GIU' LE MANI DA FELTRI E BELPIETRO


Giovedì 11 marzo 2010 – Anno 2 – n° 59
GIU' LE MANI DA FELTRI E BELPIETRO


Il piccolo Tejero de noantri, l’unico golpista che non ha fatto il militare, comunica che il vaudeville delle liste è colpa dei soliti giudici bolscevichi, annidati addirittura nel Tar del Lazio, ma anche di una new entry: i radicali, la cui geometrica potenza è riuscita a escludere il Pdl con la sola imposizione delle mani (non per nulla candidano il mago Otelma in Liguria). Poi naturalmente c’è la feroce opposizione tutta, compreso financo l’incolpevole Pd, che s’è messa a fare ricorsi contro le liste taroccate “mentre noi avremmo fatto esattamente l’opposto”. Infatti nel 2000, in Molise, il centrodestra denunciò al Tar e al Consiglio di Stato alcune liste alleate di Giovanni Di Stasi, neoeletto governatore del centrosinistra, così si rifecero le elezioni e vinse il centrodestra con Michele Iorio, che è ancora lì. Infatti nel 2005 il centrodestra di Storace tempestò di ricorsi tutti i tribunali per escludere Alessandra Mussolini, a causa di firme false che – scoprirà poi la procura – erano state fabbricate dallo stesso staff storaciano. Infatti due anni fa, alle provinciali in Trentino, Lega e Pdl denunciarono la lista Udc alleata del centrosinistra e la fecero escludere dal voto. Ancor più avvincente l’altra affermazione del Caimano: “Non vi è stata da parte nostra nessuna responsabilità riconducibile a nostri responsabili (sic, ndr) al contrario di quanto che s’è voluto far credere. Sono qui per reagire all’assoluta disinformazione”. Chissà con chi ce l’ave va. Forse con quel quotidiano disinformatore che il 1° marzo titolava in prima: “Un partito di matti”. Sommario: “La mancata presentazione della lista in tempo utile è il grottesco risultato degli equilibrismi per accontentare gli ex Forza Italia e gli ex An che creano un mostro burocratico e inefficiente”. Il 2 marzo il direttore salmodiava: “Quelli di Roma non sono capaci neanche di presentare in tempo utile le liste elettorali e vanno messi sotto osservazione in attesa di passare al trattamento sanitario obbligatorio. E questo è l’unico dato quasi certo. La Polverini si aggira sconvolta per Roma mormorando frasi sconnesse in un linguaggio oscuro di ceppo probabilmente non indoeuropeo. I dirigenti di An, che passano per esperti in materia elettorale, attraversano un momento delicato: sono in preda a crisi esistenziale. Quelli del ramo FI sembrano in gramaglie ma se si trovano tra loro, lontano da occhi e orecchi indiscreti, cominciano a ridere e non la finiscono più”. E il 4 marzo aggiungeva: “I responsabili degli errori sono indifendibili”. Forse il ducetto ce l’ha pure con l’altro foglio disinformatore che il 2 marzo titolava a caratteri cubitali: “Pdl=Polli della Libertà”, occhiello “Kamikaze elettorali”, sommario “A Milano firme irregolari. Nel Lazio azzurri appesi ai giudici. Silvio ripudia i suoi: ‘Magari fosse solo idiozia, la verità è che il partito è in balìa di giochi di potere’”. Sotto, un sapido editoriale del direttore: “Era inevitabile che a forza di prendersi a schiaffi i cofondatori del Pdl si facessero male. Dicono sia colpa dei radicali e forse pure del giudice che non ha chiuso un occhio sul ritardo nella presentazione delle liste. Può essere… Ma il Pdl ci ha messo del suo. Risultato: quella che sembrava una marcia trionfale rischia di essere un corteo funebre. Con la Polverini gli azzurri sono sempre stati tiepidi. Sin dall’inizio ne hanno sparlato. A forza di dispetti e diffidenza, quella che doveva essere una gioiosa macchina da guerra rischia di trasformarsi in un macinino da caffè. Ci permettano di cambiar nome al loro partito: da Popolo della libertà a Polli in libertà. Per non dire pirla”. Il primo quotidiano è Il Giornale di Littorio Feltri, il secondo è L i b e ro , anzi Occupato, di Maurizio Belpietro. Ora si cerca affannosamente di identificare il leader politico che, secondo La Stampa del 2 marzo, ha pronunciato la seguente frase: “Sono una manica di coglioni, dei veri deficienti che non sanno fare bene il loro lavoro perché non sono abituati a lavorare”. Pare si tratti di un tipetto sotto il metro e 60 col capino catramato. Appena lo scova, lo sistema Ignazio La Rissa.

MAMMA, HO PERSO IL FEDERALISMO

Mercoledì 10 marzo 2010 – Anno 2 – n° 58
MAMMA, HO PERSO IL FEDERALISMO

C'è una storiella che spiega perché gli abitanti del Niagara abbiano tutti l’orecchio destro a sventola e la fronte ampia, glabra e levigata: ogni mattina si svegliano, tendono l’orecchio aiutandosi con la mano, si domandano “che cazzo è tutto ‘sto rumore?”, poi si battono una pacca in fronte ed esclamano: “Ah già, le cascate!”. E’ quel che capita ai giureconsulti del Pdl (Partito Dementi Ladri) ogni qual volta una legge ad personam non gli funziona. Fanno quella sulle rogatorie, ma i tribunali la disapplicano perché contraddice mezza dozzina di convenzioni internazionali ratificate dall’Italia, che prevalgono sulle leggi nazionali. A quel punto si alza un giurista per caso, si batte una manata sulla capa e ulula: “Ah già, le convenzioni! ”. Fanno il lodo Schifani per l’impunità alle alte cariche – soprattutto una, la più bassa –ma la Consulta glielo boccia perché contravviene a una decina di articoli della Costituzione. Salta su un legislatore della mutua e, previa manata in fronte, strilla: “Cazzo, m’era sfuggita la Costituzione!”. Siccome sono perspicaci, rifanno il lodo riveduto e corrotto intestandolo al più furbo della compagnia, Angelino Al Nano: la Corte glielo fulmina per un piccolo dettaglio, l’articolo 3 della Costituzione. “Minchia – si dispera Angelino Jolie –m’è scappato l’articolo 3!”. Si spiega così la sua fronte inutilmente spaziosa (Fortebraccio). L’altra notte il Banana pensava di aver fatto le cose perbene. Come il buon padre di famiglia che, partendo per le ferie, controlla di aver chiuso gas, luce, acqua e tapparelle, si era raccomandato con i più geniali collaboratori: il sagace Letta (quello del Pdl), l’acuto Ghedini, il penetrante Gasparri, l’astuto Cicchitto, lo studioso Quagliariello, l’avvenente Capezzone: “Dimenticato niente? Tolti gli errori di ortografia? Compulsata la Costituzione? Chiuso in bagno Alfredo Milioni perché non faccia altri danni?”. Aveva pure convocato Previti, l’uomo dei momenti difficili, che però suggeriva una soluzione più pragmatica, già sperimentata con successo negli anni ‘80: “Portamoje ‘na borzata de sordi ”. Insomma pareva che stavolta non mancasse proprio nulla. E’ andata com’è andata: il Tar del Lazio ha fatto rispettosamente osservare che, con la riforma del titolo V della Costituzione, le elezioni regionali sono regolate da leggi regionali. Dunque il governo centrale (quello di Roma ladrona, perché intendano anche i giureconsulti leghisti) non può impicciarsi. Ecco, il sedicente governo più federalista della storia d’Italia si era scordato un minuscolo particolare: la legge elettorale regionale. Una quisquilia, sfuggita anche a quei geni dei consiglieri di Napolitano. “Che figura”, ha sibilato Fini ritirando il passaporto per la Francia. “Animali, stavolta v’è scappato il federalismo, cribbio!”, pare abbia esclamato il Banana, tentando di strangolare i suoi legislatori con la prima guêpière che ha trovato a Palazzo Grazioli e smanacciandosi la fronte con tale violenza da staccarsi di netto il casco integrale catramato, scombinandosi l’ultimo lifting e trasformandosi in una natura morta cubista. Poi la badante Bonaiuti l’ha sedato: “Non si preoccupi, Cavaliere, l’amico Minzo assicura che a quelli del Tar ci pensa lui, il Tg5 raccoglie informazioni sui calzini delle toghe amministrative e quel cagacazzi di Santoro è chiuso per un mese. La notizia della figura di merda non esce di qui”. Al resto provvedono il Geniale e Libero, anzi Occupato. Il primo, per la penna dell’autorevole costituzionalista Sallusti, denuncia “l’accanimento feroce contro il primo partito del paese” e scopre un fatto inquietante: “Il giudice che escluse il Pdl in ufficio ha la foto del Che” invece di quella di Riina, dunque la lista del Pdl era regolare. Il secondo titola “Vaffa dei giudici al Pdl”, “Schiaffo dei giudici a Napolitano”. Ma è pronta la nuova Grande Riforma: abolire il Tar. E, se non fa il bravo, pure il Consiglio di Stato. Bertolaso suggerisce di affidarne le competenze alla Protezione civile, cioè a suo cognato.

VIOLARE OH OH!


Martedì 9 marzo 2010 – Anno 2 – n° 57

VIOLARE OH OH!

Ai sensi del Dl (anzi Pdl) Napolitano-Berlusconi sulle norme che legalizzano le liste illegali del centrodestra (le altre restano escluse), siamo in grado di anticipare i nuovi “decreti interpretativi ” di prossima approvazione. Decreto salva-tasse. Chi arriva in ritardo per la dichiarazione dei redditi può evitare di pagare la sovrattassa prevista in questi casi esibendo una tessera del Pdl, essendo “insostenibile – informa una nota congiunta di Palazzo Chigi e del Quirinale – l’esclusione degli iscritti al maggior partito politico di gover no”. La stessa procedura sanerà le eventuali dichiarazioni fraudolente, purché il contribuente infedele sia munito di tessera del maggior partito politico di governo, essendo insostenibile che i membri di quest’ultimo possano essere evasori fiscali . Decreto salva-voli. Chi perde l’aereo o il treno causa ritardo, potrà ottenere il rientro immediato dell’aereo già decollato o del treno già ripartito affermando di essere giunto in orario in aeroporto o in stazione, ma di essere stato impedito nei movimenti da un panino comunista o da una pattuglia di radicali. Decreto salva-soste. Chi posteggia l’automobile in divieto di sosta e viene multato dal vigile urbano, può evitare di pagare la contravvenzione dichiarando di essersi assentato per espletare fisiologiche funzioni idrauliche senza mai allontanarsi dalla vettura oltre un raggio di 150 chilometri, a patto – si capisce – che dichiari di votare per il maggior partito politico di governo. Decreto salva-pirati. Su strade e autostrade la precedenza non sarà più di chi proviene da destra, ma del titolare dell’auto più voluminosa. A parità di cilindrata, la nuova norma interpretativa del codice della strada prevede la prevalenza degli iscritti e/o elettori del maggior partito politico di governo purché ne esibiscano il logo sul parabrezza accompagnato dal nuovo articolo 3 della Costituzione: “Io so’ io e voi non siete un cazzo”. Decreto salva-offside. Il calciatore che segna gol in fuorigioco in partite decisive per la qualificazione alla Champions League otterrà la convalida del gol dichiarando all’arbitro di essersi attardato dietro le linee avversarie per farsi una birretta a fondo campo. La regola vale solo per i calciatori del Milan, essendo insostenibile l’esclusione dalle competizioni internazionali della squadra del leader del maggiore partito politico di governo. Decreto salva-film. Chi giunge in ritardo al cinema potrà ottenere il riavvolgimento della pellicola fin dai titoli di testa dichiarando di trovarsi da mezz’ora nelle vicinanze, ma di aver perso tempo a cercare parcheggio, causa automobilisti comunisti. Decreto salva-compiti. Lo studente somaro che sbaglia un intero compito di matematica potrà, in via interpretativa, ottenere il massimo dei voti purché i suoi errori di calcolo non si discostino di oltre 100 unità dal risultato esatto. Decreto salva-rapine. Il rapinatore colto in flagrante dalla polizia mentre, con calzamaglia e mascherina nere, si allontana dalla banca con un sacco pieno di banconote potrà evitare l’arresto e intavolare con gli agenti un dibattito dal titolo “Rapine, che fare?” sull’interpretazione autentica da attribuire al suo gesto: a) simpatica mascherata in occasione del Carnevale; b) prelievo un po’ frettoloso; c) estremo atto di legittima difesa contro gli alti costi bancari; d) altra scusa a piacere. Decreto salva-corna. In caso di mariti sorpresi dalle mogli a letto con procaci signorine, sarà fatto obbligo alle consorti di credere in via interpretativa alla frase di rito “Cara, non è come tu pensi”, a condizione che le ragazze in questione si dichiarino massaggiatrici professioniste del Salaria Sport Village o attiviste dell’associazione “Silvio ci manchi”, oppure comunichino che le manda la Protezione civile. Post scriptum. Il Pd dichiara preventivamente che, se e quando il capo dello Stato firmerà anche questi decreti, non sarà comunque colpa sua, ma del fato.

CARE PIRLA, CARI PIRLA


Domenica 7 marzo 2010 – Anno 2 – n° 56
CARE PIRLA, CARI PIRLA


Care pirla e cari pirla che avete consumato diottrie a studiarvi le norme elettorali fino all’ultimo codicillo in corpo 2, avete consumato scarpe andando in giro a raccogliere firme regolari, vi siete congelati stazionando per ore ai banchetti per convincere i passanti a sottoscrivere le liste, avete rinunciato al tempo libero per inseguire gli autenticatori in capo al mondo e vi siete svegliati alle tre del mattino per presentarvi per tempo agli uffici elettorali, questo discorso a reti unificate è dedicato a voi imbecilli ancora convinti di vivere in uno Stato di diritto, in una democrazia fondata su elezioni regolari, cioè conformi alle leggi vigenti. Spiacente di informarvi, casomai non ve ne foste ancora accorti, che viviamo in un regime fondato sulla legge del più ricco e del più forte, di chi grida e minaccia di più. Una legge che varia a seconda delle esigenze del più prepotente. Se, puta caso, costui viola la legge, non ha sbagliato lui: è sbagliata la legge, che viene cambiata su due piedi. Se poi, puta caso, la Costituzione non lo consente, non è sbagliata la nuova legge: è sbagliata la Costituzione. Che si può cambiare come un calzino s p o rc o . Se penso che da cinquant’anni mi chiamano “il figlio del re” per la mia somiglianza con Umberto II, mi scompiscio. Hanno sbagliato re: io sono l’erede di Vittorio Emanuele III, quello che nel 1922 non mosse un dito contro la marcia su Roma e nel 1943 se ne fuggì a Brindisi. Sempre di notte. Infatti quando ho firmato il decreto salva-Banana? Di notte. Del resto chi sono io per respingere una legge con messaggio motivato alle Camere come previsto dall’articolo 74 della Costituzione? Mica sono il garante della Costituzione. L’ho già detto per lo scudo fiscale: se non firmo, quelli mi rimandano indietro la stessa legge e poi devo firmarla comunque. Tanto vale farlo subito. A chi mi prospetta le dimissioni, rispondo che non conosco questa parola: sono in Parlamento dal 1953, figuriamoci. E in vita mia ho fatto ben di peggio che firmare leggi illegali: ho plaudito all’i nva s i o n e sovietica dell’Ungheria, ho attaccato Berlinguer che evocava la questione morale, ero amico di Craxi, ho scritto pure alla vedova che il marito corrotto era un per seguitato. Conosco l’obiezione: non c’è elezione senza qualche lista esclusa per ritardi o irregolarità. In Molise nel 2000 aveva vinto la sinistra con Giovanni Di Stasi, poi la destra di Michele Iorio fece ricorso contro alcune liste irregolari, Tar e Consiglio di Stato lo accolsero, si rifecero le elezioni e vinse Iorio che ancora governa. E il governo D’Alema non ci pensò neppure di fare un decreto per legalizzare le illegalità: peggio per lui, poi dicono che è intelligente. Del resto al Quirinale c’era ancora Ciampi, mica io. Due anni fa invece c’ero già io, quando alle Provinciali in Trentino venne esclusa, dopo i ricorsi di Lega e Pdl, la lista Udc alleata della sinistra. Nemmeno allora l’Unione pensò di salvare l’alleato con un decreto interpretativo: peggio per loro, pirla. Ecco, care pirla e cari pirla: la prossima volta, anziché prendere sul serio la legge e rischiare l’a s s i d e ra m e n t o per raccogliere le firme e presentarle in tempo utile, fate come me: statevene a casetta vostra davanti al caminetto, con la vestaglia di lana e le babbucce di velluto. Poi fate come i bananieri: all’ultima ora dell’ultimo giorno vi presentate in Corte d’Ap p e l l o con le firme tarocche di Romolo Augustolo, George Clooney, Giovanni Rana e soprattutto Gambadilegno, magari vi fate pure un panino e una pennica per non arrivare proprio in orario, poi minacciate la marcia su Roma, portate in piazza una dozzina di esaltati, mi urlate “buh” sotto le finestre del Quirinale, mi fate sparare dai vostri giornali e io vi firmo la qualsiasi. Anche la lista della spesa, il menu del ristorante, la ricevuta del parrucchiere, lo scontrino dell’intimissimo. Tanto Santoro l’hanno chiuso e per un mese non rompe con le sue notizie: fa tutto Minzolini, che sta dalla parte del Banana, cioè dalla mia. Statemi allegri. Il vostro presidente della Repubblica. Vostro, si fa per dire.

AGAZIO, CHE STRAZIO


Sabato 6 marzo 2010 – Anno 2 – n° 55
AGAZIO, CHE STRAZIO


Assolto con rito abbreviato nel processo Why Not, il governatore calabrese Agazio Loiero denuncia i “due o tre pm che mettono sotto accusa i politici con immaginarie inchieste per prendere il posto”. “Mele marce” come Luigi De Magistris, titolare del fascicolo Why Not fino all’ottobre 2007, quando gli fu avocato dal pg Favi, dopo che il procuratore Lombardi gli aveva levato Poseidone; poi il Csm lo trasferì a Napoli col divieto di fare mai più il pm e lui lasciò la toga. Gli house organ bananieri spacciano la sentenza per “l’ultimo flop di De Magistris” (Il Geniale), “De Magistris ko. Un flop che ha rovinato decine di vite” (L i b e ro , anzi Occupato). Il Pompiere della Sera segue a ruota: “Loiero assolto: Finisce un calvario voluto da De Magistris”. Naturalmente De Magistris non c’entra nulla: Loiero non l’ha indagato lui, ma il pg dopo avergli tolto l’i n ch i e s t a . Che era ancora a metà strada e fu proseguita da altri pm, uno dei quali – Pierpaolo Bruni – denunciò a Salerno gravi pressioni dei capi. Si scoprì addirittura che, per chiedere l’archiviazione di Mastella, i pm non avevano depositato al gip tutti gli atti, ma solo alcuni. Infatti, quando i pm di Salerno chiesero copia integrale del fascicolo, i vertici della magistratura catanzarese negarono per mesi quegli atti, costringendo i colleghi ad andarseli a prendere con la famosa perquisizione. Poi, per tutta risposta, i pm campani furono attaccati dal capo dello Stato e cacciati su due piedi dal Csm. Dunque De Magistris non ha potuto concludere il suo lavoro (se fosse ben fatto o mal fatto non lo sapremo mai, anche se la furia con cui i suoi indagati e i loro altissimi protettori s’affrettarono ad espellerlo a metà dell’opera, parla chiaro). Non ha scritto lui i capi d’imputazione, non ha pronunciato lui la requisitoria. Hanno provveduto i suoi ex colleghi che peraltro, grazie anche al suo lavoro, hanno ottenuto 69 rinvii a giudizio: 28 imputati devono ancora essere processati con rito ordinario; 8 di quelli che hanno scelto l’abbreviato sono stati condannati e 34 prosciolti in primo grado. Dunque l’eventuale “f lop” riguarda i pm che hanno chiesto il processo e il gup che l’ha disposto. Non De Magistris, fuori da Why Not da quasi tre anni. Perché Loiero se la prende con lui, anziché con gli altri magistrati? Forse perché questi sono ancora tutti al loro posto (compreso Favi, indagato a Salerno per corruzione giudiziaria?). Sant’Agazio Vergine e Martire ricorda “la gogna” e “il calvario” che ha dovuto subire, poi aggiunge: “Sapevo di essere innocente, ma è bello sentirselo dire da un magistrato giudicante”. Già, è bellissimo. Ma, a questo proposito, avremmo una domandina per lui: com’è finito il processo a suo carico che si teneva dieci anni fa presso l’VIII sezione del Tribunale di Roma? Loiero era imputato con il suo capo Vincenzo Scotti per abuso d’ufficio in una tranche dello scandalo Sisde: era accusato di aver usato due graziose segretarie del servizio segreto civile, Annamaria Santaniello e Annamaria Ferrante, per farsi protocollare le lettere di raccomandazione che riceveva dai suoi clientes calabresi e per farsi dattilografare le risposte nella campagna elettorale del 1992. Nel 2000, quando ne abbiamo perso le tracce, il processo si trascinava da due anni, anche perché Loiero otteneva rinvii su rinvii per i “legittimi impedimenti” dovuti al ruolo di ministro degli Affari regionali del governo Amato. In aula lo chiamavano familiarmente “il rinviato speciale”. Qualche malpensante insinuò che, alla maniera del Banana, puntasse alla prescrizione, prevista per il settembre del 2000. Ma ci rifiutiamo di pensare che un sant’uomo come lui abbia accettato l’onta di una prescrizione per abuso d’ufficio: l’avrà sicuramente rifiutata per esser assolto nel merito e avrà certamente querelato per calunnia le due segretarie che lo accusavano. Allora come oggi sapeva di essere innocente, “ma è bello sentirselo dire da un magistrato giudicante”. Ci faccia sapere, attendiamo notizie a piè fermo.

FORZA MUSSOLINI


Venerdì 5 marzo 2010 – Anno 2 – n° 54
FORZA MUSSOLINI


Le firme sono macroscopicamente false!”, tuonava il Giovanardi, “procure e uffici preposti escludano le liste presentate in modo irregolare!”. “Le autorità competenti facciano controlli a campione sull’autenticità delle firme!”, strillava il Tajani. “E’ una truffa agli elettori!”, fremeva il Landolfi. Era il marzo 2005, vigilia delle Regionali, e s’era appena scoperto che Alternativa Sociale, la lista di Alessandra Mussolini allora in guerra con la Cdl, aveva presentato centinaia di firme false, per giunta autenticate da uomini del centrosinistra. Tutta la Cdl, temendo l’emorragia di voti verso la transfuga che nel Lazio avrebbe favorito Marrazzo contro Storace, si trasformò in un sinedrio di giureconsulti ultralegalitari che, legge elettorale alla mano, ne invocavano il rispetto fino all’ultimo codicillo. “E’ una partita a carte truccate”, si stracciava le vesti Storace, “qui si gioca sporco, la campagna elettorale va combattuta ad armi pari”. Ciccio Epurator denunciò la Duciona alla magistratura per farla escludere dalle Regionali. E il 12 marzo As fu cancellata dal Tar. La Nipote gridò al golpe e avviò lo sciopero della fame, mentre la Cdl intonava esultante il De Profundis. Storace: “Ha raccolto firme false, è finita”. Martusciello: “Quando ci sono le elezioni bisogna rispettare le regole”. Gasparri: “Diamo un premio ai pochi che han messo la firma vera”. La Russa: “Possono capitare 2,3,10 firme contestabili, ma qui si parla di centinaia! Pecioni! Dicono di aver dietro falangi, poi non mettono insieme 4 firme regolari”. Gasparri nei panni di pm: “E’ un reato associativo, un attentato alla democrazia. Cosa c’è di più antidemocratico che falsare la competizione elettorale con firme false? Il capo dello Stato non ha nulla da dire? ”. Calderoli: “Predicano bene e razzolano male, parlano di moralità e poi ricorrono a mezzucci”. Formigoni (ma sì, lui): “Le regole vanno sempre rispettate. E’ giusto che ci sia un controllo rigoroso degli eventuali abusi e che siano puniti coloro che ne hanno commessi. Gli organi preposti verifichino se le firme sono corrette o false”. Ri-Gasparri: “Non è una vicenda politica, ma giudiziaria. La democrazia è in pericolo, ci sono profili penali. Vanno cancellate le liste con firme false e vanno perseguiti quelli che le han facilitate. Il capo dell’associazione si chiama Prodi ”. Maroni: “Voglio sanzioni ancor più gravi della semplice esclusione delle liste: chi raccoglie firme false fa una truffa elettorale”. Alemanno: “Decidano i giudici. Moltiplichiamo i controlli: sono regole fondamentali per la democrazia”. Capezzone (periodo rosa) stava per chiamare i Caschi blu: “S’i m p o n go n o controlli a tappeto anche con l’ausilio di osservatori internazionali (chiedendo un intervento immediato dell’Ocse), su tutte le liste presentate in tutt’Italia”. Matteoli: “Falsar i”. Bondi: “Comportamento disgustoso e immorale della sinistra che non condanna chi viola le leggi”. La Russa: “Bastava che la Mussolini raccogliesse qualche migliaio di firme in più”. Castelli: “Le firme van raccolte onestamente secondo la legge”. Poi si scoprì che le firme false le aveva infilate qualcuno dello staff Storace con accessi abusivi all’anagrafe della regione. E il Consiglio di Stato riammise As. Apriti cielo: botte da orbi alle toghe rosso-nere. Landolfi: “Sconcer tante”. Bartolini: “I giudici stabiliscono il principio di illegalità, gli elettori puniranno i truffatori”. Cicchitto: “Forzatura gravissima”. La Russa: “Abnor me”. Gasparri: “Pagare gli stipendi ai consiglieri di Stato solo il 31 febbraio”. Giovanardi: “Pagina vergognosa della storia italiana”. Berlusconi: “Sentenza paradossale: riammette una lista con firme false. Per salvaguardare la correttezza democratica del voto, il Consiglio di Stato avrebbe dovuto occuparsi del fatto principale, cioè delle firme false, e non di un cavillo”. Per tutti questi motivi, ieri sera il governo Berlusconi ha riammesso per legge le liste fuorilegge di Polverini e Formigoni.

SCHIFANI, IN ARTE PLATONE


Giovedì 4 marzo 2010 – Anno 2 – n° 53
SCHIFANI, IN ARTE PLATONE


Forse abbiamo capito male, anzi speriamo vivamente di aver capito male, ma pare proprio che le due più alte cariche dello Stato suggeriscano ai giudici di Roma e di Milano di ammettere le liste Polverini e Formigoni presentate in tempi fuorilegge e con firme fuorilegge. Allo sgangherato appello della Polverini al Quirinale perché rimedi al vaudeville del prode Alfredo Milioni, giunto in ritardo a presentare la lista per pausa panino, il capo dello Stato ha risposto così: “La preoccupazione di una piena rappresentanza, nella competizione elettorale regionale in Lazio come dovunque, delle forze politiche che intendono concorrervi, non può che essere compresa e condivisa dal presidente della Repubblica. Ma spetta solo alle competenti sedi giudiziarie la verifica del rispetto delle condizioni e procedure previste dalla legge”. Il consueto monito da Sibilla Cumana, “Ibis… re d i b i s …non…”, che ciascuno può rigirare e tradurre come vuole. Infatti i giornali di centrosinistra hanno enfatizzato la seconda frase e quelli di centrodestra la prima. Ma non si comprende a quale titolo il capo dello Stato esprima “p re o c c u p a z i o n e ” se una o più liste vengono escluse perché non hanno rispettato la legge (che esse stesse hanno scritto): la preoccupazione dovrebbe scattare se qualcuno fosse autorizzato a violare la legge, non in quello contrario. Se, poniamo, fosse stata la lista grillina Cinque Stelle a non raccogliere le firme necessarie (e naturalmente non è stato così), il capo dello Stato si sarebbe scomodato con una pubblica dichiarazione? C’è da dubitarne, visto che a ogni elezione c’è sempre qualcuno che rimane fuori per analoghe irregolarità e, giustamente, il Quirinale tace. Il Pdl ha forse una speciale licenza di violare le leggi? Chi gliel’ha conferita? E perché? Con quale serenità i giudici di varia istanza decideranno sui ricorsi del Pdl, dopo aver appreso che spetta a loro optare per il Sì o per il No, ma se opteranno per il No accresceranno la “p re o c c u p a z i o n e ” del capo dello Stato? Anche il presidente del Senato, con rispetto parlando Schifani, sibilleggia: “Nel rispetto delle regole, mi auguro che venga garantito il diritto di voto a tutti i cittadini, che la sostanza prevalga sulla forma”. Noto pensatore della scuola neoplatonica corleonese, lo Schifani ripropone qui la Diade del Timeo, distinguendo tra materia e forma. Peccato che, applicata alle leggi elettorali, la prima frase (“nel rispetto delle regole ”) contraddica l’ultima (“la sostanza prevalga sulla forma”). E’ comunque spassoso vedere questi azzeccagarbugli che da anni spaccano il capello in quattro, accusano i giudici di “sostanzialismo” e “g iustizialismo”, insegnano che “la forma è sostanza” e, quando un ladrone finisce in galera, chiamano Amnesty International perché nel mandato di cattura manca un timbro o una parola è un po’ sbiadita o c’è una E al posto della O. Ora che sono alla disperazione, invocano la sostanza, soave versione filosofica del celebre verso di Gioacchino Belli: “Io so’ io e voi non siete un cazzo”. Un altro noto onorevole avvocato, per definizione garantista, è il ministro della Difesa, Ignazio La Rissa che, noto gentleman, minaccia apertamente i tribunali: “Non vorrei fare la parte dell’eversivo, ma lo dico chiaro e tondo: non accetteremo mai una sentenza che impedisca ai nostri elettori di votarci alle Regionali. Se ci impediscono di correre siamo pronti a tutto”. Anche, per dire, a una marcetta su Roma. Così, oltre ad addolorare Napolitano e a sconvolgere la filosofia di Schifani, i giudici sanno che, se respingeranno i ricorsi, rischiano di ritrovarsi all’uscio l’esercito in assetto di guerra. Facile prevedere, a questo punto, come andrà a finire: fra una preoccupazione e una minaccia, si troverà il modo di aggirare la legge. Del resto non si può dire che in Italia non ci sia giustizia: soltanto ieri sono stati severamente puniti il calciatore bestemmiatore e il corista gay della Cappella Sistina. E il premier imputato per corruzione ha chiesto ai giudici di rinviare il suo processo per corruzione perché era impegnato in Consiglio dei ministri a varare una legge anti-corruzione. Giustizia è fatta.

UN COLPO AL CERCHIO E L'ALTRO PURE


Mercoledì 3 marzo 2010 – Anno 2 – n° 52
UN COLPO AL CERCHIO E L'ALTRO PURE


Dieci anni fa il Corriere della Sera pubblicava in prima pagina Montanelli, Biagi, Sartori e poi, per bilanciare, Galli della Loggia, Panebianco, Ostellino, Romano e Battista. Era il Corriere cerchiobottista. Ora che Montanelli e Biagi non ci sono più e Sartori è confinato alla settimana dei tre giovedì, il cerchiobottismo è divenuto bottismo: niente colpi al cerchio, solo alla botte. Il Pompiere della Sera. Ma il Banana è ingordo, bulimico, non s’accontenta. Così persino Ernesto Galli della Loggia diventa un pericoloso sovversivo, solo perché ribadisce una sua vecchia analisi, alla luce delle ultime faide e gaglioffate del centrodestra: Forza Italia, o come diavolo si chiama, è un partito di plastica. Anticipato nelle rassegne stampa di tarda sera, l’editoriale scompare dalla prima pagina nel breve tragitto fra la direzione e le rotative. Poi, ieri, la toppa peggiore del buco: “Errore tecnico, il pezzo esce domani”. Chissà, senza le rassegne stampa, che fine avrebbe fatto. Così il regime, dopo il black-out dell’informazione tv, riesce a sbianchettare le ultime pallide critiche da un giornale comunque amico. In attesa che l’irriconoscibile De Bortoli venga rimpiazzato direttamente da Feltri o Rossella (Belpietro sarebbe troppo) e che all’uscio di via Solferino sorga il monumento equestre al Banana, meritano un encomio solenne Pigi Battista, anzi Bottista, e Massimo Franco. Fedeli alla linea fino all’ultimo, impermeabili a quest’arietta di fine impero, sordi agli scricchiolii del regime, seguitano impavidi e imperterriti a suonare le trombette per il Banana, pronti a seguirlo ovunque, anche nell’ultimo bunker. Ieri i due praticanti dello studio Ghedini ce l’avevano entrambi col Tribunale di Milano, reo di aver proseguito il processo Mediaset nonostante il Consiglio dei ministri convocato in contemporanea dal Banana per svignarsela un’altra volta. Secondo Bottista, i giudici “sostengono che presiedere il Cdm non è legittimo impedimento”, e così “autorizzano il premier a scorgere un accanimento” ai suoi danni e “delegittimano il governo agli occhi dell’opinione pubblica”, considerandolo “un optional, un passatempo, una cerimonia vuota, una copertura”, accecati dalle loro “antipatie politiche”. Franco, in stereofonia, oltre a scambiare il Tribunale per la Procura, scrive che i magistrati “contestano gli impegni del governo” e aprono “un conflitto istituzionale pericoloso e scivoloso”. Poi mette sullo stesso piano “due verità inconciliabili”: “il pregiudizio dei magistrati, convinti che il premier si stia sottraendo alla giustizia inventando scuse” (pensa un po’ alle volte cosa vanno a pensare); “e quello di Berlusconi per il quale la Procura lo perseguita per motivi politici dal 1994, costringendolo a difendersi”. A questo punto il lettore dirà: se le due verità sono inconciliabili, una delle due è una bugia e Franco, essendo un giornalista, è pagato apposta per dire la verità. Invece lui le butta lì entrambe, le chiama “scontro fra Palazzo Chigi e Procure ”, dice che non si sa “chi abbia cominciato”. Ma poi, da buon bottista, dà ragione al Banana: se ha spostato il Cdm nel giorno dell’udienza “è possibile che siano sorti problemi tali da cambiare il giorno”. Quali? Franco non li sa, del resto è solo il notista politico del Corriere. Li dà per letti. Se lui e Bottista leggessero almeno il giornale su cui scrivono, scoprirebbero da Ferrarella che il Tribunale non nega che il Cdm sia un legittimo impedimento, anzi afferma che lo è, e pure “assoluto”. Infatti ha chiesto a B. una data libera, cancellando tre udienze; B. ha indicato il 1° marzo; i giudici hanno fissato l’udienza; il 24 febbraio B. ha piazzato un Cdm proprio il 1° marzo senz’alcuna urgenza (sei giorni prima) e senza dimostrarla; dunque, siccome per la Consulta le esigenze di giustizia e di governo sono di pari livello, l’impedimento stavolta non è legittimo. Cioè: Bottista e Franco, come Minzolingua, hanno raccontato balle. Che infatti sono rimaste in pagina. Non si censurano le balle, ma la verità.

QUI NON SI PARLA DI POLITICA


Martedì 2 marzo 2010 – Anno 2 – n° 51
QUI NON SI PARLA DI POLITICA


Molto saggia la decisione del Cda Rai di chiudere i programmi giornalistici nell’ultimo mese di campagna elettorale. Ora si potrebbero rispolverare presso i migliori rigattieri i cartelli che il fascio affiggeva negli uffici pubblici durante il Ventennio: “Qui non si parla di politica, qui si lavora”. L’idea che, con l’aria che tira, gli elettori venissero a sapere chi sono i candidati a occupare le mille poltrone dorate dei consigli regionali era troppo terrificante. Meglio evitare. Il regime è pronto a tutto, persino ad amputarsi il braccio armato, cioè Porta a Porta, pur di impedire che qualche notizia trapeli. Provvederanno per tutti Minzolingua, Mimun e Fede (senza dimenticare Giordano, la vocina del padrone, che inaugura Mediaset News, roba forte). Del resto il quadro generale è talmente putrido che basta una telecamera accesa per guastare il panorama. Si poteva mandare in onda qualche altra serata dedicata al senatore Di Girolamo, affettuosamente ribattezzato “s ch iavo ” e “por tiere” dalle migliori cosche della ‘Ndrangheta? Si poteva raccontare che i candidati favoriti in Lombardia e in Emilia Romagna, Formigoni (Pdl) ed Errani (Pd), sono ineleggibili per legge e infatti è pronta una legge ad hoc per legalizzare l’illegalità? Si poteva riferire di che lacrime e di che sangue grondi la Seconda Repubblica, nata dalle stragi e dalle trattative Stato-mafia, come emerge dai processi Mori e Dell’Utri grazie alle rivelazioni di Ciancimino e di Spatuzza? Si poteva spiegare che razza di lombrosario di pregiudicati, imputati, indagati e prescritti sono le “liste pulite” del Pdl e del Pd? Si poteva illustrare la pantomima della legge anti-corruzione scritta dal più noto corruttore della storia d’Europa? Si poteva seguitare a elencare gli sperperi milionari della Prostituzione & Corruzione Civile Spa? Non si poteva, salvo trasformare i seggi elettorali in assalti all’arma bianca con gli elettori inferociti armati di forconi. Al posto delle notizie avremo la consueta sfilata di quaranta leader di partito che, non potendo più mettere il naso fuori di casa per paura di essere riconosciuti, si barricheranno negli studi televisivi e lì, con le piaghe da decubito, registreranno migliaia di autospot per esortare gli amici elettori: “Votateci perché siamo belli, bravi, onesti e capaci”. Sono gli ultimi rantoli di un regime agonizzante che non trova di meglio che rinserrarsi nel bunker e spegnere quel po’ d’informazione sopravvissuta nella speranza di far dimenticare scandali, ruberie e mafierie levandoli dal video per qualche settimana. Poi c’è la pochade fantozziana dell’eroico Milioni, che arriva tardi all’ultimo chilometro perché si chiude in bagno per cambiare gli ultimi candidati in corsa a causa dell’eterna guerra Banana-Fini, poi va a farsi due spaghi al baretto di fronte e infine cede di schianto sul filo di lana: come Dorando Pietri alle Olimpiadi di Londra 1908. O come il ragionier Fantozzi che incede barcollante e paonazzo verso la macchinetta bollacartoline dell’ufficio sinistri e poi si accascia al suolo proprio nel rush finale fra i vani incitamenti dei colleghi impiegati. Come giustificare in tv la leggina che – si accettano scommesse – legalizzerà la sua illegalità e quella della lista Formigoni, presentata con 514 firme taroccate e dunque esclusa dal tribunale? L’unica soluzione è affidarsi all’apposito Minzolingua: uno che riesce a spacciare le prescrizioni per assoluzioni saprà trovare le parole giuste per denunciare in uno dei suoi editoriali l’ennesimo complotto delle toghe rosse. Del resto, nel paese dell’illegalità legalizzata e della giustizia privatizzata, ci mancherebbe pure che le uniche leggi da rispettare fossero quelle elettorali e che l’unico a pagare per non averle rispettate fosse il povero Milioni. Vista l’enormità degli adempimenti e l’oggettiva urgenza della missione, si potrebbe trasformare la presentazione delle liste in un Grande Evento e affidarla alla Protezione civile. Chiamate Bertolaso, o almeno una massaggiatrice al seguito: quelli, almeno, sono velocissimi.