Serial baller

Giovedì 28 aprile 2011 – Anno 3 – n° 100

Serial baller

Capita spesso nei thriller che, giunto a fine carriera, il serial killer faccia di tutto per farsi prendere e dissemini di tracce la propria strada per aiutare l’investigatore a catturarlo. Anche il serial baller che occupa Palazzo Chigi ce la sta mettendo tutta per porre fine ai suoi giorni: in mancanza di qualcuno dall’altra parte in grado di eliminarlo (politicamente, s’intende), ci pensa lui. E si autodistrugge. Solo che gli altri non glielo permettono. E gli salvano la vita (politica, s’intende) anche se lui non vuole. Prendiamo le ultime mosse. Dopo l’emendamento-truffa per far saltare il referendum anti-nucleare e dunque far mancare il quorum agli altri due, i promotori denunciano l’imbroglio, mentre i suoi trombettieri dicono che è tutto regolare e che mai un galantuomo come lui imbroglierebbe gli italiani. A quel punto lui si presenta davanti alle telecamere e ammette: ma certo che era tutto un trucco, il giorno dopo i referendum riprendiamo il piano nucleare come se niente fosse. Cioè, vi sto fregando e vi spiego anche come, tanto nessuno farà nulla: il capo dello Stato firmerà pure questa legge con emendamento-truffa incorporato, la Cassazione casserà il referendum sul nucleare, il Pompiere della Sera esulterà perché si è evitato “lo scontro”, il Pd farà finta di incazzarsi per mezza giornata poi tirerà un sospiro di sollievo perché i referendum avrebbero consacrato Di Pietro, Grillo e Vendola. Ora, onestamente: ma che altro deve fare B. per far capire di essere un truffatore, se non dirlo apertamente in mondovisione? Non mente nemmeno più: appena racconta una balla, fa seguire la smentita incorporata, a prova di coglione. Che altro deve succedere perché il capo dello Stato gli rimandi indietro una legge-truffa che lui stesso pubblicamente ammette essere tale? Che aspetta il Pd a chiedere udienza al Quirinale con le altre opposizioni per difendere quel che resta del nostro diritto di voto da uno scippo dichiarato? Stessa scena sulla Libia. Lui fa di tutto per comunicarci che non abbiamo una politica estera, le alleanze le decide a seconda di come (e soprattutto con chi) si sveglia la mattina, tanto non gliene può fregare di meno. Un giorno bacia uno, un giorno non vuole disturbarlo, un giorno gli dispiace che lo bombardino, un giorno lo bombarda. Così, come gli gira. Se ciò non dovesse ancora bastare – come raccontiamo a pag. 3 – la sera in cui entriamo ufficialmente in guerra contro la Libia se ne va negli studi Rai dove si allestisce la scenografia del programma di Sgarbi, intrattenendo le maestranze e sperando in qualche gnocca di passaggio. Come ai bei tempi del Biscione, quando – scrisse Biagi – “se avesse avuto un filo di tette avrebbe fatto pure l’annunciatrice”. E c’è da capirlo: mica è un politico, è un impresario puttaniere per giunta imputato, ha cose ben più serie e divertenti a cui pensare. Sono 17 anni che cerca di farlo capire, ma gli altri niente: continuano a prenderlo sul serio e a lui tocca farsi due palle così con l’economia, la diplomazia, la scuola, l’università, le pari opportunità. Provate voi a vivere da mane a sera con Cicchitto, Bondi, Gasparri, Bonaiuti, Capezzone, Quagliariello che vi passeggiano sugli zebedei a quattro zampe coi tacchi a spillo. A sottoporvi a estenuanti sedute con Ghedini che spiega ad Alfano la differenza fra prescrizione e circoscrizione. A cercar di capire cosa dice Bossi e cosa pensa Calderoli. A passare ore al telefono con Olindo Sallusti e/o Rosa Santanchè. A ricevere Belpietro a Palazzo Grazioli per allenarlo al talk-show serotino. A chiamare Scilipoti per magnificare le virtù dell’agopuntura, sennò quello si offende. A dar udienza a Giovanardi che rompe i maroni con la droga e la sacra famiglia, mentre vi aspetta una partita del Milan o una partita di mignotte in transito. A inventare sottosegretariati per i “responsabili” capitanati da tal Sardelli, già paroliere di Al Bano con testi del calibro di “Cos’è l’amore”. Ma si può vivere così? Chi può faccia un’opera buona: lo liberi.

Vogliamo il canàro

Mercoledì 27 aprile 2011 – Anno 3 – n° 99

Vogliamo il canàro

Massima solidarietà ai trombettieri di B., costretti alle più spericolate acrobazie per inseguirlo nelle sue piroette ormai quotidiane. Su Ruby: non è prostituta ma nipote di Mubarak; anzi no, è prostituta ma anche nipote di Mubarak. E soprattutto sulla Libia. “Non chiamo Gheddafi per non disturbarlo”; e tutti dietro: zitti, fate piano, non bisogna disturbare Gheddafi. Poi entriamo in guerra contro Gheddafi, ma senza bombardarlo, mica siamo come quel nano di Sarkozy; e tutti dietro: viva la guerra a Gheddafi, ma solo un po’, senza bombardarlo. Poi bombardiamo Gheddafi anche noi, e tutti dietro: evvai, si bombarda Gheddafi anche noi, quando ci vuole ci vuole. Viene persino il dubbio che Lui lo faccia apposta: cioè si diverta a cambiare più posizioni di quelle del Kamasutra per vedere se i suoi pifferai riescono a tenere il ritmo. Impresa titanica, visto che, oltre ad avallare le sue panzane, i poveretti devono inseguire pure quelle dei suoi, fino all’ultimo Scilipoti. Da quando s’è saputo che l’uomo-chiave della maggioranza alla Camera ha la fissa dell’agopuntura, nelle redazioni di Libero, Foglio, Giornale e Panorama s’è scatenata la corsa all’acquisto di manuali sulle medicine alternative, non sia mai che qualcuno si faccia cogliere impreparato. Ma ora ci tocca presentare le nostre più sentite scuse anche a Mimmo Scilipoti da Barcellona Pozzo di Gotto. Si pensava che l’espressione “toccare il fondo” coincidesse con la sua faccia, poi è arrivato Remigio Ceroni da Rapagnano, quello che non si accontenta di riformare un articolo qualunque della Costituzione: lui punta al primo. Sandra Amurri ha raccontato di quando il nostro riformatore, in attesa di cambiare i connotati alla Costituzione, si allenava cambiandoli alla moglie a suon di ceffoni. E lui, sanguinosamente offeso, s’è fatto intervistare e immortalare da Libero nel suo idillio familiare. Lui: “Volgari menzogne, non farei mai del male alla donna che amo”. Lei: “Sono stata in ospedale solo per partorire. Remigio è un uomo pacifico, se mi avesse picchiata non saremmo arrivati a 38 anni di matrimonio”. Il cattolicissimo on. Maurizio Lupi fa subito tanti auguri: non alla moglie menata, ma all’onorevole marito. Purtroppo però al Fatto le notizie, prima di scriverle, si usa verificarle. E così Sandra, che sulle prime aveva preferito sorvolare su certi dettagli sanitari, estrae il referto medico con tanto di denuncia alla polizia, in cui lady Ceroni tutta tumefatta “riferisce di essere stata percossa dal marito ieri alle 22.30 circa presso la propria abitazione”. Venti giorni di prognosi. Chi lo dice, ora, al pio Lupi? Libero torna da Ceroni per la nuova verità di giornata: “Il litigio ci fu, però francamente mi vede estraneo”. Avrà litigato con la moglie a sua insaputa, come uno Scajola qualsiasi? “Io non ero neppure in casa”. L’avrà menata a distanza, con la sola forza del pensiero? “Al pronto soccorso le avranno detto: scriva lite coniugale e così hanno chiuso la partita”. Ma certo: la moglie del sindaco (Ceroni all’epoca era sindaco di Rapagnano) arriva al pronto soccorso tutta lividi, le dicono di dare la colpa al sindaco e lei, sempre a sua insaputa, lo mette nero su bianco. Resta da capire chi l’ha menata. Ceroni tira in ballo il padre, ovviamente defunto: “C’è stato un litigio familiare, lei ha risposto male a mio padre e lui, forse, offeso, ha reagito... Mio padre è pure morto”. In attesa che oggi sforni nuove versioni di giornata (forse la signora Ceroni è la cugina di Mubarak, notoriamente molto manesco) e che Lupi candidi Ceroni a sottosegretario alla Famiglia al posto del ribelle Giovanardi, ben si comprende perché Libero vanti fra i suoi columnist Pomicino e Moggi o il Foglio pubblichi le analisi sulla Libia di Pio Pompa: per sostenere certe tesi bisogna aver già perso la faccia. Essendo venuti a mancare prematuramente il gobbo del Quarticciolo e la saponificatrice di Correggio, si attende l’esordio di un nuovo editorialista di sicuro avvenire: il canàro.

Ciancipietro

Martedì 26 aprile 2011 – Anno 3 – n° 98

Ciancipietro

In evidente imbarazzo per l’arresto di Ciancimino jr, issato agli onori delle cronache dal suo Panorama nel 2007, Maurizio Belpietro scrive: “Non sappiamo da chi abbia imparato a manipolare i documenti. Ma quale che sia il suo maestro, non sarà mai sufficientemente abile da competere con Travaglio”. Troppo buono. Ma, come si suol dire: prego, dopo di lei. Ciancimino è stato arrestato per aver taroccato un documento contro De Gennaro. Accusa ancora tutta da provare (per ora si sa solo che il documento è stato falsificato, ma non da chi né perché), anche se i “garantisti” Pdl l’hanno già condannato in via definitiva. In compenso è ormai fatto notorio che da 17 anni gli house organ di B., diretti o vicediretti da Belpietro, han preso per oro colato una serie innumerevole di panzane. Nel ‘95 il Giornale rilancia le “notizie agghiaccianti” che B. dice di aver appreso sul pool Mani Pulite, denunciato a Brescia per “attentato a organo costituzionale” (art. 289 Codice penale, pena massima 10 anni di carcere). Naturalmente – vedi pagina 2 – il pool viene assolto, mentre i supertestimoni delle notizie agghiaccianti, i marescialli Strazzeri e Corticchia, vengono arrestati e condannati per calunnia. Sempre nel ‘95 il Giornale vicediretto da Belpietro avvia una lunga campagna per dimostrare che Pacini Battaglia ha corrotto Di Pietro con “una valigetta con 5 miliardi”. Poi, nel novembre ‘97, i lettori del Giornale trovano in prima pagina un articolo di Feltri: “Caro Di Pietro, ti stimavo e non ho cambiato idea”. E due pagine di ritrattazione completa: “Di Pietro è immacolato”, “i famigerati miliardi di Pacini” sono una “bufala”, una “ciofeca”, una “smarronata”, “dissolto il grande mistero: non c’è il tesoro di Di Pietro”. Cioè: Il Giornale vicediretto da Belpietro “dissolve” un mistero che ha inventato lui, per salvarsi dalle denunce dall’ex pm (Paolo Berlusconi deve pure sborsare 700 milioni di lire). Anche Giuliano Ferrara porta la sua acqua al mulino della calunnia: nel ’97, direttore di Panorama , allega il pamphlet di Giancarlo Lehner “Attentato al governo Berlusconi. Art. 289 Codice penale” che rilancia le “notizie agghiaccianti” e che viene puntualmente condannato per aver descritto fatti mai accaduti. Ora Ferrara ripesca l’articolo 289 per mandare in galera i pm di Palermo. Ed è perfino costretto a difendere De Gennaro, che il Foglio insulta da 15 anni per la penna di Lino Jannuzzi, lo stesso che nel ’91 scriveva: “Falcone e De Gennaro sono i favoriti per la Dna e la Dia... È una coppia la cui strategia... ha approdato al più completo fallimento: sono Falcone e De Gennaro i maggiori responsabili della débâcle dello Stato di fronte alla mafia. Quando si arrivasse a queste nomine, dovremo guardarci da due ‘Cosa Nostra’, quella che ha la Cupola a Palermo e quella che sta per insediarsi a Roma. E sarà prudente tenere a portata di mano il passaporto”. Del resto gl’investigatori prediletti da Ferrara sono altri: per esempio Squillante, che lui definisce “uomo probo” anche quando finisce dentro per un conto in Svizzera con 10 miliardi, comunicante con quello di Previti. Quando poi Igor Marini infanga Prodi & C. per Telekom Serbia, Il Giornale di Belpietro rilancia pure le sue balle, almeno finché Marini non viene arrestato per calunnia. Ora, a corto di fornitori di bufale, deve inventarsele in proprio: tipo l’attentato subìto per mano della “sinistra dell’odio” o il progetto di un falso agguato a Fini per accusare B. Sapete come sono finite? La Procura ha appurato che l’attentato a Belpietro non è mai avvenuto e quello a Fini è una patacca rifilata al direttore di Libero da un imprenditore pugliese che voleva dimostrare come sia facile ammollare patacche a certi giornali. Infatti mica era andato a casaccio: si era rivolto proprio a Belpietro (di cui il pm Spataro ha chiesto la condanna per procurato allarme). Quel dilettante di Ciancimino, con un solo documento falso, non si monti la testa: deve farne di strada, per diventare un Belpietro.

Ciance & Ciancimino

Domenica 24 aprile 2011 – Anno 3 – n° 97

Ciance & Ciancimino

Proseguono, nel quadro della progressiva abrogazione della logica aristotelica, i delirii sul caso Ciancimino. Il Giornale e Libero (due testate, due ossimori) spacciano la seguente leggenda: Ciancimino si sveglia un mattino di tre anni fa e decide di migliorare la sua qualità della vita fabbricando calunnie su premier, ministri e alti funzionari della Prima e della Seconda Repubblica accusandoli di aver trattato con la mafia e corre a consegnarle alla Procura di Palermo. I bocconi più prelibati sono ovviamente B. e Dell'Utri che lui, sempre per vivere meglio, getta in pasto alle toghe rosse (com’è noto, infatti, chi accusa B. e Dell’Utri fa un carrierone). I pm, per tre anni, prendono tutto per oro colato, fiancheggiati da stampa e tv (notoriamente in mano alle sinistre). Poi arriva la Scientifica, scopre che uno dei documenti è taroccato, dunque lo sono anche tutti gli altri, ergo non c'è stata alcuna trattativa Stato-mafia, quindi B. e Dell'Utri con la mafia non c’entrano. Fine della storia, applausi di Cicchitto & Gasparri. Per chi eventualmente fosse interessato ai fatti, le cose sono andate in tutt’altro modo. Nel 2005 Ciancimino jr. compare per la prima volta davanti alla Procura di Palermo (allora retta da Grasso e Pignatone), che lo indaga per aver riciclato il tesoro di don Vito, gli sequestra 64 milioni, gli perquisisce le case e lo intercetta per due anni (2003-2005). In alcune telefonate Massimo parla di soldi da versare ad alcuni parlamentari siciliani (Vizzini, Cuffaro, Cintola, Romano), ma i nastri finiscono in un cassetto, nè trascritti né inviati al Parlamento per l'autorizzazione. Sempre al telefono, con la sorella Luciana, Ciancimino parla di un assegno di 35 milioni di lire che Berlusconi staccò nei primi anni 80 a don Vito, il quale lo conservava gelosamente in una “vecchia carpetta”. Ma anche sull’assegno la vecchia Procura pare poco o nulla interessata: nessun’indagine, solo una domandina su 150 pagine di verbali. Stragi? Trattative? Nessuna domanda. In casa Ciancimino, i carabinieri dimenticano di aprire la cassaforte, visibile a occhio nudo: peccato, perché conteneva sia il papello sia l’assegno di B. I militari trovano però, fra le carte di don Vito custodite dal figlio, “parte di foglio A4 manoscritto contenente richieste all’on. Berlusconi per mettere a disposizione una delle sue reti televisive”. Ma nemmanco su quello Ciancimino viene interrogato, anzi il documento scompare dagli atti del suo processo. Nel dicembre 2007 la svolta. Ciancimino racconta a Nuzzi di Panorama (direttore Belpietro) il suo ruolo nella trattativa fra il Ros e il padre e lamenta che nessuno l'abbia mai sentito sul punto. La nuova Procura (retta ora da Messineo) lo convoca subito: lui conferma e aggiunge molto altro. Ma solo quando consegna il “papello” e altre carte autografe del padre si ha la prova che la sa lunga. Poi arrivano i Martelli, Ferraro, Violante, Conso a confermare con i loro tardivi ricordi ciascun tassello di un mosaico iniziato dieci anni prima da Brusca e dagli stessi Mori e De Donno. Intanto una fonte avverte i pm in casa Ciancimino i carabinieri trovarono molto più di quanto risulti. Ed ecco saltar fuori dal fondo di uno scatolone l’appunto su B: l’autore (Provenzano o don Vito per suo conto) promette appoggio elettorale a B. in cambio di una tv e minaccia, in caso contrario, un “triste evento”. I pm richiamano Massimo e gli sventolano il foglio sotto il naso. Lui sbianca, piange, trema, mente, poi è costretto a vuotare il sacco: una corrispondenza fra Provenzano e B. fra il 1992 e il ’94 e una serie di carte del padre su B e Dell’Utri, che non fanno che confermare quanto già si sapeva sui rapporti mafiosi dei due. Carte ritenute autentiche dalla Scientifica che poi ha smascherato il falso su De Gennaro. Dunque Ciancimino fu costretto dalle sue intercettazioni e dalle sue carte a parlare di B. e di Dell’Utri, mentre all’inizio non ne voleva proprio sapere. Infatti, per confidarsi, scelse proprio il settimanale della famiglia B. Furbo, eh?

L’eroe di Belpietro

Sabato 23 aprile 2011 – Anno 3 – n°96

L’eroe di Belpietro

Come volevasi dimostrare, dopo l'arresto di Ciancimino i trombettieri di B. si sono messi all'opera per screditare non tanto lui, quanto i pm che lo interrogano da tre anni e i giornalisti che l'hanno intervistato. Anzi, uno solo: Santoro. Poco importa se i pm sono gli stessi che l'han fatto arrestare alla prima prova di falso e se l'hanno intervistato giornalisti di tutto il mondo (infatti Vespa no). Il Corriere interpella Dell'Utri come un osservatore di cose di mafia, omettendo la condanna per mafia in primo e secondo grado. Il Foglio delira: “Della presunta trattativa tra mafia e Stato non c'è nessuna prova” (invece la trattativa è straprovata da testimonianze e documenti emersi dopo le, anzi grazie alle rivelazioni di Ciancimino; e il documento falso non sposta una virgola). Il segugio Chiocci, sul Giornale, vaneggia di un Ciancimino “smentito e sputtanato” dalle recenti notizie sulle trattative sotto i governi Amato e Ciampi (in realtà il primo a parlarne fu proprio lui, dunque è stato confermato non smentito); e di “calunnie copia & incolla su Berlusconi, chissà perchè non meritevoli di arresto” (in realtà i documenti di don Vito su B. e Dell'Utri li ha già autenticati la Scientifica che ha smascherato il falso su De Gennaro). Il primo trombone della banda, Giuliano Ferrara, seguito a ruota dalla trombetta Chiocci, dice che i pm di Palermo credevano ciecamente a Ciancimino, anzi andavano al suo rimorchio per usarlo contro B. e uno di essi, in un libro, lo esaltava come “icona dell'Antimafia”. Balla spaziale: Ingroia, nel libro “Nel labirinto degli dei”, riconosce che Ciancimino jr. “ha sfidato la legge dell'omertà” svelando i retroscena della trattativa Stato-mafia, ma poi ne critica “la smania di apparire”, di “parlare troppo, specialmente coi giornalisti, specie dei suoi interrogatori per i quali è tenuto a rispettare la segretezza... Un imputato-testimone che scrive libri imbastiti con il contenuto delle sue dichiarazioni... uomo dei media e per i media. Per una metamorfosi mediatica, oggi il figlio di Ciancimino è arrivato a diventare quasi un'icona dell'antimafia”. Ed esterna “tanti dubbi sull'attendibilità del giovane Ciancimino” su alcuni fronti, mentre su altri riconosce “l'importanza del contributo di conoscenza da lui apportato”. Nella prefazione al libro di Maurizio Torrealta, “Il quarto livello” (Bur), che parte proprio dalla cartolina manoscritta che ora Ciancimino jr. è accusato di aver taroccato, Ingroia aggiunge: “Mantengo le mie perplessità sull'interpretazione di Ciancimino del Quarto livello... del tutto fuorviante e non aderente alla realtà”. Il meglio lo dà Belpietro, su Libero: “Ciancimino era l'oracolo di Santoro, ma è solo un ballista”, “L'eroe di Santoro e pm arrestato per calunnia”. Ricorda che “Ciancimino si era rivolto a me nel 2007”, ma lui l'aveva subito capito che era un ballista. E giù botte a “Santoro, La Licata, Ruotolo, Sandra Amurri e tanti altri illustri colleghi della stampa progressista” che invece “si sono prestati a intervistarlo in pubblico”. Già, le interviste: la prima fu il 19 dicembre 2007. Ciancimino jr. svelò il suo ruolo di postino del padre nelle trattative Stato-mafia e gli incontri di don Vito con Mori e De Donno, Riina e Provenzano. E alla domanda “È mai stato interrogato su queste trattative e sulle stragi?”, rispose: “No, mai. Eppure il cap. De Donno mi consegnò dei rotoloni con la piantina di Palermo ed elenchi di utenze telefoniche presumibilmente in uso a Riina. Mio padre avrebbe dovuto segnare la zona e indicare i numeri telefonici. Una settimana dopo riconsegnai i rotoloni con indicato il quartiere di viale Regione Siciliana: 'Lì dovete cercare Riina'”. I pm di Palermo lessero l'intervista e convocarono Ciancimino jr. per mettere tutto a verbale. Così iniziò il caso Ciancimino. Sapete qual era il giornale che pubblicò l'intervista? Panorama. E chi lo dirigeva? Belpietro. Per dirla con Belpietro, “l'eroe di Belpietro arrestato per calunnia”.

Ciancimino contro Ciancimino

Venerdì 22 aprile 2011 – Anno 3 – n° 95

Ciancimino contro Ciancimino

Prima di venire sommersi dalla prevedibile ondata di commenti sull’arresto di Massimo Ciancimino, quei commenti all’italiana fatti apposta per intorbidare le acque, mettiamo in fila i fatti. Nel luglio scorso il figlio di don Vito consegna alla Procura di Palermo la fotocopia di una cartolina: a sinistra, una lista di nomi di dirigenti della polizia e dei servizi, più un certo “Gross”, collegato da una freccia a un nome scritto a destra da un’altra mano: “De Gennaro”. Ciancimino jr spiega che fu lui a scrivere i nomi a sinistra, sotto dettatura del padre, in un promemoria sugli uomini dello Stato definiti dal padre “il quarto livello”; fu invece il padre ad aggiungere di suo pugno “De Gennaro”. Che, a suo dire, è Gianni, l’ex capo della polizia ora capo dei Servizi segreti. La procura, come per ogni pezzo di carta consegnato da Ciancimino, chiede alla polizia scientifica di accertare l’autenticità del documento. La Scientifica certifica che i nomi a sinistra li ha scritti Massimo e “De Gennaro” l’ha scritto Vito. Del resto, tutti e 150 i documenti consegnati da figlio dell’ex sindaco di Palermo, sono finora risultati autentici e per questo sono entrati in vari processi (per esempio quello a carico del generale Mori per la mancata cattura di Provenzano) e indagini (a partire da quella sulle trattative del 1992-'94) come indizi o prove. Perché, non essendo artefatti, sono una buona base di partenza per appurare se il loro contenuto sia anche la verità (e questo lo stabiliranno i giudici). Ma ecco, qualche settimana fa, il colpo di scena. Ciancimino consegna alla Procura di Palermo una nuova serie di documenti. Fra questi c’è un appunto originale di don Vito su un quasi omonimo di De Gennaro: l’ex magistrato Giuseppe Di Gennaro, poi consulente del ministero della Giustizia per la riforma delle carceri e alto funzionario Onu, erroneamente citato come “De Gennaro”. La Scientifica scopre che la parola “De Gennaro” è identica a quella che compare nella fotocopia della cartolina: qualcuno l’ha appiccicata col Photoshop sulla cartolina fotocopiata, per collegare il capo dei Servizi agli uomini del presunto “quarto livello”. Un falso, dunque, il primo accertato nelle carte di Massimo. Che ora è accusato di esserne l’autore. Se lo sia, e perché, dovrà spiegarlo oggi ai pm di Palermo. Che hanno sempre detto di volerlo valutare parola per parola, carta per carta e ieri, arrestando il teste chiave delle loro indagini proprio alla vigilia della sua deposizione al processo Mori, hanno dimostrato lo stesso rigore di Falcone che arrestò il pentito Pellegriti per aver calunniato Lima; dei giudici di Brescia che arrestarono due marescialli per aver calunniato il pool di Milano; dei giudici di Palermo che arrestarono Di Maggio e altri pentiti tornati a delinquere; dei giudici di Torino che arrestarono Igor Marini per aver calunniato Prodi & C. Ora le conseguenze politico-mediatiche dell’arresto di Ciancimino rischiano di ingigantire anche quelle giudiziarie. In teoria, un solo documento falso non può cancellare gli altri autentici; né le intercettazioni in cui Ciancimino parla di soldi dati a politici (Vizzini, Cuffaro, il neoministro Romano); né le rivelazioni rese a verbale e già confermate da sentenze di primo e secondo grado, ma soprattutto da quei politici che hanno ritrovato la memoria vent’anni dopo quando li ha tirati in ballo lui. Oggi Ciancimino, dopo due anni di stop and go, dovrà finalmente spiegare chi è davvero. Uno stupido pasticcione che rovina la propria credibilità falsificando un documento su 150, mettendosi contro il potente De Gennaro e portando lui stesso ai pm le prove della sua calunniosa truffa? Un falso testimone infilato dalla mafia o da altri loschi ambienti per depistare le indagini su stragi e trattative? La vittima consapevole o inconsapevole di qualcuno che gli ha fornito carte false? Un uomo ricattato e costretto a “suicidarsi” per screditare tutto quel che di vero aveva raccontato finora? Solo Ciancimino, ormai, può svelare l’enigma Ciancimino.

Abrogare Aristotele

Giovedì 21 aprile 2011 – Anno 3 – n° 94

Abrogare Aristotele

Anziché affannarsi a riscrivere questo o quell’articolo della Costituzione, B. e i suoi trombettieri farebbero prima ad abrogare per decreto il principio di non contraddizione. Ciò che li frega è la Logica aristotelica, per cui se A=B e B=C, C=A. Per quanti sforzi facciano, non riescono proprio a starci dentro. Ieri il Giornale di Olindo Sallusti esibiva in prima pagina un sapido commento di Mario Giordano, dal titolo: “Montezemolo ha già scelto: sta con Travaglio”. La tesi è tanto semplice quanto demenziale: “Il Fatto nasconde in una breve il processo per abuso edilizio ad Anacapri a carico del presidente Ferrari, e questi in cambio ‘presenta il suo progetto politico sul Fatto che dimentica il giustizialismo e si traveste da mensile patinato’ trattandolo con ‘affettuosità e ma gnanimità’”. Il pover’uomo forse ignora che la notizia del processo per i presunti abusi ad Anacapri l’ha data proprio il Fatto, in prima pagina, grazie a uno scoop del nostro Vincenzo Iurillo. Il Giornale intanto non sapeva, o se sapeva dormiva: meglio tenersi buono Montezemolo, vedi mai che entrasse in politica rubando voti al padrone. Ora che pare abbia deciso, la notizia vecchia di mesi finisce in prima pagina sul Giornale, così Montezemolo impara a dar fastidio a B. Segue lezioncina di buon giornalismo a noi che l’abbiamo scovata e svelata per primi. Naturalmente Montezemolo non ha mai “scelto il Fatto” per “presentare il suo progetto politico”. Semplicemente chi scrive, qualche giorno fa a Exit, ha rammentato che il conflitto d’interessi non ce l’ha solo B. Ce l’avrebbe anche Montezemolo, con tutti gli incarichi che ricopre, se entrasse in politica. L’indomani il manager ci ha telefonato in redazione per precisare che “ove mai entrassi in politica, metterei in un blind trust le mie azioni Ntv (la società fondata con Della Valle per treni superveloci, ndr) o le venderei a un altro socio”. L’avrebbe detto a chiunque gli avesse contestato il potenziale conflitto. Se l’ha detto a noi è perché noi gliel’abbiamo contestato. Se non l’ha detto al Giornale è perché al Giornale, comprensibilmente, la parola “conflitto d’interessi” è come “bunga-bunga”: proibita. Se qualche redattore se la lascia scappare, il correttore automatico la cancella. Ma questi ragionamenti semplici, elementari, comprensibili anche da un bambino un po’ tonto, da quelle parti non hanno cittadinanza. Del resto, sono giorni che gli house organ della Banda Larga martellano Fini perché ha incontrato i vertici dell’Anm, autorizzando così il sospetto di “collusione con la magistratura”: finirà che il presidente della Camera dovrà incontrare Totò Riina per dissipare l’infame sospetto e far contento il premier. Gli stessi trombettieri massacrano la Bindi perché ha dato del “piduista” a Cicchitto, tessera P2 n. 2232, fino a farle ammettere di aver un po’ “esagerato”. Intanto Pierluigi Battista, che non ha scritto una riga contro B. che dà dei “brigatisti” ai magistrati milanesi, seguita a massacrare Asor Rosa perché ha invocato la forza pubblica per rimuovere B. e, non contento degli amorevoli moniti di Pigi, ha ribadito il concetto del “golpe democratico”. Il che – per Cerchiobattista – è indice di “sfiducia nelle virtù del voto” e dell’“incapacità della sinistra di comprendere le ragioni delle sue molteplici e reiterate sconfitte” attribuite “alla cattiveria del Nemico o alla decadenza antropologica di un elettorato irretito dal grande ciarlatano”. Forse l’acuto tuttologo del Pompiere dimentica che B. siede abusivamente, illegalmente in Parlamento e dunque al governo da 17 anni, essendo sempre stato ineleggibile in quanto concessionario pubblico. E ciò in virtù di una legge fatta non da Asor Rosa, ma da Mario Scelba (Dc): la n. 361 del 1957. Le elezioni sono una splendida cosa, ma B. non avrebbe mai potuto parteciparvi. Dunque non avrebbe mai vinto, salvo rinunciare alle concessioni tv. Ergo non avrebbe mai vinto, punto. È abbastanza chiaro o serve un disegnino?