Un guitto senza guizzo

Domenica 21 marzo 2010 – Anno 2 – n° 93

Un guitto senza guizzo

Gli unici milioni veri, in piazza San Giovanni, sono Alfredo Milioni e i suoi cari, giunti peraltro sul posto con venti minuti di ritardo a causa dei giudici comunisti col ritratto di Che Guevara. Per il resto, la ripresa aerea ha fatto giustizia delle cifre sparate dal ballista di Arcore e dai suoi turiferari: poche decine di migliaia di persone, oltretutto recintate da ogni lato per sembrare di più. Una pena. Lui, poi, una noia mortale. Il Grande Comunicatore pare il vecchio guitto di Alberto Sordi nel finale di “Polvere di stelle”, costretto a mendicare particine in teatri di periferia e a riesumare vecchie gag di repertorio per strappare pallidi sorrisi di circostanza e commiserazione. Nemmeno le menzogne gli riescono più come una volta: ai bei tempi le improvvisava su due piedi, nuove di pacca. Sempre balle erano, ma almeno fresche. Quelle di ieri, lette dal discorso preparato con Gianni Letta (sai che allegria), puzzavano di muffa. Già sentite mille volte. Il modernariato della balla. Il comunismo, le toghe rosse, lo spionaggio, lo Stato di polizia, il regime delle sinistre, ’oppressione fiscale di Prodi, l’Amore che vince sull’odio. Mancava solo l’eroe Mangano. Mai un guizzo, una trovata, uno slogan che funzionasse. Sul palco, quello sì affollatissimo all’inverosimile, età media settant’anni, un grande sferragliare di dentiere, cateteri e cinti erniari, oltre a smodati quantitativi di silicone e botox ben oltre i limiti fissati dall’Unione europea. Tant’è che i pochi candidati sotto i 50 vengono presentati dall’attempato gagà brianzolo come “ra gazzi”. A un certo punto riesuma addirittura il discorso della discesa in campo del ‘94 (“Amer ica’, facce Tarzan!”), omettendo ovviamente le frasi contro la prima Repubblica e in difesa di Mani Pulite: “La vecchia classe politica è stata travolta dai fatti e superata dai tempi. L’autoaffondamento dei vecchi governanti, schiacciati dal peso del debito pubblico e dal sistema del finanziamento illegale dei partiti, lascia il Paese impreparato e incerto nel momento difficile del rinnovamento e del passaggio a una nuova Repubblica”. Parole che stonerebbero accanto ai cori contro Di Pietro, Santoro, toghe rosse e altri bersagli dell’odio del Partito dell’Amore. Poi la gag del Contratto con gli italiani, stavolta recitato dai tredici aspiranti governatori presenti (Zaia, l’unico normale, non c’era ) , per via della mancanza della scrivania di ciliegio e del suo custode Bruno Vespa, rimasto negli studi deserti di Porta a Porta a rodersi il fegato per il black out preelettorale proprio mentre ci lascia Pietrino Vanacore. Le domande della folla “Volete voi…?” sono copiate dal Duce, che almeno le piazze riusciva a riempirle e non pensò mai all’inno “Meno male che Benito c’è”. Poi “i miracoli di Bertolaso”: tre applausi. Il piano casa: due. Il crollo di furti e rapine: sguardi interrogativi. “L’amico Cota che in Piemonte collegherà l’Atlantico al Pacifico”: occhi smarriti. I “400 mafiosi arrestati”, tranne quelli rifugiati in Parlamento e al governo, che si toccano sul palco. L’unico sussulto è quando arriva Bossi. Al Tappone, sempre spiritoso, dice “noi moderati”. Poi l’Umberto pronuncia una frase da leader dell’opposizione, che infatti non è mai venuta in mente a uno del Pd: “Sono uno dei pochi che non ha mai chiesto una lira a Berlusconi”. Gelo sul palco, freddo polare in piazza. Bossi tenta ancora di spiegare il misterioso concetto di “famiglia trasversale”. Che alluda al triangolo Silvio-Veronica-Patrizia? Meglio non approfondire. Lo portano via. La gente comincia a sfollare. L’anziano guitto tenta di trattenerla con la zampata del teleimbonitore (“Ai primi cinque che chiamano per la batteria di pentole, ci mettiamo su tre padelle antiaderenti!”), improvvisata sul momento: “Nei prossimi tre anni vogliamo anche vincere il cancro”. Verrà abolito con un decreto interpretativo: basterà chiamarlo varicella. Perché l’Amore vince sempre, ma ogni tanto pareggia.

Il Pompierino dei Piccoli

Sabato 20 marzo 2010 – Anno 2 – n° 92

Il Pompierino dei Piccoli

Alla lunga, si sa, i regimi peggiorano anche le persone migliori. Aldo Cazzullo è un ottimo giornalista del Corr iere. Due anni fa, quando Uòlter si vantava di non attaccare mai Berlusconi, anzi manco lo nominava, scrisse che era vergognoso sdoganare il conflitto d’interessi. Ma ora che quel conflitto diventa, grazie alle intercettazioni di Trani, il più devastante attentato alla libertà d’informazione nell’Europa del dopoguerra, lui minimizza e fa lo spiritoso. Arriva a sostenere che “la vera notizia da Trani” è che “Berlusconi non se lo fila nessuno” e “la sua struttura di comando è inefficiente”. Forse il Pompierino dei Piccoli non ha mai visto il Tg1 scodinzolino, il Tg5, il Tg2, i tristi cabaret di Studio Aperto, Tg4, Mattino 5 e via strisciando. Forse non ha letto le intercettazioni di Trani. O forse non le ha capite. Infatti scrive che “Innocenzi non combina nulla” e così Masi, Calabrò, la Vigilanza, l’Authority, la Rai, tant’è che A n n o ze ro “è ancora lì”. Strano: a noi risulta chiuso assieme agli altri per l’ultimo mese di campagna elettorale in barba alla legge sulla par condicio. Il Pompierino se n’è accorto, ma crede che la serrata non l’abbia voluta Berlusconi, bensì “un parlamentare dell’opposizione, Beltrami (si chiama Beltrandi, ma fa niente, ndr), appoggiato dalla maggioranza”: tesi curiosa, visto che Beltrandi conta uno, tutte le opposizioni han votato contro e tutta la maggioranza pro. Lo stesso 10 febbraio 2009, presentando il libro di Vespa, Berlusconi rivendicò l’attentato: “Giusto chiudere quei pollai, mi spiace solo per Porta a Porta”. La prima gallina che canta è quella che ha fatto l’uovo. Del resto aveva già cantato tre mesi prima, il 4 novembre 2008, quando commissionò la strategia all’apposito Innocenzi: “Io farei così, io ho parlato col direttore Masi e con tutti i nostri uomini, perché ho fatto uno studio, non c’è nessuna tv europea in cui ci sono questi pollai. Perché dobbiamo avere queste fabbriche di fango e di odio? Ecco, quel che adesso bisogna concertare è che l’azione vostra sia da stimolo alla Rai per dire ‘chiudiamo tutto’. Non solo Santoro: tutte le trasmissioni di questo tipo”. Già allora Innocenzi sapeva che a febbraio sarebbe scattato il black out dei programmi giornalistici con la scusa del voto: “Vado in Procura e denuncio Calabrò per scarsa volontà di procedere (contro A n n o ze ro , ndr), se no la tira in lungo per due mesi e poi non si fa un cazzo… Questo tra due mesi sospende le trasmissioni, ché ci sono le elezioni”. Temeva di “restare col cerino in mano”, ricordava i suoi ”30 anni di rapporto on una persona (il Banana, ndr)” e il suo “piccolo futuro da preservare” alla corte di Arcore. Così si proponeva di ricattare il presidente dell’Agcom, minacciando di raccontare alla stampa o ai giudici come si era “fatto i cazzi suoi” su alcuni affari trattati dall’Agcom pur di strappargli la firma che autorizzasse Masi a chiudere A n n o ze ro . Se poi é Calabrò né Masi hanno firmato, non è perché il Banana non riesca a farsi obbedire, ma perché le istruttorie aperte dall’Agcom si sono protratte fino alla serrata di febbraio; e soprattutto perché A n n o ze ro va in onda per decisione dei giudici, non della Rai, e nessuno dei due voleva firmare una censura illegale che l’avrebbe trascinato in tribunale. Ciò vuol dire che Berlusconi non se lo fila nessuno? Che non è successo niente? Cazzullo faccia uno sforzo e provi a immaginare di essere la firma più letta del Corriere. Chissà come si sentirebbe a lavorare sapendo che l’editore gli tifa contro, non vede l’ora che “faccia la pipì fuori dal vaso” per cacciarlo, sollecita esposti contro di lui, tresca alle sue spalle con politici, amministratori, vigilantes e presunti arbitri. Chissà come reagirebbe se, ogni volta che scrive un pezzo, l’editore gl’inviasse una minaccia di multa fino al 3% del fatturato. Chissà che direbbe se un collega che confonde la penna con l’estintore gli ridesse pure in faccia: “Ma di che ti lamenti? Mica ti hanno cacciato. Su con la vita!”. E chissà quale uso alternativo gli consiglierebbe, per l’estintore.

Pd di Letta e di governo

Venerdì 19 marzo 2010 – Anno 2 – n° 91

Pd di Letta e di governo

Prosegue senza sosta l’autodistruzione di Pdl e Pd. Il Banana si suicida parlando ogni giorno dell’inchiesta di Trani, mentre gli converrebbe parlar d’altro. Il Pd si suicida parlando d’altro mentre gli converrebbe parlare ogni giorno dell’inchiesta di Trani. Non, naturalmente, degli eventuali reati. Ma dei fatti. Delle parole incise nelle intercettazioni del Banana e dei suoi ascari di TeleZimbabwe, che sono la summa del berlusconismo, la ragione sociale di sedici anni di regime. Molti italiani, anche di destra, sono furibondi per il mese di black-out imposto all’informazione tv, ormai appaltata agli Scodinzolini. I nastri di Trani contengono le impronte digitali del mandante. E il Pd che fa? Ritira i suoi rappresentanti dal Cda Rai? Abbandona la cosiddetta Vigilanza? Chiede udienza a Napolitano per rammentargli che le cosiddette Authority operano sotto l’egida del Quirinale e per chiedergli una parola, possibilmente chiara (non il solito oracolo da Sibilla cumana, “ibis… re d i b i s …non… mor ier is… in bello…” che ciascuno può rigirarsi come gli pare), sul tema? Fa saltare questo sistema marcio dove gli arbitri che espellono i giornalisti sembrano lo spogliatoio del Milan o l’harem di Gianpi Tarantini? Spiega agli italiani che, se in tv non si parla mai di disoccupati, di crisi finanziaria, di drammi sociali, di piccoli imprenditori suicidi, di conti pubblici allo sfascio, è perché l’agenda unica della politica è la fotocopia della scaletta unica della tv dettata dal padrone unico d’Italia? Macché. Bersani fa battute sul telefono e il telecomando, poi invita a parlare dei “problemi reali del Paese”, come se non fosse proprio TeleZimbabwe a impedire che se ne parli. D’Alema teme che l’inchiesta aiuti il Banana a “fomentare il voto contro la sinistra” ancor più di quanto non lo fomentino lui e i suoi boys (tipo Frisullo, l’ala sinistra del team Tarantini). Beppe Fioroni, altro genio della cosiddetta opposizione, ritiene che “questi magistrati vogliono proprio far vincere Berlusconi e noi ci mettiamo del nostro difendendo Santoro dodici volte al giorno”. Dunque, se il fico Fioroni ha ragione, i giudici di Bari che ieri hanno arrestato Frisullo l’han fatto per far vincere le elezioni al Pd (quanto alla difesa di Santoro: mai pervenuta). Per questi analfabeti della democrazia liberale, il rispetto delle regole e la difesa dell’indipendenza della magistratura e dell’infor mazione non sono valori in sé, da difendere sempre e comunque, ma delle carte da giocare al tavolo del croupier per far vincere le elezioni a questo o quello. Paola Concia è sdegnata: “Non se ne può più di questa roba perché l’unico che se ne avvantaggia è il presidente del Consiglio”: la “roba” non sono ovviamente le illegalità del premier, ma le indagini che le hanno scoperte. Persino Rosy Bindi annuncia: “Non mi appassiono a questa vicenda giudiziaria”. E Nick Latorre predica “tanta cautela” (lui, così cauto quando telefonava a Ricucci e Consorte). Poi ci sono i vedovi inconsolabili di Gianni Letta (non di Enrico, di Gianni), molto più popolare nel Pd che nel Pdl. Il Riformatorio lacrima copiosamente al capezzale dell’Uomo Inciucio, che Il Fatto e Repubblica osano citare fra i protagonisti delle intercettazioni di Trani raccontando nientemeno che la verità. L’ex socialista Francesco Tempestini, appena imbarcato dai bersaniani, tuona sul Fog l i o non contro le parole del banana, ma contro “l’inchiesta pugliese che appartiene alla patologia della magistratura”; e guai ad “attaccare una figura della mediazione come quella di Gianni Letta”. La Concia concorda: “Attaccare Letta vuol dire cercare un clima da guerra civile”. Ecco: mentre nel Pdl si aprono crepe spaventose fra il Banana e il resto del suo mondo, con Fini sempre più defilato, Tremonti sempre più aciturno, la Lega sempre più arroccata nelle sue valli in vista del sorpasso nel nord-est, i migliori cervelli del Pd si stringono come un sol uomo attorno al Banana. Lo sanno bene che, se sparisce lui, scompaiono anche loro.

Ratti della Loggia

Giovedì 18 marzo 2010 – Anno 2 – n° 90

Ratti della Loggia

Il primo a sganciarsi è sempre Ernesto Galli della Loggia: fu quando lesse una sua critica moraleggiante che Bottino Craxi capì, rassegnato, che era tutto finito e prenotò il primo volo per Hammamet. Ora il noto intellettuale da tartufo, dotato di antenne sensibilissime e fiuto proverbiale, ha sparato a zero sul Pompiere contro il “partito di plastica” che “si sta squagliando”. Vivissima preoccupazione e toccamenti vari a Palazzo Grazioli e dintorni: se si smarca Galli, sono cavoli. E’ una regola implacabile dell’ecosistema, detta anche “effetto farfalla ”, oggetto di una celebre conferenza di Edward Lorenz: “Può il battito d’ali di una farfalla in Brasile provocare un tornado in Texas?”. Analogamente è accertato che un lieve innalzamento del sopracciglio del professor Galli nonché Della Loggia possa provocare effetti devastanti, a catena, nei Palazzi della politica. Un po’ come la fuga del primo ratto dalla nave che comincia a imbarcare acqua. Gli altri seguiranno a stretto giro. Un altro rilevatore degli smottamenti più impercettibili dell’ecosistema politico è la Rai, in particolare il Tg1. Nel 2005, all’ennesima avvisaglia della frana berlusconiana, che aveva portato il Cainano a perdere tutte le elezioni comunali, provinciali, regionali ed europee, persino Francesco Giorgino rilasciò una dura intervista a Libero contro il suo direttorissimo, Clemente J. Mimun. L’efebico mezzobusto fu subito sbalzato fuori dalla conduzione del Tg1, dopodiché se la vide brutta nella notte delle lezioni del 2006, quando la scontata vittoria di Prodi parve all’improvviso molto meno scontata e si sfiorò il pareggio. Durò poco, comunque: due anni dopo, il Banana era di nuovo a Palazzo Chigi e tutti i topi tornarono per tempo nella tana. Ora ci risiamo, a parti rovesciate. Vespa che ronza sul palco con Santoro e Floris contro la chiusura dei programmi. E il sisalvichipuò al Tg1: “La più preoccupata di tutti del clima poco chiaro – scrive La Stampa - è la vicedirettora Susanna Petruni, che ai suoi fedelissimi continua a dire: “Se cambia aria qui mi asfaltano”. E per evitarlo ha iniziato già a prepararsi il posto per il dopo. Cosa di meglio se non la moda, argomento che di solito poco interessa al potere? E poco importa se a farne le spese sarebbe la storica inviata del settore, Paola Cacianti, pregata di non andare a Milano. Chi ha intervistato in prima serata Roberto Cavalli? La Petruni of course”. Ecco, per restare alla moda, ma soprattutto a vento, ti butti sulla moda. Che fa fine e non impegna. Sennò ti asfaltano. Ma non è mica finita: il sismografo di Arcore registra scosse preoccupanti pure dalla redazione del Foglio . S’è mosso Giuliano Ferrara e, quando si muove lui, altro che tornado. Il Platinette Barbuto ha vergato l’altroieri un sapido commentino sull’inchiesta di Trani per dire che sì, certo, il padrone è perseguitato dai giudici, certo le intercettazioni sono una vergogna, certo l’indagine pugliese è piena di anomalie, però bisognerebbe “fare un po’ di attenzione quando si parla al telefono”. Il Molto Intelligente non si spinge fino a suggerire al padrone di smetterla di delinquere, questo no, sarebbe troppo, oltre la più fertile immaginazione. Ma poco ci manca: “Bisognerebbe abituarsi – scrive testualmente – a delinquere un po’ meno attraverso i fili del telefono”. Ecco: o si scelgono altri mezzi meno rischiosi per delinquere indisturbati (tipo i pizzini, o la tradizione orale, o Skype), oppure se proprio si vuole telefonare è il caso di “delinquere un po’ meno”. Come già per il falso in bilancio e la frode fiscale, è consigliabile una “modica quantità” di concussione e di minacce. Umorismo involontario a parte, bisogna prendere atto seriamente che è la prima volta a memoria d’uomo che Ferrara usa il verbo “delinquere ”. Pare che, grazie all’ausilio di alcuni hacker, abbia dovuto craccare il sistema editoriale e il correttore automatico per far accettare quella parola roibita e inedita. E, se Ferrara dice “delinquere ”, per giunta a proposito del padrone, l’ora è davvero grave. Manca soltanto un’apertura a sinistra di Mastella, altro indicatore umano di catastrofi in arrivo. Ma al momento il sismografo di Ceppaloni registra ancora calma piatta. Segno che il Banana è cotto, ma per la degna sepoltura c’è ancora tempo.

Meno male che Silvio c’è

Mercoledì 17 marzo 2010 – Anno 2 – n° 89

Meno male che Silvio c’è

Questo, a riprova dell’assoluta imparzialità del Fatto, è un articolo interamente favorevole a Silvio Berlusconi. Che resta sempre e comunque, soprattutto in questa fase crepuscolare, il miglior oppositore di se stesso. Due giorni fa, a causa della penuria di notizie provenienti da Trani, lo scandalo Tg1-Agcom stava scivolando in basso nelle prime pagine dei giornali. Poi, a riportarlo in testa a caratteri cubitali, ha provveduto lui con gli appositi Al Fano e Ghedini. Angelino Jolie ha spedito gl’ispettori a curiosare nell’inchiesta, dimostrando che preoccupa parecchio il Banana e tutta la banda. Ghedini poi si è superato, sfidando i pm: vediamo se hanno il coraggio di confermare che il Banana è indagato. Quelli, per nulla impensieriti, l’han subito accontentato: sì, è indagato, e non solo per concussione (come rivelato dal Fatto ), ma pure per “minacce a corpo politico, amministrativo o giudiziario”. Ed è indagato anche Minzolingua che l’altro giorno, prendendo per buona la smentita di una donna delle pulizie, definiva “inventata ” la notizia dell’indagine su di lui (lui parlava di “avviso di garanzia ”, di cui nessuno aveva mai parlato, confondendolo con l’iscrizione sul registro degli indagati). E anche lui ha fatto tutto da solo: appena uscito dalla Procura di Trani, dov’era stato sentito come testimone, ha pensato bene di fare una telefonata per spiattellare il contenuto dell’interrogatorio segretato. Uno dirà: avrà chiamato la moglie, la fidanzata, un parente, un amico del cuore, un collega. No, il suo primo pensiero è stato chiamare Bonaiuti perché informasse il Banana. Come dire: i suoi cari. E così il nemico acerrimo delle fughe di notizie ha fatto una bella fuga di notizie, avendo fra l’altro l’accortezza di farla a Trani. Il che ha consentito ai pm di radicare la competenza territoriale, almeno sul suo conto, proprio lì. Un genio. Al resto ha provveduto, con la consueta generosità, il Banana. Per un mese o forse più, ha tempestato di telefonate il direttore della Rai, il presidente dell’Agcom e un membro della medesima, il sottostante Innocenzi, per minacciare un Corpo amministrativo dello Stato e turbarne la normale attività così da fulminare un paio di programmi sgraditi, gli ultimi rimasti. In alcune telefonate ha pure sottolineato, giustamente, che gli agcomici rubano un lauto stipendio senza nemmeno riuscire a portare a termine la loro unica missione: chiudere Annozero . In effetti, pagare 4-5 commissari di notoria dipendenza 400-500 mila euro l’anno ciascuno per chiudere una trasmissione e vedersela in onda ogni giovedì, è un inutile sperpero di denaro pubblico. Il fatto è che quelle telefonate sono espressamente proibite dall’articolo 338 del Codice penale: “Chiunque usa violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario o ad una rappresentanza di esso, o ad una qualsiasi pubblica Autorità costituita in collegio, per impedirne in tutto o in parte, anche temporaneamente o per turbarne comunque l’attività, è punito con la reclusione da 1 a 7 anni”. Parole più appropriate per sintetizzare le telefonate del Banana sarebbe difficile trovarne. Ora, delle due l’una. O il Banana, che è pure laureato in Legge, conosce a memoria ogni più recondita piega del Codice penale e si diverte a violarne tutti gli articoli, anche due o tre alla volta, con la cura maniacale del collezionista (“gli manca solo l’a bigeato”, titolava ieri il Geniale con involontaria ironia). Oppure è l’articolo 338 del Codice penale, scritto dal fascista Alfredo Rocco nel 1930, che è stato modellato su misura del Banana con un’ottantina d’anni di anticipo e una buona dose di chiaroveggenza. Prima o poi, quando depenalizzeranno anche questo reato, qualche Bondi o Capezzone salterà su a denunciare il Codice Rocco, anzi Rosso, con particolare riferimento al 338 scritto apposta per Lui. Un Codice ad orologeria e ad personam. “Continuo a usare il telefonino con la più ampia libertà – dichiarò il Banana il 2 aprile 2008 – ma se escono nuove intercettazioni lascio questo Paese”. Che sia la volta buona?

Ride il telefono

Martedì 16 marzo 2010 – Anno 2 – n° 88

Ride il telefono

C'è un solo genere letterario più avvincente delle intercettazioni: i commenti alle intercettazioni sui giornali berlusconiani e “rifor misti” (cioè berlusconiani non appartenenti a Berlusconi). La linea di quelli berlusconiani doc è nota: dipende da chi è l’intercettato. Se è Berlusconi, le intercettazioni non si devono pubblicare, anzi non si devono proprio fare. Se è qualcuno del centrosinistra, si devono fare e pubblicare anche se coperte da segreto. Infatti, ora che c’è di mezzo il padrone, il Geniale chiede addirittura di “intercettare i magistrati” per “scoprire e punire chi passa notizie ai giornali”. E’ lo stesso Geniale che pubblicò testualmente quelle segrete (neppure trascritte) tra Fassino e Consorte prima delle elezioni del 2006, conservate in cassaforte dalla Procura in attesa di inviarle al gip e di lì alla Camera. E’ lo stesso Geniale che pubblicò le foto di un non indagato a proposito di una vicenda privata (Sircana in auto nei pressi di un trans), estranee al fascicolo processuale. Poi Panora ma pubblicò le telefonate segrete tra il premier Prodi e alcuni personaggi che ne raccomandavano altri. E noi, convinti che il giornalista debba pubblicare tutte le notizie d’interesse pubblico, segrete o non segrete, di provenienza giudiziaria o diversa, scrivemmo che il Geniale e Panora ma ave vano fatto benissimo, anche violando il segreto (per Fassino e Prodi) e la privacy (di Sircana), visto che si trattava di personaggi pubblici e, nel terzo caso, di un tentato ricatto. Ma noi scriviamo per i lettori, non per il padrone . Poi ci sono i giornali berlusconiani del secondo tipo: quelli terzisti e “rifor misti”. Sono tutti lì a spaccare il capello in quattro pur di non parlare dei fatti che disturbano le loro opinioni, anzi le smentiscono. Si domandano dov’è il reato, come se minacciare il presidente dell’Agcom e il dg della Rai perché trovino un pretesto per chiudere Annozero fosse cosa lecita (l’ha spiegato ieri il procuratore Capristo, rispondendo alla richiesta-boomerang del geniale Ghedini, quali sono i reati: vedi agli articoli 317 e 338 del Codice penale). S’interrogano pensosi sulla competenza di Trani, come se la questione si ponesse durante le indagini e non alla fine. Chiedono – per le penne di Macaluso jr. e di Cerchiobattista – di “attendere una sentenza definitiva” per giudicare ciò che è già sotto gli occhi di tutti. Ecco: se vedono un tipo uscire da una banca in mascherina e calzamaglia col sacco pieno, questi aspettano la Cassazione per gridare al ladro. Intendiamoci: la costernazione dei “l i b e ra l i ” del Pompiere della Sera dinanzi alle intercettazioni raccontate dal Fatto è comprensibile. Da anni si affannano a spiegare che: il miglior alleato del Banana è Di Pietro; chi racconta i processi al Banana fa il suo gioco; ogni puntata di Annozero gli regala migliaia di voti; e, naturalmente, la tv non sposta voti. A furia di ripeterlo, sono riusciti a convincerne i leader del Pd e di mezza sinistra, che infatti detestano Di Pietro e Santoro, non parlano dei processi al Banana e il conflitto d’interessi non solo non l’hanno mai risolto, ma manco lo nominano più. Poi purtroppo, a sbugiardarli, provvedono le intercettazioni: dal crac Hdc al caso Saccà allo scandalo Scodinzolini-Agcom, immortalano regolarmente il Banana tutto preso a cancellare Di Pietro dalle tv (Mentana fu cacciato per averlo invitato a Matr ix e Costanzo ha rivelato che il Banana lo chiamava solo quando aveva l’ex pm nel suo Show), a fucilare A n n o ze ro (come già Sciuscià), a bloccare i programmi che parlano dei suoi processi e cioè a dimostrare che la tv i voti li sposta eccome. In fatti la tv è e rimane sua. Mai una volta che lo si senta dire: “Di Pietro e Santoro mi fanno guadagnare voti, dunque li voglio in onda 24 ore su 24 a parlare dei miei processi”. Ecco: Di Pietro e Santoro sono i suoi migliori alleati (diversamente da Casini e D’Alema, vere spine nel fianco), ma il Banana non lo sa: non se n’è mai accorto. Qualcuno, per favore, lo informi. Oppure avverta i pompieri della sera che è ora di cambiare musica.

Notizia, che fare?

Domenica 14 marzo 2010 – Anno 2 – n° 87

Notizia, che fare?

Per certi giornali non c’è nulla di peggio di una notizia vera che irrompe in redazione a tradimento. E’ come un virus senza vaccino. Una droga che alla lunga può creare dipendenza, poi non resta che la comunità di recupero. Prendiamo la notizia rivelata dal Fatto : il premier padrone di Mediaset e i suoi picciotti concordano col commissario Agcom, profumatamente pagato da noi per garantire la libera informazione, come chiudere il programma d’informazione più visto della Rai, mentre il direttore del Tg1 traffica col premier per neutralizzare le notizie scomode, il tutto con la compiacenza dei vertici Rai. Il Tg1 la liquida col titolo: “Polemiche su Premier e informazione”, segue servizio sul boom dei balli sudamericani. Il Banana tenta di coprirla con un allarme bomba, ovviamente falso. Più arduo il lavoro della stampa al seguito. Quella che inventa false indagini su Di Pietro, sul complotto planetario della D’Addario e sulla casa di Santoro, ma di fronte a un’indagine vera va in paranoia. Chiama il Sert, convoca l’assistente sociale e ricorre alle più varie terapie disintossicanti per uscire dal tunnel della notizia. Terapia Sallusti. Lo Zio Tibia del Geniale è proibizionista: “Se il governo avesse avuto il coraggio di varare la legge contro lo scandaloso abuso delle intercettazioni, oggi non racconteremmo questa storia. Invece no, a furia di fermarsi davanti ai magistrati, ai Di Pietro, e ai Santoro, eccoci qua”. Fa tenerezza, il Feltriskin: si ritrova per le mani questo oggetto misterioso, gli spiegano che è una notizia, e lui, colto in contropiede, non sa proprio che fare. Come si comporta un giornalista alle prese con una notizia? Attimi di panico e ipossia, poi l’idea geniale: chiedere al governo di vietare le intercettazioni onde evitare che l’increscioso incidente abbia a ripetersi in futuro. Segue appello al Banana perché la smetta di prendere ordini dai magistrati, da Di Pietro e da Santoro (le 37 leggi ad personam le hanno dettate tutte loro) e faccia finalmente una legge contro i giudici e i giornalisti. Terapia Belpietro. Il simpatico Via col Mento ritiene che il problema non sia il concerto del premier e dei sottostanti direttorissimi e arbitri venduti contro la libertà d’informazione, ma il fatto che un pm l’abbia scoperto: “Qualsiasi ufficio periferico della giustizia è in grado, se vuole, di ascoltare tutto ciò che dice il capo del governo. In nessun Paese normale il capo del governo può essere registrato a sua insaputa da un maresciallo su ordine di un pm”. Secondo lui, all’estero i marescialli, prima d’intercettare il capo del governo, lo avvertono per sapere se abbia nulla in contrario (sono furbi, i marescialli, all’estero). Strano che Belpietro non l’abbia scritto due anni fa, quando pubblicò a puntate su Panora ma le telefonate del premier Prodi intercettate da un ufficio periferico della giustizia, quello di Trento. Forse perché allora Prodi disse “pubblicate tutto, non ho nulla da nascondere, e guai se usate questa vicenda per una legge anti-intercettazioni”. E fu chiaro a tutti ciò che lorsignori fingono di ignorare: se un parlamentare viene intercettato, non è perché sia sotto controllo il suo telefono, ma quello di un poco di buono che parla con lui. Male non fare, paura non avere. Terapia Battista. Il popolare Cerchiobattista potrebbe scusarsi per aver ripetuto che la tv non sposta voti e prendere atto che, se il Banana si dedica da 15 anni a epurare i giornalisti liberi, un motivo ci sarà. Invece distribuisce equamente le colpe. Colpevole il premier epuratore che “scavalca una frontiera di opportunità e di stile” e desta “p re o c c u p a z i o n e ” (gliele ha cantate chiare). Ma olpevole pure il pm che l’ha scoperto: “Non è chiara la competenza di Trani su fatti accaduti fuori dal suo ter ritorio”. Se, puta caso, un pm di Trani indagando su un furto di bestiame a Trani scopre che un pastore sta per ammazzare la moglie a Bisceglie, deve interrompere le intercettazioni e passare subito il fascicolo a Bisceglie. Così, mentre le carte sono in viaggio, il delitto si compie. La competenza è salva, la signora un po’ meno.

Minzo, perché fai così?

Sabato 13 marzo 2010 – Anno 2 – n° 86

Minzo, perché fai così?

Lo sconcerto di Minzolingua di fronte a una notizia, per giunta vera, è comprensibile: per uno abituato a origliare dietro le porte mezze frasi riportate de re l a t o e a mettere tutto in pagina, la pubblicazione di telefonate intercettate che riportano dialoghi realmente accaduti dev’essere davvero sconvolgente. Ma quando avrà ripreso il controllo dei suoi nervi, l’amico Minzo – come lo chiama il padrone – sarà grato al Fatto per lo scoop sull’inchiesta di Trani. Perché, a quel che se ne sa, dimostra che anche lui, persino lui, subiva pressioni dal Banana. Volendo, potrebbe sfoderare l’alibi dei nazisti a Norimberga: “Obbedivo agli ordini”. E gliel’abbiamo fornito noi. Invece niente: anziché ringraziarci, peggiora la sua posizione spiegando che lui non ha bisogno di pressioni. Premere su di lui è fatica sprecata: lui si preme da sé. Uno non fa in tempo a dargli un ordine che lui l’ha già eseguito. Obbedisce ancor prima di ricevere la telefonata. Nega addirittura di sapere qualcosa dell’inchiesta, mentre l’hanno interrogato tre mesi fa. Ma allora dillo, benedetto ragazzo, che vuoi farti del male. Ma è proprio questa la costante dei gerarchetti che stanno saltando per aria l’uno dopo l’altro in questo crepuscolo di regime: la tendenza all’autodistruzione. Un suicidio collettivo. Stan facendo tutto da soli. Infatti Bersani si astiene: “Non so nulla e non dico nulla”. Te pareva. E l’impavido Calabrò giura: “Mai fatto censure pre ventive”. Solo successive. Manca soltanto che Angelino Jolie mandi gli ispettori a Trani, per completare il presepe. Un presepe che non necessita di intercettazioni, per chi non ha proprio gli occhi foderati di prosciutto, anzi di gelatina. Cosa fosse l’Agcom (salvo un paio di commissari), cioè un plotone di esecuzione dei partiti contro A n n o ze ro e quel po’ che resta di libera tv, l’avevano capito tutti tranne il Quirinale, sotto la cui egida operano le cosiddette Authority indipendenti. Quale fosse la delega di Innocenzi, già beccato a chiamare “Grande Capo” il Cainano per cooperare alla caduta del governo Prodi. Quale fosse la mission del Tg1 di Scodinzolini, già rubrichista di Panorama a libro paga del premier. C’era bisogno delle sue telefonate con Berlusconi, dove non si capisce bene dove cominci uno e finisca l’altro, e soprattutto chi prema su chi? Ha ragione il Direttorissimo (come lo chiama Silvio nell’intimità): i suoi celebri editoriali parlano per lui. Serve una sputtanatina alla D’Addario o a Spatuzza? Pronta in tavola. Una pompetta funebre per Craxi? Fatta. Un servizietto contro le intercettazioni? Eccolo servito. Era tutto chiaro, lampante, solare pure senza nastri. Ce n’era abbastanza anche l’altroieri per accompagnare alla porta i garanti che non garantiscono se non il padrone, i giocatori travestiti da arbitri, i giornalisti che raccontano notizie false e occultano quelle vere. Ma, in questo paese di ipocriti e di santommasi che non credono finché non toccano, ecco, ora c’è pure la pistola fumante (l’ennesima, non bastando le telefonate del caso Saccà e quelle del crac Hdc): la prova provata dell’editto bulgaro permanente in cui langue l’Italia da 8 anni. Con l’aggravante che nel 2002 un Banana ancora acerbo diramò l’ukase pubblicamente da Sofia, a favore di telecamera. Ora fa tutto in segreto, lontano (pensa lui) da orecchi indiscreti. E ora lo aiutano pure gli arbitri che dovrebbero impedirglielo. È pure chiaro perché hanno chiuso i programmi di approfondimento: per evitare che qualcuno tiri fuori le notizie vere da sotto il tappeto di Minzolingua. Ed è chiarissimo il perché della legge sulle intercettazioni: questi gentiluomini sono così abituati a violare le leggi che non riescono a fermarsi. Delinquono sempre, di giorno e di notte, al coperto e indoor, in piedi e seduti, soprattutto al telefono. Dopo anni di inchieste basate sulle intercettazioni, potrebbero tentare di evitarle non dico comportandosi bene (sarebbe troppo), ma almeno usando i pizzini alla maniera di Provenzano (che infatti la fece franca per 43 anni). Invece no: continuano a delinquere via cavo e a farsi beccare. È l’ora dell’ottimismo: una retata li seppellirà.

37 porcate ad personam

Venerdì 12 marzo 2010 – Anno 2 – n° 85

37 porcate ad personam

Con il cosiddetto “legittimo impedimento” sale a 37 il numero dei provvedimenti ad personam
varati dal 1994, cioè dall’entrata in politica di Silvio Berlusconi, contando soltanto quelli di cui
si sono giovati personalmente il premier o una delle sue aziende. 1. Decreto Biondi (1994). Approvato il 13 luglio 1994 dal governo Berlusconi I, vieta la custodia cautelare in carcere (trasformata al massimo in arresti domiciliari) per i reati contro la Pubblica amministrazione e quelli finanziari, comprese la corruzione e la concussione, proprio mentre alcuni ufficiali della Guardia di Finanza confessano di essere stati corrotti da quattro società del gruppo Fininvest (Mediolanum, Videotime, Mondadori e Tele+) e sono pronte le richieste di arresto per i manager che hanno pagato le tangenti. Il decreto impedisce cioè di arrestare i responsabili e provoca la scarcerazione immediata di 2764 detenuti, dei quali 350 sono colletti bianchi coinvolti in Tangentopoli (compresi la signora Pierr Poggiolini, l’ex ministro Francesco De Lorenzo e Antonino Cinà, il medico di Totò Riina). Il pool di Milano si autoscioglie. Le proteste di piazza contro il “Salvaladr i” inducono la Lega e An a ritirare il consenso al decreto e a costringere Berlusconi a lasciarlo decadere in Parlamento per manifesta incostituzionalità. Subito dopo vengono arrestati Paolo Berlusconi, il capo dei servizi fiscali della Fininvest Salvatore Sciascia e il consulente del gruppo Massimo Maria Berruti, accusato di aver depistato le indagini subito dopo un colloquio con Berlusconi. 2. Legge Tremonti (1994). Il decreto n.357 approvato dal Berlusconi I il 10 giugno 1994 detassa del 50% gli utili reinvestiti dalle imprese, purchè riguardino l’acquisto di “beni strumentali nuovi”.La neonata società Mediaset (che contiene le tv Fininvest scorporate dal resto del gruppo in vista della quotazione in Borsa) utilizza la legge per risparmiare 243 miliardi di lire di imposte sull’acquisto di diritti cinematografici per film d’annata: che non sono beni strumentali, ma immateriali, e non sono nuovi, ma vecchi. A sanare l’illegalità interviene il 27 ottobre 1994 una circolare “i n t e r p re t a t i va ” Tremonti che fa dire alla legge Tremonti il contrario di ciò che diceva, estendendo il concetto di beni strumentali a quelli immateriali e il concetto di beni nuovi a quelli vecchi già usati all’e s t e ro . 3. Legge Maccanico (1997). In base alla sentenza della Consulta del 7 dicembre 1994, la legge Mammì che consente alla Fininvest di possedere tre reti tv sull’analogico terrestre è incostituzionale: la terza, presumibilmente Rete4, dev’essere spenta ed eventualmente passare sul satellite, entro il 28 agosto 1996. Ma il ministro delle Poste e telecomunicazioni del governo Prodi I, Antonio Maccanico, concede una proroga fino al 31 dicembre 1996 in attesa della legge “di sistema”. A fine anno, nulla di fatto per la riforma e nuova proroga di altri sei mesi. Il 24 luglio 1997, ecco finalmente la legge Maccanico: gli editori di tv, come stabilito dalla Consulta, non potranno detenere più del 20% delle frequenze nazionali disponibili, dunque una rete Mediaset è di troppo. Ma a far rispettare il tetto dovrà provvedere la nuova Authority per le comunicazioni (Agcom), che potrà entrare in azione solo quando esisterà in Italia “un congruo sviluppo dell’utenza dei programmi televisivi via satellite o via c avo ”. Che significhi “congruo sviluppo” nessuno lo sa, così Rete4 potrà seguitare a trasmettere sine die in barba alla Consulta. 4. D’Alema salva-Rete4 (1999). La neonata Agcom si mette all’opera solo nel 1998, presenta il nuovo piano per le frequenze tv e bandisce la gara per rilasciare le 8 concessioni televisive nazionali. Rete4, essendo “eccedente” rispetto alla accanico, perde la concessione; al suo posto la vince Europa7 di Francesco Di Stefano. Ma il governo D’Alema, nel 1999, concede a Rete4 una “abilitazione provvisoria” a seguitare a trasmettere senza concessione, così per dieci anni Europa7 si vedrà negare le frequenze a cui ha diritto per legge.

GIU' LE MANI DA FELTRI E BELPIETRO


Giovedì 11 marzo 2010 – Anno 2 – n° 59
GIU' LE MANI DA FELTRI E BELPIETRO


Il piccolo Tejero de noantri, l’unico golpista che non ha fatto il militare, comunica che il vaudeville delle liste è colpa dei soliti giudici bolscevichi, annidati addirittura nel Tar del Lazio, ma anche di una new entry: i radicali, la cui geometrica potenza è riuscita a escludere il Pdl con la sola imposizione delle mani (non per nulla candidano il mago Otelma in Liguria). Poi naturalmente c’è la feroce opposizione tutta, compreso financo l’incolpevole Pd, che s’è messa a fare ricorsi contro le liste taroccate “mentre noi avremmo fatto esattamente l’opposto”. Infatti nel 2000, in Molise, il centrodestra denunciò al Tar e al Consiglio di Stato alcune liste alleate di Giovanni Di Stasi, neoeletto governatore del centrosinistra, così si rifecero le elezioni e vinse il centrodestra con Michele Iorio, che è ancora lì. Infatti nel 2005 il centrodestra di Storace tempestò di ricorsi tutti i tribunali per escludere Alessandra Mussolini, a causa di firme false che – scoprirà poi la procura – erano state fabbricate dallo stesso staff storaciano. Infatti due anni fa, alle provinciali in Trentino, Lega e Pdl denunciarono la lista Udc alleata del centrosinistra e la fecero escludere dal voto. Ancor più avvincente l’altra affermazione del Caimano: “Non vi è stata da parte nostra nessuna responsabilità riconducibile a nostri responsabili (sic, ndr) al contrario di quanto che s’è voluto far credere. Sono qui per reagire all’assoluta disinformazione”. Chissà con chi ce l’ave va. Forse con quel quotidiano disinformatore che il 1° marzo titolava in prima: “Un partito di matti”. Sommario: “La mancata presentazione della lista in tempo utile è il grottesco risultato degli equilibrismi per accontentare gli ex Forza Italia e gli ex An che creano un mostro burocratico e inefficiente”. Il 2 marzo il direttore salmodiava: “Quelli di Roma non sono capaci neanche di presentare in tempo utile le liste elettorali e vanno messi sotto osservazione in attesa di passare al trattamento sanitario obbligatorio. E questo è l’unico dato quasi certo. La Polverini si aggira sconvolta per Roma mormorando frasi sconnesse in un linguaggio oscuro di ceppo probabilmente non indoeuropeo. I dirigenti di An, che passano per esperti in materia elettorale, attraversano un momento delicato: sono in preda a crisi esistenziale. Quelli del ramo FI sembrano in gramaglie ma se si trovano tra loro, lontano da occhi e orecchi indiscreti, cominciano a ridere e non la finiscono più”. E il 4 marzo aggiungeva: “I responsabili degli errori sono indifendibili”. Forse il ducetto ce l’ha pure con l’altro foglio disinformatore che il 2 marzo titolava a caratteri cubitali: “Pdl=Polli della Libertà”, occhiello “Kamikaze elettorali”, sommario “A Milano firme irregolari. Nel Lazio azzurri appesi ai giudici. Silvio ripudia i suoi: ‘Magari fosse solo idiozia, la verità è che il partito è in balìa di giochi di potere’”. Sotto, un sapido editoriale del direttore: “Era inevitabile che a forza di prendersi a schiaffi i cofondatori del Pdl si facessero male. Dicono sia colpa dei radicali e forse pure del giudice che non ha chiuso un occhio sul ritardo nella presentazione delle liste. Può essere… Ma il Pdl ci ha messo del suo. Risultato: quella che sembrava una marcia trionfale rischia di essere un corteo funebre. Con la Polverini gli azzurri sono sempre stati tiepidi. Sin dall’inizio ne hanno sparlato. A forza di dispetti e diffidenza, quella che doveva essere una gioiosa macchina da guerra rischia di trasformarsi in un macinino da caffè. Ci permettano di cambiar nome al loro partito: da Popolo della libertà a Polli in libertà. Per non dire pirla”. Il primo quotidiano è Il Giornale di Littorio Feltri, il secondo è L i b e ro , anzi Occupato, di Maurizio Belpietro. Ora si cerca affannosamente di identificare il leader politico che, secondo La Stampa del 2 marzo, ha pronunciato la seguente frase: “Sono una manica di coglioni, dei veri deficienti che non sanno fare bene il loro lavoro perché non sono abituati a lavorare”. Pare si tratti di un tipetto sotto il metro e 60 col capino catramato. Appena lo scova, lo sistema Ignazio La Rissa.

MAMMA, HO PERSO IL FEDERALISMO

Mercoledì 10 marzo 2010 – Anno 2 – n° 58
MAMMA, HO PERSO IL FEDERALISMO

C'è una storiella che spiega perché gli abitanti del Niagara abbiano tutti l’orecchio destro a sventola e la fronte ampia, glabra e levigata: ogni mattina si svegliano, tendono l’orecchio aiutandosi con la mano, si domandano “che cazzo è tutto ‘sto rumore?”, poi si battono una pacca in fronte ed esclamano: “Ah già, le cascate!”. E’ quel che capita ai giureconsulti del Pdl (Partito Dementi Ladri) ogni qual volta una legge ad personam non gli funziona. Fanno quella sulle rogatorie, ma i tribunali la disapplicano perché contraddice mezza dozzina di convenzioni internazionali ratificate dall’Italia, che prevalgono sulle leggi nazionali. A quel punto si alza un giurista per caso, si batte una manata sulla capa e ulula: “Ah già, le convenzioni! ”. Fanno il lodo Schifani per l’impunità alle alte cariche – soprattutto una, la più bassa –ma la Consulta glielo boccia perché contravviene a una decina di articoli della Costituzione. Salta su un legislatore della mutua e, previa manata in fronte, strilla: “Cazzo, m’era sfuggita la Costituzione!”. Siccome sono perspicaci, rifanno il lodo riveduto e corrotto intestandolo al più furbo della compagnia, Angelino Al Nano: la Corte glielo fulmina per un piccolo dettaglio, l’articolo 3 della Costituzione. “Minchia – si dispera Angelino Jolie –m’è scappato l’articolo 3!”. Si spiega così la sua fronte inutilmente spaziosa (Fortebraccio). L’altra notte il Banana pensava di aver fatto le cose perbene. Come il buon padre di famiglia che, partendo per le ferie, controlla di aver chiuso gas, luce, acqua e tapparelle, si era raccomandato con i più geniali collaboratori: il sagace Letta (quello del Pdl), l’acuto Ghedini, il penetrante Gasparri, l’astuto Cicchitto, lo studioso Quagliariello, l’avvenente Capezzone: “Dimenticato niente? Tolti gli errori di ortografia? Compulsata la Costituzione? Chiuso in bagno Alfredo Milioni perché non faccia altri danni?”. Aveva pure convocato Previti, l’uomo dei momenti difficili, che però suggeriva una soluzione più pragmatica, già sperimentata con successo negli anni ‘80: “Portamoje ‘na borzata de sordi ”. Insomma pareva che stavolta non mancasse proprio nulla. E’ andata com’è andata: il Tar del Lazio ha fatto rispettosamente osservare che, con la riforma del titolo V della Costituzione, le elezioni regionali sono regolate da leggi regionali. Dunque il governo centrale (quello di Roma ladrona, perché intendano anche i giureconsulti leghisti) non può impicciarsi. Ecco, il sedicente governo più federalista della storia d’Italia si era scordato un minuscolo particolare: la legge elettorale regionale. Una quisquilia, sfuggita anche a quei geni dei consiglieri di Napolitano. “Che figura”, ha sibilato Fini ritirando il passaporto per la Francia. “Animali, stavolta v’è scappato il federalismo, cribbio!”, pare abbia esclamato il Banana, tentando di strangolare i suoi legislatori con la prima guêpière che ha trovato a Palazzo Grazioli e smanacciandosi la fronte con tale violenza da staccarsi di netto il casco integrale catramato, scombinandosi l’ultimo lifting e trasformandosi in una natura morta cubista. Poi la badante Bonaiuti l’ha sedato: “Non si preoccupi, Cavaliere, l’amico Minzo assicura che a quelli del Tar ci pensa lui, il Tg5 raccoglie informazioni sui calzini delle toghe amministrative e quel cagacazzi di Santoro è chiuso per un mese. La notizia della figura di merda non esce di qui”. Al resto provvedono il Geniale e Libero, anzi Occupato. Il primo, per la penna dell’autorevole costituzionalista Sallusti, denuncia “l’accanimento feroce contro il primo partito del paese” e scopre un fatto inquietante: “Il giudice che escluse il Pdl in ufficio ha la foto del Che” invece di quella di Riina, dunque la lista del Pdl era regolare. Il secondo titola “Vaffa dei giudici al Pdl”, “Schiaffo dei giudici a Napolitano”. Ma è pronta la nuova Grande Riforma: abolire il Tar. E, se non fa il bravo, pure il Consiglio di Stato. Bertolaso suggerisce di affidarne le competenze alla Protezione civile, cioè a suo cognato.

VIOLARE OH OH!


Martedì 9 marzo 2010 – Anno 2 – n° 57

VIOLARE OH OH!

Ai sensi del Dl (anzi Pdl) Napolitano-Berlusconi sulle norme che legalizzano le liste illegali del centrodestra (le altre restano escluse), siamo in grado di anticipare i nuovi “decreti interpretativi ” di prossima approvazione. Decreto salva-tasse. Chi arriva in ritardo per la dichiarazione dei redditi può evitare di pagare la sovrattassa prevista in questi casi esibendo una tessera del Pdl, essendo “insostenibile – informa una nota congiunta di Palazzo Chigi e del Quirinale – l’esclusione degli iscritti al maggior partito politico di gover no”. La stessa procedura sanerà le eventuali dichiarazioni fraudolente, purché il contribuente infedele sia munito di tessera del maggior partito politico di governo, essendo insostenibile che i membri di quest’ultimo possano essere evasori fiscali . Decreto salva-voli. Chi perde l’aereo o il treno causa ritardo, potrà ottenere il rientro immediato dell’aereo già decollato o del treno già ripartito affermando di essere giunto in orario in aeroporto o in stazione, ma di essere stato impedito nei movimenti da un panino comunista o da una pattuglia di radicali. Decreto salva-soste. Chi posteggia l’automobile in divieto di sosta e viene multato dal vigile urbano, può evitare di pagare la contravvenzione dichiarando di essersi assentato per espletare fisiologiche funzioni idrauliche senza mai allontanarsi dalla vettura oltre un raggio di 150 chilometri, a patto – si capisce – che dichiari di votare per il maggior partito politico di governo. Decreto salva-pirati. Su strade e autostrade la precedenza non sarà più di chi proviene da destra, ma del titolare dell’auto più voluminosa. A parità di cilindrata, la nuova norma interpretativa del codice della strada prevede la prevalenza degli iscritti e/o elettori del maggior partito politico di governo purché ne esibiscano il logo sul parabrezza accompagnato dal nuovo articolo 3 della Costituzione: “Io so’ io e voi non siete un cazzo”. Decreto salva-offside. Il calciatore che segna gol in fuorigioco in partite decisive per la qualificazione alla Champions League otterrà la convalida del gol dichiarando all’arbitro di essersi attardato dietro le linee avversarie per farsi una birretta a fondo campo. La regola vale solo per i calciatori del Milan, essendo insostenibile l’esclusione dalle competizioni internazionali della squadra del leader del maggiore partito politico di governo. Decreto salva-film. Chi giunge in ritardo al cinema potrà ottenere il riavvolgimento della pellicola fin dai titoli di testa dichiarando di trovarsi da mezz’ora nelle vicinanze, ma di aver perso tempo a cercare parcheggio, causa automobilisti comunisti. Decreto salva-compiti. Lo studente somaro che sbaglia un intero compito di matematica potrà, in via interpretativa, ottenere il massimo dei voti purché i suoi errori di calcolo non si discostino di oltre 100 unità dal risultato esatto. Decreto salva-rapine. Il rapinatore colto in flagrante dalla polizia mentre, con calzamaglia e mascherina nere, si allontana dalla banca con un sacco pieno di banconote potrà evitare l’arresto e intavolare con gli agenti un dibattito dal titolo “Rapine, che fare?” sull’interpretazione autentica da attribuire al suo gesto: a) simpatica mascherata in occasione del Carnevale; b) prelievo un po’ frettoloso; c) estremo atto di legittima difesa contro gli alti costi bancari; d) altra scusa a piacere. Decreto salva-corna. In caso di mariti sorpresi dalle mogli a letto con procaci signorine, sarà fatto obbligo alle consorti di credere in via interpretativa alla frase di rito “Cara, non è come tu pensi”, a condizione che le ragazze in questione si dichiarino massaggiatrici professioniste del Salaria Sport Village o attiviste dell’associazione “Silvio ci manchi”, oppure comunichino che le manda la Protezione civile. Post scriptum. Il Pd dichiara preventivamente che, se e quando il capo dello Stato firmerà anche questi decreti, non sarà comunque colpa sua, ma del fato.

CARE PIRLA, CARI PIRLA


Domenica 7 marzo 2010 – Anno 2 – n° 56
CARE PIRLA, CARI PIRLA


Care pirla e cari pirla che avete consumato diottrie a studiarvi le norme elettorali fino all’ultimo codicillo in corpo 2, avete consumato scarpe andando in giro a raccogliere firme regolari, vi siete congelati stazionando per ore ai banchetti per convincere i passanti a sottoscrivere le liste, avete rinunciato al tempo libero per inseguire gli autenticatori in capo al mondo e vi siete svegliati alle tre del mattino per presentarvi per tempo agli uffici elettorali, questo discorso a reti unificate è dedicato a voi imbecilli ancora convinti di vivere in uno Stato di diritto, in una democrazia fondata su elezioni regolari, cioè conformi alle leggi vigenti. Spiacente di informarvi, casomai non ve ne foste ancora accorti, che viviamo in un regime fondato sulla legge del più ricco e del più forte, di chi grida e minaccia di più. Una legge che varia a seconda delle esigenze del più prepotente. Se, puta caso, costui viola la legge, non ha sbagliato lui: è sbagliata la legge, che viene cambiata su due piedi. Se poi, puta caso, la Costituzione non lo consente, non è sbagliata la nuova legge: è sbagliata la Costituzione. Che si può cambiare come un calzino s p o rc o . Se penso che da cinquant’anni mi chiamano “il figlio del re” per la mia somiglianza con Umberto II, mi scompiscio. Hanno sbagliato re: io sono l’erede di Vittorio Emanuele III, quello che nel 1922 non mosse un dito contro la marcia su Roma e nel 1943 se ne fuggì a Brindisi. Sempre di notte. Infatti quando ho firmato il decreto salva-Banana? Di notte. Del resto chi sono io per respingere una legge con messaggio motivato alle Camere come previsto dall’articolo 74 della Costituzione? Mica sono il garante della Costituzione. L’ho già detto per lo scudo fiscale: se non firmo, quelli mi rimandano indietro la stessa legge e poi devo firmarla comunque. Tanto vale farlo subito. A chi mi prospetta le dimissioni, rispondo che non conosco questa parola: sono in Parlamento dal 1953, figuriamoci. E in vita mia ho fatto ben di peggio che firmare leggi illegali: ho plaudito all’i nva s i o n e sovietica dell’Ungheria, ho attaccato Berlinguer che evocava la questione morale, ero amico di Craxi, ho scritto pure alla vedova che il marito corrotto era un per seguitato. Conosco l’obiezione: non c’è elezione senza qualche lista esclusa per ritardi o irregolarità. In Molise nel 2000 aveva vinto la sinistra con Giovanni Di Stasi, poi la destra di Michele Iorio fece ricorso contro alcune liste irregolari, Tar e Consiglio di Stato lo accolsero, si rifecero le elezioni e vinse Iorio che ancora governa. E il governo D’Alema non ci pensò neppure di fare un decreto per legalizzare le illegalità: peggio per lui, poi dicono che è intelligente. Del resto al Quirinale c’era ancora Ciampi, mica io. Due anni fa invece c’ero già io, quando alle Provinciali in Trentino venne esclusa, dopo i ricorsi di Lega e Pdl, la lista Udc alleata della sinistra. Nemmeno allora l’Unione pensò di salvare l’alleato con un decreto interpretativo: peggio per loro, pirla. Ecco, care pirla e cari pirla: la prossima volta, anziché prendere sul serio la legge e rischiare l’a s s i d e ra m e n t o per raccogliere le firme e presentarle in tempo utile, fate come me: statevene a casetta vostra davanti al caminetto, con la vestaglia di lana e le babbucce di velluto. Poi fate come i bananieri: all’ultima ora dell’ultimo giorno vi presentate in Corte d’Ap p e l l o con le firme tarocche di Romolo Augustolo, George Clooney, Giovanni Rana e soprattutto Gambadilegno, magari vi fate pure un panino e una pennica per non arrivare proprio in orario, poi minacciate la marcia su Roma, portate in piazza una dozzina di esaltati, mi urlate “buh” sotto le finestre del Quirinale, mi fate sparare dai vostri giornali e io vi firmo la qualsiasi. Anche la lista della spesa, il menu del ristorante, la ricevuta del parrucchiere, lo scontrino dell’intimissimo. Tanto Santoro l’hanno chiuso e per un mese non rompe con le sue notizie: fa tutto Minzolini, che sta dalla parte del Banana, cioè dalla mia. Statemi allegri. Il vostro presidente della Repubblica. Vostro, si fa per dire.

AGAZIO, CHE STRAZIO


Sabato 6 marzo 2010 – Anno 2 – n° 55
AGAZIO, CHE STRAZIO


Assolto con rito abbreviato nel processo Why Not, il governatore calabrese Agazio Loiero denuncia i “due o tre pm che mettono sotto accusa i politici con immaginarie inchieste per prendere il posto”. “Mele marce” come Luigi De Magistris, titolare del fascicolo Why Not fino all’ottobre 2007, quando gli fu avocato dal pg Favi, dopo che il procuratore Lombardi gli aveva levato Poseidone; poi il Csm lo trasferì a Napoli col divieto di fare mai più il pm e lui lasciò la toga. Gli house organ bananieri spacciano la sentenza per “l’ultimo flop di De Magistris” (Il Geniale), “De Magistris ko. Un flop che ha rovinato decine di vite” (L i b e ro , anzi Occupato). Il Pompiere della Sera segue a ruota: “Loiero assolto: Finisce un calvario voluto da De Magistris”. Naturalmente De Magistris non c’entra nulla: Loiero non l’ha indagato lui, ma il pg dopo avergli tolto l’i n ch i e s t a . Che era ancora a metà strada e fu proseguita da altri pm, uno dei quali – Pierpaolo Bruni – denunciò a Salerno gravi pressioni dei capi. Si scoprì addirittura che, per chiedere l’archiviazione di Mastella, i pm non avevano depositato al gip tutti gli atti, ma solo alcuni. Infatti, quando i pm di Salerno chiesero copia integrale del fascicolo, i vertici della magistratura catanzarese negarono per mesi quegli atti, costringendo i colleghi ad andarseli a prendere con la famosa perquisizione. Poi, per tutta risposta, i pm campani furono attaccati dal capo dello Stato e cacciati su due piedi dal Csm. Dunque De Magistris non ha potuto concludere il suo lavoro (se fosse ben fatto o mal fatto non lo sapremo mai, anche se la furia con cui i suoi indagati e i loro altissimi protettori s’affrettarono ad espellerlo a metà dell’opera, parla chiaro). Non ha scritto lui i capi d’imputazione, non ha pronunciato lui la requisitoria. Hanno provveduto i suoi ex colleghi che peraltro, grazie anche al suo lavoro, hanno ottenuto 69 rinvii a giudizio: 28 imputati devono ancora essere processati con rito ordinario; 8 di quelli che hanno scelto l’abbreviato sono stati condannati e 34 prosciolti in primo grado. Dunque l’eventuale “f lop” riguarda i pm che hanno chiesto il processo e il gup che l’ha disposto. Non De Magistris, fuori da Why Not da quasi tre anni. Perché Loiero se la prende con lui, anziché con gli altri magistrati? Forse perché questi sono ancora tutti al loro posto (compreso Favi, indagato a Salerno per corruzione giudiziaria?). Sant’Agazio Vergine e Martire ricorda “la gogna” e “il calvario” che ha dovuto subire, poi aggiunge: “Sapevo di essere innocente, ma è bello sentirselo dire da un magistrato giudicante”. Già, è bellissimo. Ma, a questo proposito, avremmo una domandina per lui: com’è finito il processo a suo carico che si teneva dieci anni fa presso l’VIII sezione del Tribunale di Roma? Loiero era imputato con il suo capo Vincenzo Scotti per abuso d’ufficio in una tranche dello scandalo Sisde: era accusato di aver usato due graziose segretarie del servizio segreto civile, Annamaria Santaniello e Annamaria Ferrante, per farsi protocollare le lettere di raccomandazione che riceveva dai suoi clientes calabresi e per farsi dattilografare le risposte nella campagna elettorale del 1992. Nel 2000, quando ne abbiamo perso le tracce, il processo si trascinava da due anni, anche perché Loiero otteneva rinvii su rinvii per i “legittimi impedimenti” dovuti al ruolo di ministro degli Affari regionali del governo Amato. In aula lo chiamavano familiarmente “il rinviato speciale”. Qualche malpensante insinuò che, alla maniera del Banana, puntasse alla prescrizione, prevista per il settembre del 2000. Ma ci rifiutiamo di pensare che un sant’uomo come lui abbia accettato l’onta di una prescrizione per abuso d’ufficio: l’avrà sicuramente rifiutata per esser assolto nel merito e avrà certamente querelato per calunnia le due segretarie che lo accusavano. Allora come oggi sapeva di essere innocente, “ma è bello sentirselo dire da un magistrato giudicante”. Ci faccia sapere, attendiamo notizie a piè fermo.

FORZA MUSSOLINI


Venerdì 5 marzo 2010 – Anno 2 – n° 54
FORZA MUSSOLINI


Le firme sono macroscopicamente false!”, tuonava il Giovanardi, “procure e uffici preposti escludano le liste presentate in modo irregolare!”. “Le autorità competenti facciano controlli a campione sull’autenticità delle firme!”, strillava il Tajani. “E’ una truffa agli elettori!”, fremeva il Landolfi. Era il marzo 2005, vigilia delle Regionali, e s’era appena scoperto che Alternativa Sociale, la lista di Alessandra Mussolini allora in guerra con la Cdl, aveva presentato centinaia di firme false, per giunta autenticate da uomini del centrosinistra. Tutta la Cdl, temendo l’emorragia di voti verso la transfuga che nel Lazio avrebbe favorito Marrazzo contro Storace, si trasformò in un sinedrio di giureconsulti ultralegalitari che, legge elettorale alla mano, ne invocavano il rispetto fino all’ultimo codicillo. “E’ una partita a carte truccate”, si stracciava le vesti Storace, “qui si gioca sporco, la campagna elettorale va combattuta ad armi pari”. Ciccio Epurator denunciò la Duciona alla magistratura per farla escludere dalle Regionali. E il 12 marzo As fu cancellata dal Tar. La Nipote gridò al golpe e avviò lo sciopero della fame, mentre la Cdl intonava esultante il De Profundis. Storace: “Ha raccolto firme false, è finita”. Martusciello: “Quando ci sono le elezioni bisogna rispettare le regole”. Gasparri: “Diamo un premio ai pochi che han messo la firma vera”. La Russa: “Possono capitare 2,3,10 firme contestabili, ma qui si parla di centinaia! Pecioni! Dicono di aver dietro falangi, poi non mettono insieme 4 firme regolari”. Gasparri nei panni di pm: “E’ un reato associativo, un attentato alla democrazia. Cosa c’è di più antidemocratico che falsare la competizione elettorale con firme false? Il capo dello Stato non ha nulla da dire? ”. Calderoli: “Predicano bene e razzolano male, parlano di moralità e poi ricorrono a mezzucci”. Formigoni (ma sì, lui): “Le regole vanno sempre rispettate. E’ giusto che ci sia un controllo rigoroso degli eventuali abusi e che siano puniti coloro che ne hanno commessi. Gli organi preposti verifichino se le firme sono corrette o false”. Ri-Gasparri: “Non è una vicenda politica, ma giudiziaria. La democrazia è in pericolo, ci sono profili penali. Vanno cancellate le liste con firme false e vanno perseguiti quelli che le han facilitate. Il capo dell’associazione si chiama Prodi ”. Maroni: “Voglio sanzioni ancor più gravi della semplice esclusione delle liste: chi raccoglie firme false fa una truffa elettorale”. Alemanno: “Decidano i giudici. Moltiplichiamo i controlli: sono regole fondamentali per la democrazia”. Capezzone (periodo rosa) stava per chiamare i Caschi blu: “S’i m p o n go n o controlli a tappeto anche con l’ausilio di osservatori internazionali (chiedendo un intervento immediato dell’Ocse), su tutte le liste presentate in tutt’Italia”. Matteoli: “Falsar i”. Bondi: “Comportamento disgustoso e immorale della sinistra che non condanna chi viola le leggi”. La Russa: “Bastava che la Mussolini raccogliesse qualche migliaio di firme in più”. Castelli: “Le firme van raccolte onestamente secondo la legge”. Poi si scoprì che le firme false le aveva infilate qualcuno dello staff Storace con accessi abusivi all’anagrafe della regione. E il Consiglio di Stato riammise As. Apriti cielo: botte da orbi alle toghe rosso-nere. Landolfi: “Sconcer tante”. Bartolini: “I giudici stabiliscono il principio di illegalità, gli elettori puniranno i truffatori”. Cicchitto: “Forzatura gravissima”. La Russa: “Abnor me”. Gasparri: “Pagare gli stipendi ai consiglieri di Stato solo il 31 febbraio”. Giovanardi: “Pagina vergognosa della storia italiana”. Berlusconi: “Sentenza paradossale: riammette una lista con firme false. Per salvaguardare la correttezza democratica del voto, il Consiglio di Stato avrebbe dovuto occuparsi del fatto principale, cioè delle firme false, e non di un cavillo”. Per tutti questi motivi, ieri sera il governo Berlusconi ha riammesso per legge le liste fuorilegge di Polverini e Formigoni.

SCHIFANI, IN ARTE PLATONE


Giovedì 4 marzo 2010 – Anno 2 – n° 53
SCHIFANI, IN ARTE PLATONE


Forse abbiamo capito male, anzi speriamo vivamente di aver capito male, ma pare proprio che le due più alte cariche dello Stato suggeriscano ai giudici di Roma e di Milano di ammettere le liste Polverini e Formigoni presentate in tempi fuorilegge e con firme fuorilegge. Allo sgangherato appello della Polverini al Quirinale perché rimedi al vaudeville del prode Alfredo Milioni, giunto in ritardo a presentare la lista per pausa panino, il capo dello Stato ha risposto così: “La preoccupazione di una piena rappresentanza, nella competizione elettorale regionale in Lazio come dovunque, delle forze politiche che intendono concorrervi, non può che essere compresa e condivisa dal presidente della Repubblica. Ma spetta solo alle competenti sedi giudiziarie la verifica del rispetto delle condizioni e procedure previste dalla legge”. Il consueto monito da Sibilla Cumana, “Ibis… re d i b i s …non…”, che ciascuno può rigirare e tradurre come vuole. Infatti i giornali di centrosinistra hanno enfatizzato la seconda frase e quelli di centrodestra la prima. Ma non si comprende a quale titolo il capo dello Stato esprima “p re o c c u p a z i o n e ” se una o più liste vengono escluse perché non hanno rispettato la legge (che esse stesse hanno scritto): la preoccupazione dovrebbe scattare se qualcuno fosse autorizzato a violare la legge, non in quello contrario. Se, poniamo, fosse stata la lista grillina Cinque Stelle a non raccogliere le firme necessarie (e naturalmente non è stato così), il capo dello Stato si sarebbe scomodato con una pubblica dichiarazione? C’è da dubitarne, visto che a ogni elezione c’è sempre qualcuno che rimane fuori per analoghe irregolarità e, giustamente, il Quirinale tace. Il Pdl ha forse una speciale licenza di violare le leggi? Chi gliel’ha conferita? E perché? Con quale serenità i giudici di varia istanza decideranno sui ricorsi del Pdl, dopo aver appreso che spetta a loro optare per il Sì o per il No, ma se opteranno per il No accresceranno la “p re o c c u p a z i o n e ” del capo dello Stato? Anche il presidente del Senato, con rispetto parlando Schifani, sibilleggia: “Nel rispetto delle regole, mi auguro che venga garantito il diritto di voto a tutti i cittadini, che la sostanza prevalga sulla forma”. Noto pensatore della scuola neoplatonica corleonese, lo Schifani ripropone qui la Diade del Timeo, distinguendo tra materia e forma. Peccato che, applicata alle leggi elettorali, la prima frase (“nel rispetto delle regole ”) contraddica l’ultima (“la sostanza prevalga sulla forma”). E’ comunque spassoso vedere questi azzeccagarbugli che da anni spaccano il capello in quattro, accusano i giudici di “sostanzialismo” e “g iustizialismo”, insegnano che “la forma è sostanza” e, quando un ladrone finisce in galera, chiamano Amnesty International perché nel mandato di cattura manca un timbro o una parola è un po’ sbiadita o c’è una E al posto della O. Ora che sono alla disperazione, invocano la sostanza, soave versione filosofica del celebre verso di Gioacchino Belli: “Io so’ io e voi non siete un cazzo”. Un altro noto onorevole avvocato, per definizione garantista, è il ministro della Difesa, Ignazio La Rissa che, noto gentleman, minaccia apertamente i tribunali: “Non vorrei fare la parte dell’eversivo, ma lo dico chiaro e tondo: non accetteremo mai una sentenza che impedisca ai nostri elettori di votarci alle Regionali. Se ci impediscono di correre siamo pronti a tutto”. Anche, per dire, a una marcetta su Roma. Così, oltre ad addolorare Napolitano e a sconvolgere la filosofia di Schifani, i giudici sanno che, se respingeranno i ricorsi, rischiano di ritrovarsi all’uscio l’esercito in assetto di guerra. Facile prevedere, a questo punto, come andrà a finire: fra una preoccupazione e una minaccia, si troverà il modo di aggirare la legge. Del resto non si può dire che in Italia non ci sia giustizia: soltanto ieri sono stati severamente puniti il calciatore bestemmiatore e il corista gay della Cappella Sistina. E il premier imputato per corruzione ha chiesto ai giudici di rinviare il suo processo per corruzione perché era impegnato in Consiglio dei ministri a varare una legge anti-corruzione. Giustizia è fatta.

UN COLPO AL CERCHIO E L'ALTRO PURE


Mercoledì 3 marzo 2010 – Anno 2 – n° 52
UN COLPO AL CERCHIO E L'ALTRO PURE


Dieci anni fa il Corriere della Sera pubblicava in prima pagina Montanelli, Biagi, Sartori e poi, per bilanciare, Galli della Loggia, Panebianco, Ostellino, Romano e Battista. Era il Corriere cerchiobottista. Ora che Montanelli e Biagi non ci sono più e Sartori è confinato alla settimana dei tre giovedì, il cerchiobottismo è divenuto bottismo: niente colpi al cerchio, solo alla botte. Il Pompiere della Sera. Ma il Banana è ingordo, bulimico, non s’accontenta. Così persino Ernesto Galli della Loggia diventa un pericoloso sovversivo, solo perché ribadisce una sua vecchia analisi, alla luce delle ultime faide e gaglioffate del centrodestra: Forza Italia, o come diavolo si chiama, è un partito di plastica. Anticipato nelle rassegne stampa di tarda sera, l’editoriale scompare dalla prima pagina nel breve tragitto fra la direzione e le rotative. Poi, ieri, la toppa peggiore del buco: “Errore tecnico, il pezzo esce domani”. Chissà, senza le rassegne stampa, che fine avrebbe fatto. Così il regime, dopo il black-out dell’informazione tv, riesce a sbianchettare le ultime pallide critiche da un giornale comunque amico. In attesa che l’irriconoscibile De Bortoli venga rimpiazzato direttamente da Feltri o Rossella (Belpietro sarebbe troppo) e che all’uscio di via Solferino sorga il monumento equestre al Banana, meritano un encomio solenne Pigi Battista, anzi Bottista, e Massimo Franco. Fedeli alla linea fino all’ultimo, impermeabili a quest’arietta di fine impero, sordi agli scricchiolii del regime, seguitano impavidi e imperterriti a suonare le trombette per il Banana, pronti a seguirlo ovunque, anche nell’ultimo bunker. Ieri i due praticanti dello studio Ghedini ce l’avevano entrambi col Tribunale di Milano, reo di aver proseguito il processo Mediaset nonostante il Consiglio dei ministri convocato in contemporanea dal Banana per svignarsela un’altra volta. Secondo Bottista, i giudici “sostengono che presiedere il Cdm non è legittimo impedimento”, e così “autorizzano il premier a scorgere un accanimento” ai suoi danni e “delegittimano il governo agli occhi dell’opinione pubblica”, considerandolo “un optional, un passatempo, una cerimonia vuota, una copertura”, accecati dalle loro “antipatie politiche”. Franco, in stereofonia, oltre a scambiare il Tribunale per la Procura, scrive che i magistrati “contestano gli impegni del governo” e aprono “un conflitto istituzionale pericoloso e scivoloso”. Poi mette sullo stesso piano “due verità inconciliabili”: “il pregiudizio dei magistrati, convinti che il premier si stia sottraendo alla giustizia inventando scuse” (pensa un po’ alle volte cosa vanno a pensare); “e quello di Berlusconi per il quale la Procura lo perseguita per motivi politici dal 1994, costringendolo a difendersi”. A questo punto il lettore dirà: se le due verità sono inconciliabili, una delle due è una bugia e Franco, essendo un giornalista, è pagato apposta per dire la verità. Invece lui le butta lì entrambe, le chiama “scontro fra Palazzo Chigi e Procure ”, dice che non si sa “chi abbia cominciato”. Ma poi, da buon bottista, dà ragione al Banana: se ha spostato il Cdm nel giorno dell’udienza “è possibile che siano sorti problemi tali da cambiare il giorno”. Quali? Franco non li sa, del resto è solo il notista politico del Corriere. Li dà per letti. Se lui e Bottista leggessero almeno il giornale su cui scrivono, scoprirebbero da Ferrarella che il Tribunale non nega che il Cdm sia un legittimo impedimento, anzi afferma che lo è, e pure “assoluto”. Infatti ha chiesto a B. una data libera, cancellando tre udienze; B. ha indicato il 1° marzo; i giudici hanno fissato l’udienza; il 24 febbraio B. ha piazzato un Cdm proprio il 1° marzo senz’alcuna urgenza (sei giorni prima) e senza dimostrarla; dunque, siccome per la Consulta le esigenze di giustizia e di governo sono di pari livello, l’impedimento stavolta non è legittimo. Cioè: Bottista e Franco, come Minzolingua, hanno raccontato balle. Che infatti sono rimaste in pagina. Non si censurano le balle, ma la verità.

QUI NON SI PARLA DI POLITICA


Martedì 2 marzo 2010 – Anno 2 – n° 51
QUI NON SI PARLA DI POLITICA


Molto saggia la decisione del Cda Rai di chiudere i programmi giornalistici nell’ultimo mese di campagna elettorale. Ora si potrebbero rispolverare presso i migliori rigattieri i cartelli che il fascio affiggeva negli uffici pubblici durante il Ventennio: “Qui non si parla di politica, qui si lavora”. L’idea che, con l’aria che tira, gli elettori venissero a sapere chi sono i candidati a occupare le mille poltrone dorate dei consigli regionali era troppo terrificante. Meglio evitare. Il regime è pronto a tutto, persino ad amputarsi il braccio armato, cioè Porta a Porta, pur di impedire che qualche notizia trapeli. Provvederanno per tutti Minzolingua, Mimun e Fede (senza dimenticare Giordano, la vocina del padrone, che inaugura Mediaset News, roba forte). Del resto il quadro generale è talmente putrido che basta una telecamera accesa per guastare il panorama. Si poteva mandare in onda qualche altra serata dedicata al senatore Di Girolamo, affettuosamente ribattezzato “s ch iavo ” e “por tiere” dalle migliori cosche della ‘Ndrangheta? Si poteva raccontare che i candidati favoriti in Lombardia e in Emilia Romagna, Formigoni (Pdl) ed Errani (Pd), sono ineleggibili per legge e infatti è pronta una legge ad hoc per legalizzare l’illegalità? Si poteva riferire di che lacrime e di che sangue grondi la Seconda Repubblica, nata dalle stragi e dalle trattative Stato-mafia, come emerge dai processi Mori e Dell’Utri grazie alle rivelazioni di Ciancimino e di Spatuzza? Si poteva spiegare che razza di lombrosario di pregiudicati, imputati, indagati e prescritti sono le “liste pulite” del Pdl e del Pd? Si poteva illustrare la pantomima della legge anti-corruzione scritta dal più noto corruttore della storia d’Europa? Si poteva seguitare a elencare gli sperperi milionari della Prostituzione & Corruzione Civile Spa? Non si poteva, salvo trasformare i seggi elettorali in assalti all’arma bianca con gli elettori inferociti armati di forconi. Al posto delle notizie avremo la consueta sfilata di quaranta leader di partito che, non potendo più mettere il naso fuori di casa per paura di essere riconosciuti, si barricheranno negli studi televisivi e lì, con le piaghe da decubito, registreranno migliaia di autospot per esortare gli amici elettori: “Votateci perché siamo belli, bravi, onesti e capaci”. Sono gli ultimi rantoli di un regime agonizzante che non trova di meglio che rinserrarsi nel bunker e spegnere quel po’ d’informazione sopravvissuta nella speranza di far dimenticare scandali, ruberie e mafierie levandoli dal video per qualche settimana. Poi c’è la pochade fantozziana dell’eroico Milioni, che arriva tardi all’ultimo chilometro perché si chiude in bagno per cambiare gli ultimi candidati in corsa a causa dell’eterna guerra Banana-Fini, poi va a farsi due spaghi al baretto di fronte e infine cede di schianto sul filo di lana: come Dorando Pietri alle Olimpiadi di Londra 1908. O come il ragionier Fantozzi che incede barcollante e paonazzo verso la macchinetta bollacartoline dell’ufficio sinistri e poi si accascia al suolo proprio nel rush finale fra i vani incitamenti dei colleghi impiegati. Come giustificare in tv la leggina che – si accettano scommesse – legalizzerà la sua illegalità e quella della lista Formigoni, presentata con 514 firme taroccate e dunque esclusa dal tribunale? L’unica soluzione è affidarsi all’apposito Minzolingua: uno che riesce a spacciare le prescrizioni per assoluzioni saprà trovare le parole giuste per denunciare in uno dei suoi editoriali l’ennesimo complotto delle toghe rosse. Del resto, nel paese dell’illegalità legalizzata e della giustizia privatizzata, ci mancherebbe pure che le uniche leggi da rispettare fossero quelle elettorali e che l’unico a pagare per non averle rispettate fosse il povero Milioni. Vista l’enormità degli adempimenti e l’oggettiva urgenza della missione, si potrebbe trasformare la presentazione delle liste in un Grande Evento e affidarla alla Protezione civile. Chiamate Bertolaso, o almeno una massaggiatrice al seguito: quelli, almeno, sono velocissimi.

C'E' MAFIA E MAFIA


Domenica 28 febbraio 2010 – Anno 2 – n° 50
C'E' MAFIA E MAFIA


Solidarizzare col senatore Di Girolamo sarebbe eccessivo. Ma condividere il suo stupore per lo sdegno generale che lo circonda, anche tra gli alleati e i presunti oppositori del Pd che due anni fa l’avevano salvato dall’arresto (unici contrari gli Idv) e ora lo vogliono cacciare, questo sì, si può fare. Non si comprende la differenza fra il suo caso, che ha portato persino Berlusconi a scaricarlo, e quelli di Dell’Utri e Cuffaro. Anzi l’unica differenza è a suo favore: Dell’Utri è stato condannato in primo grado per mafia, Cuffaro in appello per favoreggiamento alla mafia, Di Girolamo non ancora. Ha “solo” un mandato di cattura per rapporti con la ‘ndrangheta. Come Cosentino, che però starebbe con la camorra e dunque resta sottosegretario. Si dirà: Di Girolamo è stato fotografato con un boss e le cosche votavano per lui. Ma vale pure per Cuffaro, che fu filmato con due medici mafiosi: Vincenzo Greco, condannato per aver curato il killer di don Puglisi, e Salvatore Aragona, condannato per aver fornito un alibi falso al boss Enzo Brusca. Entrambi legatissimi al boss Giuseppe Guttadauro, che Cuffaro fece avvertire delle microspie a casa sua. Per Dell’Utri c’è solo l’i m b a ra z z o della scelta. Dal 1974 e il ‘76 infila un mafioso, Vittorio Mangano, in casa di Berlusconi: assunzione suggellata – scrive il Tribunale di Palermo – da un incontro a Milano fra il Cavaliere, Dell’Utri e i boss Bontate, Teresi e Di Carlo. Nel 1976 partecipa – l’ammette lui stesso – al compleanno del boss catanese Antonino Calderone, insieme ai mafiosi Mangano, Nino e Gaetano Grado. Nel ’77 va a lavorare per Filippo Rapisarda, legato a mafiosi come Vito Ciancimino e il clan Cuntrera-Caruana. Nel 1980 partecipa – l’ammette lui stesso – a Londra alle nozze di Jimmy Fauci - pregiudicato siciliano legato ai Caruana, addetto al traffico di droga fra Italia, Gran Bretagna e Canada - con i mafiosi Di Carlo, Teresi e Cinà. Nel 1992 il boss di Trapani, Vincenzo Virga, minaccia l’imprenditore Garraffa per perorare la causa di un presunto credito in nero reclamato da Dell’Utri (Virga e Dell’Utri si salveranno grazie alla prescrizione del reato di minacce gravi). Intanto Dell’Utri ottiene un provino al Milan per Gaetano D’Agostino, figlio di un complice dei Graviano. Nel 1993, mentre lavora al progetto Forza Italia, Dell’utri s’interessa al movimento mafioso “Sicilia L i b e ra ”: i suoi contatti con uno dei fondatori, il principe Napoleone Orsini, risultano da agende e tabulati. In novembre ancora le sue agende rivelano due incontri a Milano, nella sede di Publitalia, con Mangano, appena uscito da 11 anni di galera per mafia e traffico di droga. Nel 1998 la Dia fotografa Natale Sartori (socio della figlia di Mangano in alcune cooperative di pulizie) mentre rende visita al neodeputato Dell’Utri. Pochi mesi dopo la Dia filma un incontro a Rimini fra Dell’Utri e un falso pentito, Pino Chiofalo, che organizza un complotto contro i pentiti veri. Nel ‘99 Dell’Utri si candida al Parlamento europeo: un fedelissimo di Provenzano intercettato in un’autoscuola raccomanda ai picciotti di votare per lui: “Dobbiamo portare e aiutare Dell’Utri, sennò lo fottono. Se sale alle Europee non lo tocca più nessuno…‘sti sbirri non gli danno pace”. Nel 2001, vigilia delle politiche, il boss Guttadauro parla con Aragona: “Con Dell’Utri bisogna parlare, alle elezioni ’99 ha preso impegni (col boss Capizzi, ndr) e poi non s’è fatto più vedere”. Aragona: “Io sono stato invitato al Circolo, sede culturale di Dell’Utri in una biblioteca famosa”. Nel 2003 Vito Palazzolo, boss latitante in Sudafrica, contatta Dell’Utri tramite intermediari (tra cui la moglie) perché prema sul governo Berlusconi per sistemare i suoi guai giudiziari. Di Girolamo, al confronto, è un principiante. Ma ha un grave torto: “L’ha portato An”, dice il Banana, dunque l’inchiesta non è talebana né a orologeria: “È una cosa seria”. Ha sbagliato partito e soprattutto banda: se stava con la mafia o con la camorra, come minimo sarebbe sottosegretario.

FELTRI, L'ARMA LETALE


Sabato 27 febbraio 2010 – Anno 2 – n° 49
FELTRI, L'ARMA LETALE


Le bugie dei berluscones sono come gli esami di Eduardo: non finiscono mai. Il Banana mente sui suoi affari e i suoi bilanci degli anni Ottanta. Poi arriva la Guardia di finanza e, per nascondere le bugie, la Fininvest corrompe i finanzieri. Ma poi questi confessano le tangenti Fininvest e lui racconta altre balle. Ma viene chiamato a testimoniare Mills, che potrebbe smentire le sue balle. Allora viene corrotto anche Mills perché racconti balle pure lui. Ma poi Mills dice la verità al suo commercialista e il Banana deve raccontare altre balle. Ma la Cassazione non gli crede e dichiara colpevole Mills, ma prescritto. Il Banana invece è colpevole ma non prescritto, perché il lodo Alfano ha congelato il suo processo per un anno e mezzo, ergo la sua prescrizione scatterà solo nella primavera 2011. E, siccome la sentenza definitiva Mills “fa stato” anche nel processo al Banana, il processo al Banana potrebbe durare molto poco. Se i giudici si sbrigano a fare il primo grado e l’appello entro Natale, la Cassazione dovrà esaminare il caso prima che si prescriva. In ogni caso c’è tempo per arrivare almeno alla sentenza di primo grado. Insomma il verdetto di Cassazione è una pessima notizia per il Banana. Infatti lui tace. I suoi invece, per forza d’inerzia, continuano a raccontare balle. “Vittoria di Berlusconi. Schiaffo della Cassazione ai pm”, titola il Geniale in prima pagina, riservando però il meglio a pag. 3: “Silvio perseguitato, ma nessuno paga. Il processo che ha danneggiato l’immagine di Berlusconi e influito sulla vittoria di Prodi nel 2006 non si doveva fare. Il Cav e gli italiani dovrebbero essere risarciti”. Per il momento sarà Mills a risarcire gli italiani con 250 mila euro per essersi fatto corrompere da Mr.B. “Silvio assolto”, titola L i b e ro anzi Occupato, poi sotto scrive il contrario: “S a ra n n o prescritte le accuse al presidente”. Ma neanche questo è vero: il reato di Mills è prescritto, quello di Berlusconi no. Littorio Feltri, noto giureconsulto, sostiene che “molti avversari di Berlusconi saranno stizziti dopo la sentenza di Cassazione”: pover’uomo, se l’avesse capita sarebbe stizzito lui, almeno quanto il suo padrone. Ma per fortuna non l’ha capita, infatti scrive: “Pertanto il Cavaliere, lodo Alfano o non lodo Alfano, non dovrà presentarsi in tribunale per discolparsi”. Splendido: ecco, speriamo che non si presenti, così intanto lo processano in contumacia. Speriamo che dia retta a Feltri: “Se non c’è più il corrotto non ci può più essere il corruttore” (il corrotto deve sborsare 250 mila euro di risarcimento, ma è innocente). Dunque il premier “può cantare vittoria e affrontare serenamente il futuro” perché “quella della Cassazione coincide con la linea difensiva di Ghedini”. Secondo il mèchato di L i b e ro , siccome il reato si è prescritto tre mesi fa per Mills e si prescriverà fra un anno e messo per Mr.B, “il processo non doveva neanche i n i z i a re ”. Curiosamente però, nonostante gli incitamenti di Littorio e di Mister Mèches, il Banana si guarda bene dal cantare vittoria. E Ghedini men che meno: anzi, dice di “non essere soddisfatto”, avrebbe preferito “la declaratoria di innocenza ‘perché il fatto non sussiste’, non la prescrizione”. A questo punto, non resta che aspettare. Se le cose stanno come scrivono i giuristi per caso di casa Banana e come ripete la loro pròtesi televisiva Scodinzolini, la legge sul processo breve evaporerà alla Camera. Il legittimo impedimento svanirà in Senato. L’èra delle leggi ad personam miracolosamente finirà. E il Banana potrà “affrontare serenamente il futuro ”. Noi, per il suo bene, ci permettiamo di suggerirgli di diffidare dei suoi signorini grandi firme e di procedere a piè fermo a un’altra vagonata di leggi ad personam. Non vorremmo che fra un anno si ritrovasse condannato per corruzione giudiziaria e se la prendesse con Feltri. Il quale ha già dato molto alla causa dell’opposizione, inimicandogli mezzo Vaticano col caso Boffo. Se facesse pure condannare il Banana, Littorio non se lo prenderebbe più nessuno. Nemmeno il Pd.

IL CANTO DEI GALLI


Venerdì 26 febbraio 2010 – Anno 2 – n° 48
IL CANTO DEI GALLI


Il professor Ernesto Galli della Loggia s’interroga pensoso sul Pompiere della Sera a proposito de “La corruzione e le sue radici”. L’agile trattatello, diversamente dal solito, non è né inutile né dannoso: serve anzi a comprendere come si è ridotta la classe intellettuale italiota, incapace di vedere, capire, spiegare, proporre, elaborare un’idea originale al di fuori del déjà vu, del luogo comune, dell’eter no conformismo. La tesi di fondo è stimolante e soprattutto inedita, almeno per chi non frequenta i bar sport: è tutto un magna magna. “La verità è che è l’Italia la causa della corruzione italiana”, visto che rubano tutti: chi trucca concorsi, chi froda il fisco, chi si fa la casa abusiva, chi raccomanda amici e parenti nei posti pubblici, chi gonfia le tariffe dei servizi. Ma va? “In molti altri paesi – filosofeggia l’acuto pensatore – comportamenti del genere sono severamente sanzionati anche sul piano penale. Da noi no, sono considerati normali. Perché?”. In realtà i suddetti comportamenti sono reato anche in Italia. Ma, non appena un magistrato si azzarda a scoprirli e sanzionarli, indagando, intercettando, arrestando o condannando qualcuno, c’è sempre qualche gallo della loggia o pollo del balcone che si mette a strillare all’invasione di campo della magistratura, alle toghe rosse, ai processi politici, allo scontro fra giustizia e politica, al giustizialismo, alle manette facili, invocando separazioni delle carriere, immunità, lodi Schifani e Alfani. Quando Mastella e signora furono beccati a lottizzare tutto il lottizzabile in Campania, dalle Asl ai canili, fu tutto un coro di “embè? così fan tutti”. Se, come scrive il sagace politologo, “Mani Pulite non ha segnato una svolta”, “è stato tutto inutile ”, “la corruzione italiana appare invincibile”, non è certo colpa dei magistrati. A loro spetta scoprire e punire i reati già commessi. Per impedire o almeno ridurre la possibilità che altri se ne commettano, bisogna rendere più severe le sanzioni e più stringenti i controlli. In questi 18 anni s’è fatto l’opposto. Su circa 200 “riforme della giustizia” approvate dal 1992 a oggi, nemmeno una ha reso più difficile o rischiosa la corruzione e più facile la sua scoperta. Anzi, tutto il contrario. Su quale pianeta, in quale galassia ha vissuto Galli della Loggia per tutto questo tempo? Ha mai scritto un rigo contro le leggi che depenalizzavano l’abuso d’ufficio, le false fatture e il falso in bilancio, allungavano i processi e dimezzavano la prescrizione, sbiancavano i fondi neri all’estero, abolivano i processi alle alte cariche specie quella bassa, condonavano frodi fiscali e abusi edilizi? Si sta forse battendo contro il processo breve anzi morto, il legittimo anzi illegittimo impedimento, l’abolizione delle intercettazioni? Ha mai proposto una sola legge anticorruzione? Ora scopre che “le tangenti continuano a girare vorticosamente anche nel privato”: s’è mai accorto che nel 1999 l’Italia siglò la convenzione del Consiglio d’Europa contro la corruzione (che impone di punire pure le tangenti fra privati), ma si è sempre “dimenticata” di ratificarla? Perché dal suo pulpito, o dalla sua loggia, o dal suo balcone, anziché menarcela con la separazione delle carriere o lo scontro fra giustizia e politica, Galli non ha mai lanciato una campagna per sollecitare quella ratifica? Perché un mese fa i mejo commentatori del Pompiere (a parte Magris e Bragantini) si sono associati alla beatificazione di un corrotto latitante come Bottino Craxi e oggi si meravigliano se si continua a rubare? In coda al trattatello, il geniale pennuto invita tutti a “guardare a fondo dentro di noi e dentro la nostra storia”. Basterebbe guardare a fondo quel che scriveva lui nel 1992-’93 quand’era lucido e quel che ha scritto (ma soprattutto non ha scritto) dopo. Anziché scomodare il gene italico, per spiegare la corruzione basta la rassegna stampa dell’ultimo ventennio: è piena zeppa di intellettuali che, anziché smascherare le imposture del potere, gli prestano le parole per nasconderle meglio.

VIVA CRAXI, ABBASSO I CORROTTI


Giovedì 25 febbraio 2010 – Anno 2 – n° 47
VIVA CRAXI, ABBASSO I CORROTTI


Dice Napolitano, a chi gli domanda delle nuove tangenti: “Chiedete ad altri”. Lui infatti un mese fa giustificava quelle vecchie, scrivendo alla vedova Craxi che il marito esule fu “trattato con una durezza senza eguali”, e ora commemora Pertini. Dice Schifani, con rispetto parlando, che “i partiti si devono imporre rigore nella selezione della classe dirigente, a volte non candidando chi è condannato non in via definitiva”. Lui infatti, un mese fa in Senato, beatificava Craxi, condannato in via definitiva per corruzione e morto latitante, chiamandolo “vittima sacrificale”. Dicono Brunetta e Sacconi che ha torto Montezemolo quando per la nuova corruzione accusa la politica, perché loro sono impegnatissimi a combatterla: infatti un mese fa, per combatterla meglio, stavano sulla tomba del corrotto Craxi. Dicono Fini e Berlusconi, una volta tanto all’unisono: “Non c’è una nuova Tangentopoli”. Perché, anche se ci fosse, cambierebbe qualcosa? Non era un complotto delle toghe rosse manovrate dalla Cia, l’inchiesta su Tangentopoli? Non erano dei martiri perseguitati politici, i condannati per Tangentopoli? Non sedevano tutti in prima fila al Senato alla canonizzazione di San Bottino, i pregiudicati Forlani, De Michelis e De Lorenzo? Si dice che bisogna aspettare le condanne definitive: ma, anche se arrivassero, cambierebbe qualcosa? Craxi non era un condannato definitivo? Come può una classe politica, fino alle più alte cariche dello Stato, avere la credibilità di parlare di corruzione se un mese fa era allineata e coperta a beatificare uno dei simboli della corruzione? Come può sperare che all’estero la prendano sul serio? La stampa internazionale, dall’Economist a Le Monde, un mese fa ci prendeva in giro come un paese di smemorati e di cialtroni. Ora che dalla santificazione dei corrotti si passa, ovviamente a parole, alle leggi anticorruzione, seguiteranno a considerarci la patria di Pulcinella. Bossi vuol fare piazza pulita dei condannati: ma se lo ricorda di essere pure lui un condannato per la maxi-tangente Enimont? La Russa dice che “il limite sta nel rinvio a giudizio: al di sotto non c’è problema, al di sopra ci sarà un invito a non candidarsi”: ma se lo ricorda che il capo del suo partito, tale Banana, è stato rinviato a giudizio per corruzione di Mills e per frode fiscale, appropriazione indebita e falso in bilancio sui fondi neri Mediaset? Il sagace Gasparri, a proposito del sen. Di Girolamo, dice che “nessuno è intoccabile”: e allora perché il suo partito, meno di due anni fa, votò contro l’arresto del sen. Di Girolamo accusato di 7 capi d’imputazione per aver truccato le carte della sua elezione fra gl’italiani all’estero mentre risiedeva in Italia (presso una nota cosca della ‘Ndrangheta)? E perché la giunta per le elezioni del Senato trovò il modo di non espellere neppure il senatore abusivo? Chi era il capogruppo del Pdl al Senato? Per caso, Gasparri ha mai sentito parlare di Gasparri? Piercasinando parla come Grillo al V-Day: “Basta con i ladr i”. Forse scherza. Chi ha fatto nominare segretario Udc Lorenzo Cesa, arrestato nel ’93 perché incassava le tangenti per conto del ministro Prandini e reo confesso in un memorabile verbale che inizia con le parole “ho deciso di vuotare il sacco”? Chi ha portato in Parlamento Giuseppe Drago, già presidente della regione Sicilia, dopo che era stato condannato in primo grado per peculato per avere svaligiato la cassa dei fondi riservati del governatore asportando 230 milioni di lire? Un certo Casini. Per caso, Casini ha mai sentito parlare di Casini? Angelino Jolie, poveretto, dice restando serio che “Berlusconi ha posto l’onestà come precondizione della politica… perché, da uomo ricco, non ha bisogno di prendere mazzette e dunque è insospettabile di tangenti”. Infatti le tangenti non le prendeva: le pagava. Ma forse è questa la formidabile legge anticorruzione che ha in serbo l’onorevole Angelino: chi prende tangenti, in galera; chi le paga, a Palazzo Chigi.

SVISTE PULITE


Mercoledì 24 febbraio 2010 – Anno 2 – n° 46
SVISTE PULITE


Davvero spassoso il dibattito sulle “liste pulite” avviato dal titolare delle liste più luride della storia dell’umanità. Politici, giornalisti, intellettuali e giuristi per caso si esercitano intorno al tema della corruzione con gli stessi esiti di Emanuele Filiberto che tenta di cantare, di Gasparri che tenta di ragionare e di Angelino Jolie che tenta di scrivere una legge anticorruzione. Si impegnano, si applicano, ma non ce la fanno proprio. Non è il loro ramo. Sono troppo abituati a spostare l’attenzione dalle mazzette al colore della toga del giudice che le ha scoperte o della camicia del giornalista che le ha raccontate, per riuscire a dire qualcosa di sensato. Così non fanno altro che rinfacciarsi le reciproche mazzette: tu ne hai prese più di me, tu hai più condannati di me, tu hai più processi di me. Ieri il Geniale, copiando i nostri libri e le denunce di Grillo, elencava i condannati e gli inquisiti in Parlamento. Solo quelli di Pd e Udc, ci mancherebbe: per quelli del Pdl occorrerebbe una Treccani in vari volumi. In prima pagina, direttamente dalla famiglia Addams, Alessandro Sallusti si inerpicava sul tema per elogiare il Pdl del padrone, “unico partito ad affrontare una questione vera e non più rinviabile”. Ma va? Benvenuto nel club. Sulle prime zio Tibia partoriva persino un concetto sensato: non sempre, per cacciare un politico imputato, bisogna attendere la Cassazione. Poi però si perdeva per strada, vaneggiando di misteriosi “reati civili e amministrativi”. Infine perdeva la brocca parlando del Banana: i suoi processi sono speciali, rientrano nella “zona grigia della giustizia”. E’ quel che dice pure Cicchitto, altro neofita dell’argomento: l’a l t ra sera a Porta a Porta tentava teneramente di conciliare le liste pulite e il Banana. Impresa titanica: “Sia chiaro che contro Berlusconi c’è un uso politico della giustizia, contro Bertolaso pure, mentre sugli altri si può discutere”. Ecco, i processi buoni e quelli meno buoni li decide lui: indossa cappuccio e grembiulino, poi scrive le sentenze. L’ottimo Belpietro, per non sbagliare, affida il commento a Giancarlo Abelli, contitolare del conto a Montecarlo per cui la sua signora ha appena patteggiato 2 anni per riciclaggio e restituito 1,2 milioni di maltolto: un’autorità in materia di liste pulite. Formidabili le prediche anticorruzione del duo Marcegaglia&Montezemolo, presidente ed ex presidente del più popoloso consesso di corruttori mai visto in natura: la Confindustria. Che ora espelle chi paga il pizzo per non esser ammazzato dalla mafia, cioè le vittime di concussione, ma non ha mai messo alla porta un solo iscritto che paga tangenti. Anche perché la sora Emma dovrebbe espellere se stessa, o almeno il fratello e il papà, titolari del gruppo di famiglia che due anni fa ha patteggiato a Milano 500 mila euro di pena pecuniaria e 250 mila di confisca per Marcegaglia Spa, 500 mila euro di pena più 5 milioni di confisca per la controllata NE Cct Spa, 11 mesi di reclusione per Antonio Marcegaglia (fratello di Emma, figlio di Steno): il tutto perché nel 2003 pagarono una mazzettona all’Enipower in cambio di appalti. Ora Montezemolo sostiene che la corruzione dilaga perché i politici “non hanno fatto le riforme”. Forse voleva dire “perché hanno fatto le riforme”: in 15 anni hanno sfornato 200 leggi in materia di giustizia, tutte a favore della corruzione e nessuna contro. E la Confindustria non ha mai emesso un pigolio contro condoni fiscali, scudi, depenalizzazioni del falso in bilancio, allungamenti dei tempi dei processi e tagli dei termini di prescrizione. Ma niente paura: Renato Brunetta assicura che all’anticorruzione ci pensa lui. Nella Prima Repubblica, Brunetta era consulente del ministro De Michelis; nella Seconda, divenuto ministro, ha ingaggiato come consulente De Michelis. Il giusto premio per le condanne collezionate da De Michelis per finanziamento illecito e corruzione. Ecco, la legge anticorruzione potrebbe scriverla lui. Dopo tanti dilettanti, finalmente un professionista.