter ritorio”. Se, puta caso, un pm di Trani indagando su un furto di bestiame a Trani scopre che un pastore sta per ammazzare la moglie a Bisceglie, deve interrompere le intercettazioni e passare subito il fascicolo a Bisceglie. Così, mentre le carte sono in viaggio, il delitto si compie. La competenza è salva, la signora un po’ meno.
Notizia, che fare?
Per certi giornali non c’è nulla di peggio di una notizia vera che irrompe in redazione a tradimento. E’ come un virus senza vaccino. Una droga che alla lunga può creare dipendenza, poi non resta che la comunità di recupero. Prendiamo la notizia rivelata dal Fatto : il premier padrone di Mediaset e i suoi picciotti concordano col commissario Agcom, profumatamente pagato da noi per garantire la libera informazione, come chiudere il programma d’informazione più visto della Rai, mentre il direttore del Tg1 traffica col premier per neutralizzare le notizie scomode, il tutto con la compiacenza dei vertici Rai. Il Tg1 la liquida col titolo: “Polemiche su Premier e informazione”, segue servizio sul boom dei balli sudamericani. Il Banana tenta di coprirla con un allarme bomba, ovviamente falso. Più arduo il lavoro della stampa al seguito. Quella che inventa false indagini su Di Pietro, sul complotto planetario della D’Addario e sulla casa di Santoro, ma di fronte a un’indagine vera va in paranoia. Chiama il Sert, convoca l’assistente sociale e ricorre alle più varie terapie disintossicanti per uscire dal tunnel della notizia. Terapia Sallusti. Lo Zio Tibia del Geniale è proibizionista: “Se il governo avesse avuto il coraggio di varare la legge contro lo scandaloso abuso delle intercettazioni, oggi non racconteremmo questa storia. Invece no, a furia di fermarsi davanti ai magistrati, ai Di Pietro, e ai Santoro, eccoci qua”. Fa tenerezza, il Feltriskin: si ritrova per le mani questo oggetto misterioso, gli spiegano che è una notizia, e lui, colto in contropiede, non sa proprio che fare. Come si comporta un giornalista alle prese con una notizia? Attimi di panico e ipossia, poi l’idea geniale: chiedere al governo di vietare le intercettazioni onde evitare che l’increscioso incidente abbia a ripetersi in futuro. Segue appello al Banana perché la smetta di prendere ordini dai magistrati, da Di Pietro e da Santoro (le 37 leggi ad personam le hanno dettate tutte loro) e faccia finalmente una legge contro i giudici e i giornalisti. Terapia Belpietro. Il simpatico Via col Mento ritiene che il problema non sia il concerto del premier e dei sottostanti direttorissimi e arbitri venduti contro la libertà d’informazione, ma il fatto che un pm l’abbia scoperto: “Qualsiasi ufficio periferico della giustizia è in grado, se vuole, di ascoltare tutto ciò che dice il capo del governo. In nessun Paese normale il capo del governo può essere registrato a sua insaputa da un maresciallo su ordine di un pm”. Secondo lui, all’estero i marescialli, prima d’intercettare il capo del governo, lo avvertono per sapere se abbia nulla in contrario (sono furbi, i marescialli, all’estero). Strano che Belpietro non l’abbia scritto due anni fa, quando pubblicò a puntate su Panora ma le telefonate del premier Prodi intercettate da un ufficio periferico della giustizia, quello di Trento. Forse perché allora Prodi disse “pubblicate tutto, non ho nulla da nascondere, e guai se usate questa vicenda per una legge anti-intercettazioni”. E fu chiaro a tutti ciò che lorsignori fingono di ignorare: se un parlamentare viene intercettato, non è perché sia sotto controllo il suo telefono, ma quello di un poco di buono che parla con lui. Male non fare, paura non avere. Terapia Battista. Il popolare Cerchiobattista potrebbe scusarsi per aver ripetuto che la tv non sposta voti e prendere atto che, se il Banana si dedica da 15 anni a epurare i giornalisti liberi, un motivo ci sarà. Invece distribuisce equamente le colpe. Colpevole il premier epuratore che “scavalca una frontiera di opportunità e di stile” e desta “p re o c c u p a z i o n e ” (gliele ha cantate chiare). Ma olpevole pure il pm che l’ha scoperto: “Non è chiara la competenza di Trani su fatti accaduti fuori dal suo ter ritorio”. Se, puta caso, un pm di Trani indagando su un furto di bestiame a Trani scopre che un pastore sta per ammazzare la moglie a Bisceglie, deve interrompere le intercettazioni e passare subito il fascicolo a Bisceglie. Così, mentre le carte sono in viaggio, il delitto si compie. La competenza è salva, la signora un po’ meno.
Minzo, perché fai così?
Sabato 13 marzo 2010 – Anno 2 – n° 86
Minzo, perché fai così?
Lo sconcerto di Minzolingua di fronte a una notizia, per giunta vera, è comprensibile: per uno abituato a origliare dietro le porte mezze frasi riportate de re l a t o e a mettere tutto in pagina, la pubblicazione di telefonate intercettate che riportano dialoghi realmente accaduti dev’essere davvero sconvolgente. Ma quando avrà ripreso il controllo dei suoi nervi, l’amico Minzo – come lo chiama il padrone – sarà grato al Fatto per lo scoop sull’inchiesta di Trani. Perché, a quel che se ne sa, dimostra che anche lui, persino lui, subiva pressioni dal Banana. Volendo, potrebbe sfoderare l’alibi dei nazisti a Norimberga: “Obbedivo agli ordini”. E gliel’abbiamo fornito noi. Invece niente: anziché ringraziarci, peggiora la sua posizione spiegando che lui non ha bisogno di pressioni. Premere su di lui è fatica sprecata: lui si preme da sé. Uno non fa in tempo a dargli un ordine che lui l’ha già eseguito. Obbedisce ancor prima di ricevere la telefonata. Nega addirittura di sapere qualcosa dell’inchiesta, mentre l’hanno interrogato tre mesi fa. Ma allora dillo, benedetto ragazzo, che vuoi farti del male. Ma è proprio questa la costante dei gerarchetti che stanno saltando per aria l’uno dopo l’altro in questo crepuscolo di regime: la tendenza all’autodistruzione. Un suicidio collettivo. Stan facendo tutto da soli. Infatti Bersani si astiene: “Non so nulla e non dico nulla”. Te pareva. E l’impavido Calabrò giura: “Mai fatto censure pre ventive”. Solo successive. Manca soltanto che Angelino Jolie mandi gli ispettori a Trani, per completare il presepe. Un presepe che non necessita di intercettazioni, per chi non ha proprio gli occhi foderati di prosciutto, anzi di gelatina. Cosa fosse l’Agcom (salvo un paio di commissari), cioè un plotone di esecuzione dei partiti contro A n n o ze ro e quel po’ che resta di libera tv, l’avevano capito tutti tranne il Quirinale, sotto la cui egida operano le cosiddette Authority indipendenti. Quale fosse la delega di Innocenzi, già beccato a chiamare “Grande Capo” il Cainano per cooperare alla caduta del governo Prodi. Quale fosse la mission del Tg1 di Scodinzolini, già rubrichista di Panorama a libro paga del premier. C’era bisogno delle sue telefonate con Berlusconi, dove non si capisce bene dove cominci uno e finisca l’altro, e soprattutto chi prema su chi? Ha ragione il Direttorissimo (come lo chiama Silvio nell’intimità): i suoi celebri editoriali parlano per lui. Serve una sputtanatina alla D’Addario o a Spatuzza? Pronta in tavola. Una pompetta funebre per Craxi? Fatta. Un servizietto contro le intercettazioni? Eccolo servito. Era tutto chiaro, lampante, solare pure senza nastri. Ce n’era abbastanza anche l’altroieri per accompagnare alla porta i garanti che non garantiscono se non il padrone, i giocatori travestiti da arbitri, i giornalisti che raccontano notizie false e occultano quelle vere. Ma, in questo paese di ipocriti e di santommasi che non credono finché non toccano, ecco, ora c’è pure la pistola fumante (l’ennesima, non bastando le telefonate del caso Saccà e quelle del crac Hdc): la prova provata dell’editto bulgaro permanente in cui langue l’Italia da 8 anni. Con l’aggravante che nel 2002 un Banana ancora acerbo diramò l’ukase pubblicamente da Sofia, a favore di telecamera. Ora fa tutto in segreto, lontano (pensa lui) da orecchi indiscreti. E ora lo aiutano pure gli arbitri che dovrebbero impedirglielo. È pure chiaro perché hanno chiuso i programmi di approfondimento: per evitare che qualcuno tiri fuori le notizie vere da sotto il tappeto di Minzolingua. Ed è chiarissimo il perché della legge sulle intercettazioni: questi gentiluomini sono così abituati a violare le leggi che non riescono a fermarsi. Delinquono sempre, di giorno e di notte, al coperto e indoor, in piedi e seduti, soprattutto al telefono. Dopo anni di inchieste basate sulle intercettazioni, potrebbero tentare di evitarle non dico comportandosi bene (sarebbe troppo), ma almeno usando i pizzini alla maniera di Provenzano (che infatti la fece franca per 43 anni). Invece no: continuano a delinquere via cavo e a farsi beccare. È l’ora dell’ottimismo: una retata li seppellirà.
Minzo, perché fai così?
Lo sconcerto di Minzolingua di fronte a una notizia, per giunta vera, è comprensibile: per uno abituato a origliare dietro le porte mezze frasi riportate de re l a t o e a mettere tutto in pagina, la pubblicazione di telefonate intercettate che riportano dialoghi realmente accaduti dev’essere davvero sconvolgente. Ma quando avrà ripreso il controllo dei suoi nervi, l’amico Minzo – come lo chiama il padrone – sarà grato al Fatto per lo scoop sull’inchiesta di Trani. Perché, a quel che se ne sa, dimostra che anche lui, persino lui, subiva pressioni dal Banana. Volendo, potrebbe sfoderare l’alibi dei nazisti a Norimberga: “Obbedivo agli ordini”. E gliel’abbiamo fornito noi. Invece niente: anziché ringraziarci, peggiora la sua posizione spiegando che lui non ha bisogno di pressioni. Premere su di lui è fatica sprecata: lui si preme da sé. Uno non fa in tempo a dargli un ordine che lui l’ha già eseguito. Obbedisce ancor prima di ricevere la telefonata. Nega addirittura di sapere qualcosa dell’inchiesta, mentre l’hanno interrogato tre mesi fa. Ma allora dillo, benedetto ragazzo, che vuoi farti del male. Ma è proprio questa la costante dei gerarchetti che stanno saltando per aria l’uno dopo l’altro in questo crepuscolo di regime: la tendenza all’autodistruzione. Un suicidio collettivo. Stan facendo tutto da soli. Infatti Bersani si astiene: “Non so nulla e non dico nulla”. Te pareva. E l’impavido Calabrò giura: “Mai fatto censure pre ventive”. Solo successive. Manca soltanto che Angelino Jolie mandi gli ispettori a Trani, per completare il presepe. Un presepe che non necessita di intercettazioni, per chi non ha proprio gli occhi foderati di prosciutto, anzi di gelatina. Cosa fosse l’Agcom (salvo un paio di commissari), cioè un plotone di esecuzione dei partiti contro A n n o ze ro e quel po’ che resta di libera tv, l’avevano capito tutti tranne il Quirinale, sotto la cui egida operano le cosiddette Authority indipendenti. Quale fosse la delega di Innocenzi, già beccato a chiamare “Grande Capo” il Cainano per cooperare alla caduta del governo Prodi. Quale fosse la mission del Tg1 di Scodinzolini, già rubrichista di Panorama a libro paga del premier. C’era bisogno delle sue telefonate con Berlusconi, dove non si capisce bene dove cominci uno e finisca l’altro, e soprattutto chi prema su chi? Ha ragione il Direttorissimo (come lo chiama Silvio nell’intimità): i suoi celebri editoriali parlano per lui. Serve una sputtanatina alla D’Addario o a Spatuzza? Pronta in tavola. Una pompetta funebre per Craxi? Fatta. Un servizietto contro le intercettazioni? Eccolo servito. Era tutto chiaro, lampante, solare pure senza nastri. Ce n’era abbastanza anche l’altroieri per accompagnare alla porta i garanti che non garantiscono se non il padrone, i giocatori travestiti da arbitri, i giornalisti che raccontano notizie false e occultano quelle vere. Ma, in questo paese di ipocriti e di santommasi che non credono finché non toccano, ecco, ora c’è pure la pistola fumante (l’ennesima, non bastando le telefonate del caso Saccà e quelle del crac Hdc): la prova provata dell’editto bulgaro permanente in cui langue l’Italia da 8 anni. Con l’aggravante che nel 2002 un Banana ancora acerbo diramò l’ukase pubblicamente da Sofia, a favore di telecamera. Ora fa tutto in segreto, lontano (pensa lui) da orecchi indiscreti. E ora lo aiutano pure gli arbitri che dovrebbero impedirglielo. È pure chiaro perché hanno chiuso i programmi di approfondimento: per evitare che qualcuno tiri fuori le notizie vere da sotto il tappeto di Minzolingua. Ed è chiarissimo il perché della legge sulle intercettazioni: questi gentiluomini sono così abituati a violare le leggi che non riescono a fermarsi. Delinquono sempre, di giorno e di notte, al coperto e indoor, in piedi e seduti, soprattutto al telefono. Dopo anni di inchieste basate sulle intercettazioni, potrebbero tentare di evitarle non dico comportandosi bene (sarebbe troppo), ma almeno usando i pizzini alla maniera di Provenzano (che infatti la fece franca per 43 anni). Invece no: continuano a delinquere via cavo e a farsi beccare. È l’ora dell’ottimismo: una retata li seppellirà.
37 porcate ad personam
Venerdì 12 marzo 2010 – Anno 2 – n° 85
37 porcate ad personam
Con il cosiddetto “legittimo impedimento” sale a 37 il numero dei provvedimenti ad personam
varati dal 1994, cioè dall’entrata in politica di Silvio Berlusconi, contando soltanto quelli di cui
si sono giovati personalmente il premier o una delle sue aziende. 1. Decreto Biondi (1994). Approvato il 13 luglio 1994 dal governo Berlusconi I, vieta la custodia cautelare in carcere (trasformata al massimo in arresti domiciliari) per i reati contro la Pubblica amministrazione e quelli finanziari, comprese la corruzione e la concussione, proprio mentre alcuni ufficiali della Guardia di Finanza confessano di essere stati corrotti da quattro società del gruppo Fininvest (Mediolanum, Videotime, Mondadori e Tele+) e sono pronte le richieste di arresto per i manager che hanno pagato le tangenti. Il decreto impedisce cioè di arrestare i responsabili e provoca la scarcerazione immediata di 2764 detenuti, dei quali 350 sono colletti bianchi coinvolti in Tangentopoli (compresi la signora Pierr Poggiolini, l’ex ministro Francesco De Lorenzo e Antonino Cinà, il medico di Totò Riina). Il pool di Milano si autoscioglie. Le proteste di piazza contro il “Salvaladr i” inducono la Lega e An a ritirare il consenso al decreto e a costringere Berlusconi a lasciarlo decadere in Parlamento per manifesta incostituzionalità. Subito dopo vengono arrestati Paolo Berlusconi, il capo dei servizi fiscali della Fininvest Salvatore Sciascia e il consulente del gruppo Massimo Maria Berruti, accusato di aver depistato le indagini subito dopo un colloquio con Berlusconi. 2. Legge Tremonti (1994). Il decreto n.357 approvato dal Berlusconi I il 10 giugno 1994 detassa del 50% gli utili reinvestiti dalle imprese, purchè riguardino l’acquisto di “beni strumentali nuovi”.La neonata società Mediaset (che contiene le tv Fininvest scorporate dal resto del gruppo in vista della quotazione in Borsa) utilizza la legge per risparmiare 243 miliardi di lire di imposte sull’acquisto di diritti cinematografici per film d’annata: che non sono beni strumentali, ma immateriali, e non sono nuovi, ma vecchi. A sanare l’illegalità interviene il 27 ottobre 1994 una circolare “i n t e r p re t a t i va ” Tremonti che fa dire alla legge Tremonti il contrario di ciò che diceva, estendendo il concetto di beni strumentali a quelli immateriali e il concetto di beni nuovi a quelli vecchi già usati all’e s t e ro . 3. Legge Maccanico (1997). In base alla sentenza della Consulta del 7 dicembre 1994, la legge Mammì che consente alla Fininvest di possedere tre reti tv sull’analogico terrestre è incostituzionale: la terza, presumibilmente Rete4, dev’essere spenta ed eventualmente passare sul satellite, entro il 28 agosto 1996. Ma il ministro delle Poste e telecomunicazioni del governo Prodi I, Antonio Maccanico, concede una proroga fino al 31 dicembre 1996 in attesa della legge “di sistema”. A fine anno, nulla di fatto per la riforma e nuova proroga di altri sei mesi. Il 24 luglio 1997, ecco finalmente la legge Maccanico: gli editori di tv, come stabilito dalla Consulta, non potranno detenere più del 20% delle frequenze nazionali disponibili, dunque una rete Mediaset è di troppo. Ma a far rispettare il tetto dovrà provvedere la nuova Authority per le comunicazioni (Agcom), che potrà entrare in azione solo quando esisterà in Italia “un congruo sviluppo dell’utenza dei programmi televisivi via satellite o via c avo ”. Che significhi “congruo sviluppo” nessuno lo sa, così Rete4 potrà seguitare a trasmettere sine die in barba alla Consulta. 4. D’Alema salva-Rete4 (1999). La neonata Agcom si mette all’opera solo nel 1998, presenta il nuovo piano per le frequenze tv e bandisce la gara per rilasciare le 8 concessioni televisive nazionali. Rete4, essendo “eccedente” rispetto alla accanico, perde la concessione; al suo posto la vince Europa7 di Francesco Di Stefano. Ma il governo D’Alema, nel 1999, concede a Rete4 una “abilitazione provvisoria” a seguitare a trasmettere senza concessione, così per dieci anni Europa7 si vedrà negare le frequenze a cui ha diritto per legge.
37 porcate ad personam
Con il cosiddetto “legittimo impedimento” sale a 37 il numero dei provvedimenti ad personam
varati dal 1994, cioè dall’entrata in politica di Silvio Berlusconi, contando soltanto quelli di cui
si sono giovati personalmente il premier o una delle sue aziende. 1. Decreto Biondi (1994). Approvato il 13 luglio 1994 dal governo Berlusconi I, vieta la custodia cautelare in carcere (trasformata al massimo in arresti domiciliari) per i reati contro la Pubblica amministrazione e quelli finanziari, comprese la corruzione e la concussione, proprio mentre alcuni ufficiali della Guardia di Finanza confessano di essere stati corrotti da quattro società del gruppo Fininvest (Mediolanum, Videotime, Mondadori e Tele+) e sono pronte le richieste di arresto per i manager che hanno pagato le tangenti. Il decreto impedisce cioè di arrestare i responsabili e provoca la scarcerazione immediata di 2764 detenuti, dei quali 350 sono colletti bianchi coinvolti in Tangentopoli (compresi la signora Pierr Poggiolini, l’ex ministro Francesco De Lorenzo e Antonino Cinà, il medico di Totò Riina). Il pool di Milano si autoscioglie. Le proteste di piazza contro il “Salvaladr i” inducono la Lega e An a ritirare il consenso al decreto e a costringere Berlusconi a lasciarlo decadere in Parlamento per manifesta incostituzionalità. Subito dopo vengono arrestati Paolo Berlusconi, il capo dei servizi fiscali della Fininvest Salvatore Sciascia e il consulente del gruppo Massimo Maria Berruti, accusato di aver depistato le indagini subito dopo un colloquio con Berlusconi. 2. Legge Tremonti (1994). Il decreto n.357 approvato dal Berlusconi I il 10 giugno 1994 detassa del 50% gli utili reinvestiti dalle imprese, purchè riguardino l’acquisto di “beni strumentali nuovi”.La neonata società Mediaset (che contiene le tv Fininvest scorporate dal resto del gruppo in vista della quotazione in Borsa) utilizza la legge per risparmiare 243 miliardi di lire di imposte sull’acquisto di diritti cinematografici per film d’annata: che non sono beni strumentali, ma immateriali, e non sono nuovi, ma vecchi. A sanare l’illegalità interviene il 27 ottobre 1994 una circolare “i n t e r p re t a t i va ” Tremonti che fa dire alla legge Tremonti il contrario di ciò che diceva, estendendo il concetto di beni strumentali a quelli immateriali e il concetto di beni nuovi a quelli vecchi già usati all’e s t e ro . 3. Legge Maccanico (1997). In base alla sentenza della Consulta del 7 dicembre 1994, la legge Mammì che consente alla Fininvest di possedere tre reti tv sull’analogico terrestre è incostituzionale: la terza, presumibilmente Rete4, dev’essere spenta ed eventualmente passare sul satellite, entro il 28 agosto 1996. Ma il ministro delle Poste e telecomunicazioni del governo Prodi I, Antonio Maccanico, concede una proroga fino al 31 dicembre 1996 in attesa della legge “di sistema”. A fine anno, nulla di fatto per la riforma e nuova proroga di altri sei mesi. Il 24 luglio 1997, ecco finalmente la legge Maccanico: gli editori di tv, come stabilito dalla Consulta, non potranno detenere più del 20% delle frequenze nazionali disponibili, dunque una rete Mediaset è di troppo. Ma a far rispettare il tetto dovrà provvedere la nuova Authority per le comunicazioni (Agcom), che potrà entrare in azione solo quando esisterà in Italia “un congruo sviluppo dell’utenza dei programmi televisivi via satellite o via c avo ”. Che significhi “congruo sviluppo” nessuno lo sa, così Rete4 potrà seguitare a trasmettere sine die in barba alla Consulta. 4. D’Alema salva-Rete4 (1999). La neonata Agcom si mette all’opera solo nel 1998, presenta il nuovo piano per le frequenze tv e bandisce la gara per rilasciare le 8 concessioni televisive nazionali. Rete4, essendo “eccedente” rispetto alla accanico, perde la concessione; al suo posto la vince Europa7 di Francesco Di Stefano. Ma il governo D’Alema, nel 1999, concede a Rete4 una “abilitazione provvisoria” a seguitare a trasmettere senza concessione, così per dieci anni Europa7 si vedrà negare le frequenze a cui ha diritto per legge.
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